La frana, metafora di un paese che scivola in basso

Alfio Di Battista
Alfio Di Battista
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Il gigantesco tema dell’emergenza climatica potrebbe fornire le chiavi di accesso a una nuova Era

Marsica – La frana fra i comuni di Morino e San Vincenzo Valle Roveto, come quella di Casamicciola di qualche mese fa, come tante altre frane di ordinario dissesto idrogeologico che accomunano l’Italia, sono il paradigma di un Paese che non sa più guardare con fiducia al futuro, forse perché non riesce più ad immaginarselo, e quindi, tira a campare cercando di sopravvivere come può, parando i colpi alla meno peggio.   

Il dissesto idrogeologico, in un territorio ad alto rischio sismico come la Marsica, dovrebbe rappresentare, almeno per la Regione Abruzzo, una di quelle priorità che determinano la programmazione delle politiche sociali ed economiche, propedeutiche allo sviluppo, e invece, è soltanto una voce del bilancio, un’urgenza costante, praticamente un ossimoro.  

In altre parole, parlare di sanità, scuola, lavoro, logistica dei trasporti e politiche sociali, senza tener conto dei luoghi dove tutto questo andrebbe declinato, diventa un esercizio di vuota retorica, buona per i tagli dei nastri, le passerelle, i convegni e qualche dichiarazione politico-istituzionale a favore di telecamera.

Circa la sanità, si parla del nuovo ospedale della Marsica come improrogabile necessità ed esigenza del territorio. Ma cosa vuol dire? Un’infrastruttura, in sé, può essere anche un’avveniristica scatola vuota, se non viene pensata all’interno di un ecosistema. La medicina territoriale, il potenziamento delle risorse per i medici di base, le famigerate USCA, la telemedicina, tutte riflessioni finite nello scarico della storia dopo la pandemia.

Mezzo centimetro di neve determina la scelta di diversi sindaci marsicani di chiudere i plessi scolastici per evitare disagi di natura logistica, soprattutto per studenti e famiglie che risiedono in centri distanti dalla scuola. Ci può stare, ma la didattica a distanza che fine ha fatto? La digitalizzazione, le smart city, sono stati solo argomenti da convegno? Possibile non si riesca a fare di necessità virtù quando la realtà, ovvero la pandemia, ti investe in pieno come un Freccia Rossa?

Il lavoro, un argomento buono per tutte le stagioni. La politica ne parla spesso quando è a corto di idee ma poi finisce quasi sempre per confondere le acque con i cunei fiscali, gli sgravi statali, gli incentivi ecosostenibili e tutte le varianti sul tema. Mai che faccia quello che le compete, ovvero programmare il futuro, che se uno avesse una vaga idea di ciò che serve per cavalcare il futuro, il resto verrebbe da sé.

A proposito di logistica, impazza il dibattito pubblico sul raddoppio della ex superstrada del Liri e ancora non c’è nemmeno il progetto esecutivo. Le tifoserie si dividono fra possibilisti che vedono opportunità di lavoro e scettici che vedono devastazione ambientale in un territorio molto fragile dal punto di vista idrogeologico.

La politica locale preferisce non parlarne troppo, e intanto annusa l’umore della piazza. Il punto è che nessuno pare abbia posto il tema dell’intermodalità, ovvero la connessione di questa superstrada con la banda larga, con il progetto dell’alta velocità della ferrovia Roma – Pescara, con l’interporto di Avezzano e con le altre infrastrutture presenti sul territorio che attraversa. Esiste un progetto integrato?

Intanto è un susseguirsi di sporadici incontri fra delegazioni di sindaci marsicani e enti dello Stato, ognuno indipendentemente dall’altro. Con Ferrovie dello Stato, con Anas piuttosto che col MIMS o con la Regione Abruzzo, oltre alle conferenze dei servizi che con cadenza stagionale replicano tavoli su tavoli per fare il punto sullo stato dell’arte.

Chiunque abbia memoria storica di quali siano stati gli esiti delle innumerevoli promesse elargite nel corso di alcuni lustri dai rappresentanti della politica di ogni colore, non può non prendere atto del tempo perso e del gap sempre più ampio che divide la realtà da ciò che sarebbe dovuta essere, se fossero state mantenute almeno metà delle promesse.

Paradossalmente sono state le calamità naturali a determinare gli investimenti mancati in decenni di indolenza istituzionale. Le ultime grandi opere infrastrutturali risalgono agli anni ’60 e ’70 così come gli ultimi grandi insediamenti industriali come la Texas Instruments arrivata in Marsica nei primi anni ’80, tanto che oggi, qualche vecchio nostalgico rievoca sospirando quei tempi in cui a suo dire, si stava meglio.

Eppure c’è un tema gigantesco come l’emergenza climatica che potrebbe fornire le chiavi di accesso a una nuova era, se soltanto fossero chiare le implicazioni che scaturiscono dal ripensare completamente la filiera della così detta catena del valore, ma a quanto pare, a livello globale, tolta qualche personalità illuminata, non sono tantissimi i leaders in grado di indicare una direzione.

La questione assume i connotati della tragedia quando la caliamo in Italia, dove, una certa tradizione legata alla tutela dell’ambiente è tacciata ancora oggi come ideologia ambientalista. Non si tratta semplicemente della greve battuta di qualche ministro delle Repubblica con delega alla transizione verde ed energetica, ma ha a che vedere con una certa sciatteria culturale tipica degli ambienti conservatori di destra e di sinistra, immersi fino al collo nel familismo amorale predatorio di consorterie senza capacità visionaria.

In queste condizioni è estremamente difficile affermare un’idea libera dagli interessi di parte, un’idea che sappia scaldare i cuori delle persone, un’idea che dia coraggio a chi ha paura di dire quello che pensa, un’idea che faccia sentire ognuno parte di qualcosa più grande. Ma in fondo sognare non costa nulla.

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