Giovanni Ricciardi: lo smaltimento della Memoria

Redazione
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Una contrada povera i storia civile, osì Silone definiva a sua terra d’origine.
Segnalateci quello he avete nel cassetto, n cantina o in soffitta, sulla storia el vostro paese.
Site.it vi invita  ripescare dall’oblio qualche ricordo e farlo rivivere, per tutti, u questo giornale.  futura memoria.

Giovanni Ricciardi, avezzanese, classe 1894, esercita un discreto commercio di cereali e generi alimentari – mestiere dal quale certo gli discende il soprannome di «maccaronaro» solennemente annotato, senza una punta di ironia, dall’autorità di pubblica sicurezza nel fascicolo politico ad egli intestato. Nel 1924 è iscritto ad Italia Libera, associazione fieramente antifascista. Nel 1931 viene ammonito, dopo esser stato sorpreso, in buona compagnia (Alberto Mancini, Costantino Torrelli, Francesco Ciccarelli, Placido Sebastiani, Luigi Chiarelli, Giovanni Donatelli, Pietrantonio Palladini) a trattare dei volantini di Giustizia e Libertà. Viene solo ammonito Ricciardi, seppur a conoscenza del contenuto dei manifestini e della diffusione che ne veniva fatta, grazie alla circostanza attenuante di non partecipare “direttamente a tale propaganda”. Ma che di quest’uomo non ci si possa fidare, le autorità fasciste lo scoprono sul finire degli anni Trenta, quando Ricciardi è tra le 14 persone (tra loro i più noti Pietro Amendola ed Aldo Natoli, Bruno Corbi e Giulio Spallone, Fernando Amiconi e Renato Vidimari) accusate di aver tentato di ricostituire la rete sovversiva del Partito comunista tra Roma e gli Abruzzi. Compare dinanzi al Tribunale speciale per la difesa dello Stato, il più odiato organo di repressione del fascismo, che gli commina due anni di reclusione (all’atto stesso della sentenza, a metà del 1940, la condanna viene condonata, e può così lasciare il carcere romano di Regina Coeli).
Non è ideologicamente catalogabile, Ricciardi, rubricato quale semplice «antifascista», talvolta «socialista», talaltra «comunista». Anche nel dopoguerra, impegnato nell’associazione che riunisce i perseguitati politici del passato regime, Ricciardi sembra serbare questa irriducibile caratteristica di indefinibilità, al punto che ci è difficile associargli una sola e semplice militanza politica.
Inizia, Ricciardi, armato di macchina fotografica e di penna, un’indefessa attività pubblicistica (collabora con la pagina abruzzese de «L’Unità») e di raccolta di materiale attinente la storia della Marsica, attività che corre parallela – e viene anzi agevolata – dal servizio che in una Avezzano semidistrutta egli presta all’ufficio del lavoro e al municipio, a coordinare le squadre per gli sgomberi dalle macerie della guerra.
Riemerge, poi, quella passione per gli opuscoli e gli scritti politici che tante grane gli aveva già procacciato sotto il fascismo: il Nostro comincia a conservare la memoria minuta dei fatti politici di ogni giorno, volantini locali e giornali di tutti i partiti. Alla fine, si accumula una mole impressionante di materiale, vivida testimonianza della lotta politica e sociale consumatasi nella Marsica, nei primi venti anni del regime repubblicano. Mole che, per gli amanti del genere, è stata resa finalmente disponibile dagli aventi causa del Ricciardi, a quasi quarant’anni dalla morte di questi, avvenuta nel 1968.
Per i pochi fortunati che ci si sono trovati, sul finire dello scorso gennaio (proprio nella ricorrenza della Giornata della memoria, il 27 gennaio 2007), la tanta carta e i tanti libri messi da parte dal nostro protagonista – e schedati con una applicazione alfieriana – sono finalmente riemersi dalla cantina di un benemerito affine e sono rimasti esposti, per un paio di giorni, nei quattro secchioni della nettezza urbana localizzati all’ingresso di Avezzano, nella centralissima via XX settembre, tra la Gerit ed il distributore di benzina.
Discreto il successo di pubblico, immane il lavoro dei camion della nettezza urbana per smantellare il bizzarro allestimento. Peccato solo riesca difficile, ora, replicare una così straordinaria esposizione.
Siamo quasi sicuri che Giovannino il “Maccaronaro” si sia rivoltato nella tomba, e non una volta sola. Con un rumore simile a quello di un compattatore.
Franco Massimo Botticchio

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