Questioni di lana caprina

Giuseppe Pantaleo
Giuseppe Pantaleo
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Questa testata ha già pubblicato un’esauriente recensione su un saggio riguardante il prosciugamento del lago Fucino (C. Felice, Una storia esemplare, Donzelli editore 2023), ritengo che non vi sia proprio nulla da aggiungere.

Recensione di Franco Massimo Botticchio

Scrivo perciò qualche riflessione marginale, tanto per ravvivare l’interesse su un libro che mancava da troppi anni, non solo a me. Nella citata recensione è ripresa la locuzione: «manomissione ambientale». Essa mi aveva già colpito leggendo quel saggio nel mese scorso; non ci avrei fatto caso fino a dieci-quindici anni fa, nella temperie del periodo. In realtà, la questione «ecologica» era già spuntata, altrove e Felice, da storico, l’ha semplicemente riportata. (Non m’interessa «Chi parla?»). Negli anni Dieci, è più volte successo che qualcuno proponesse di allagare tutta o in parte la superficie del Fucino – su qualche testata on-line, durante l’estate quando scarseggiano le notizie. (In tempo di opposti antimodernismi e complottismi preferisco spiegare il mio pensiero con qualche esempio, qualche fatterello più che con una definizione).

Ho ricordato più volte che il prosciugamento del Fucino è avvenuto dopo altre bonifiche nel Vecchio continente, era una pratica sperimentata; era comune pensarla così, sia da parte dell’élite o di chi comandava sia del popolo. Qualcuno maturava un’idea, si applicava nel giro di pochi anni; se funzionava nel breve periodo, essa prendeva a essere diffusa in qualche maniera. Non solo. Non uso definire gli appartenenti alle generazioni passate; i miei nonni – per non parlare dei loro genitori – erano degli analfabeti informatici, come pure i loro coetanei sparsi per la crosta terrestre: serve a qualcosa, oggi, classificarli così? Idem, che cosa vuoi rimproverare a svariate migliaia di pastori che nei secoli, nei millenni passati, hanno diboscato il Pianeta a destra e a manca per far pascolare i loro armenti e poi, alcuni di quegli smisurati territori sono divenuti talvolta desertici?

Ancora. Alcuni decenni dopo la conclusione di quella gigantesca opera di prosciugamento, è partito nella Penisola lo sviluppo dell’idroelettrico. Il Fucino era il terzo lago d’Italia per estensione, molto ampio d’accordo ma se calcoliamo ciò che è successo in quell’occasione ai vari ecosistemi dell’arco alpino, avremo un’area ben più vasta e soprattutto fragile per via dell’altitudine degli interventi. Quante lamentele ci sono state in proposito nell’ultimo secolo, nonostante (proprio) tutto? (Soprattutto negli anni Sessanta del secolo scorso, quando tutta quell’elettricità ha propiziato il boom economico). Oggi nell’Italia settentrionale – con le attuali conoscenze –, si può proporre giusto il mini-hydro per ciò che riguarda la produzione di energia elettrica dai corsi d’acqua. Torno nel Centro-Italia e chiedo: la bonifica dell’Agro Pontino avrebbe interessato la stessa area se attuata che so negli anni Novanta, dopo la diffusione del concetto di «zona umida»? Neanche due-trecento metri da lasciare intatti a ridosso della costa? Ecco, in tutti questi casi ricorrenti nel nostro passato mancava proprio la volontà di fare danni. (Sottomettere la Natura, questo sì).

Lo scioglimento dei ghiacci delle calotte polari sta provocando l’innalzamento del livello dei mari, da alcuni lustri. Le terre strappate al mare (polder) restano un vanto dei Paesi Bassi: che fine faranno? Gli abitanti apriranno dei varchi per facilitare il passaggio dell’acqua (salata) per farsi perdonare – non si sa bene da chi – una plurisecolare arroganza? No, hanno già pensato a rafforzare gli argini – stavano freschi, se aspettavano che i capi di stato dell’intero Pianeta si fossero accordati per ridurre gli effetti dei mutamenti climatici…

A un certo punto, appare nella recensione questo illuminante riferimento: il «progetto di discarica di ‘Valle dei fiori’ […] che avrebbe compromesso l’ingentissimo acquifero del sistema carsico sottostante». Abbiamo perciò un geologo che informa – chi vuole ascoltarlo – circa i rischi legati alla rottura della membrana di una comune discarica controllata: acqua della falda sottostante inutilizzabile. Tutto ciò mi ha ricordato una situazione simile di cui ho scritto in precedenza: l’invaso di Amplero. Abbiamo di nuovo un geologo che spiega – ancora: a chi gli si accosta – come impermeabilizzare un terreno carsico per realizzarci sopra una grossa vasca, produrrà una riduzione (piccola, grande, così-così) della quantità d’acqua che normalmente confluisce nella falda e che poi finisce nei rubinetti degli Homo sapiens. Era quello il nocciolo della questione, quarant’anni fa; d’accordo, c’entrava anche sia l’acqua da prelevare dal Giovenco, (addirittura) pomparla fino a una certa quota e portarla nella valle d’Amplero sia i fiorellini e i vari animaletti che non avrebbero più scorrazzato spensierati su quei prati. Si poteva parlare di vera e propria manomissione in questo secondo caso. Ecco, così è più preciso.

(Mi consola che un paio di sindaci marsicani abbia recentemente proposto delle vasche non impermeabilizzate per la raccolta dell’acqua da utilizzare in agricoltura. È invece un dramma che nonostante le tecnologie e le conoscenze accumulate, non si riesca più a progettare niente nella piana del Fucino, da almeno un quarto di secolo: buio totale).

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Lavoro come illustratore e grafico; ho scritto finora una quindicina di libri bizzarri riguardanti Avezzano (AQ). Il web è dal 2006, per me, una sorta di magazzino e di laboratorio per le mie pubblicazioni.