Premio Internazionale Silone, menzione d’onore a Silvia Grossi per “L’ultimo respiro del sole”

Alfio Di Battista
Alfio Di Battista
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Pescina – A poco più di un mese dalla presentazione del suo romanzo, L’ultimo respiro del soleLaurana Edizioni, Silvia Grossi ottiene la menzione d’onore al Premio Internazionale Silone. Il conferimento del prestigioso riconoscimento all’antropologa pavese, avverrà nell’ambito della XXV^ edizione del premio, in programma a Pescina, nei giorni fra il 19 e il 22 agosto.

La Grossi, esperta di Sud-Est Asiatico, trascorrendo lunghi periodi di studio in quelle latitudini, in progetti della cooperazione internazionale, ha avuto modo di immergersi letteralmente nell’ecosistema delle popolazioni locali raccogliendo dati e informazioni che hanno costituito la base di diversi saggi e articoli.

L’ultimo respiro del sole è il suo romanzo di esordio ma è anche una denuncia contro le ingiustizie e le prevaricazioni perpetrate dalle multinazionali ai danni degli Aborigeni Temiar, oltre che un resoconto spietato e crudo sul cambiamento climatico provocato dall’agire scellerato di uomini senza scrupoli.   

La giuria del Premio, ha deciso all’unanimità di attribuirle la menzione d’onore, ravvisando nell’opera similitudini che richiamano la forte tensione morale connaturata nella fiera resistenza dei popoli di quelle terre devastate dalle alluvioni, e il senso di un’ingiustizia antica, mai riscattata, che pare essere insita nel vivere dei diseredati, dei senza terra, dei Temiar, sradicati dalle loro case, privati dei loro diritti, proprio come nei Cafoni di Fontamara descritti da Silone.

La vicenda narrata si svolge in Malesia, nel sultanato del Kelantan, una regione che nell’inverno fra il 2014 e il 2015 venne letteralmente cancellata da una delle alluvioni più devastanti che si ricordino a memoria d’uomo. La furia dell’acqua, favorita dalla deforestazione e dalla distruzione di vaste aree di mangrovie, destinate alle coltivazioni di olio di palma e all’industria mineraria, trasformò in fango, dolore e rabbia qualsiasi cosà trovò sul suo cammino.   

La storia non è soltanto il racconto delle devastazioni ambientali perpetrate dalle multinazionali governate da uomini d’affari dediti al profitto, ma è anche una storia di devastazioni culturali, è una storia che parla dell’arrogante tentativo di annientare un’etnia, quella degli Aborigeni Temiar che resistono ostinatamente alle deportazioni verso le periferie anonime delle megalopoli.

Ma il vero disastro, non è soltanto quello fisico e materiale, che si palesa con la violenza delle acque capaci in poche ore di spazzare via la semplice quotidianità pervicacemente conquistata. Il disastro più profondo è quello del tempo che scorre, quello delle radici spezzate e degli anni segnati dalla precarietà nelle baraccopoli. È quello dell’identità che si perde nelle periferie dimenticate e malfamate delle megalopoli.

Oggi, nonostante siano palesi gli effetti del cambiamento climatico, non esiste ancora una corretta percezione del rischio. Ciò a causa della scarsa attitudine del potere politico a considerare le crisi climatiche come fenomeni per nulla indipendenti dalle decisioni personali.

Se poi, è la politica stessa, la prima a latitare sul fronte di una corretta diffusione delle informazioni, non desta meraviglia che ciò si traduca in scarsa motivazione dell’opinione pubblica a interessarsi dell’ambiente per prevenire le catastrofi attraverso comportamenti virtuosi.

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