Elezioni regionali, le promesse e le illusioni perdute fra i ricordi

«Potete ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre, ma non potete ingannare tutti per sempre.» Abramo Lincoln

Alfio Di Battista
Alfio Di Battista
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Avezzano – Nel pieno della campagna elettorale per le prossime elezioni regionali, fissate il 10 marzo, non si sa più a chi dare i resti per la quantità di argomenti gettati nel frullatore della propaganda che trasforma tutto in panna montata.

Il punto è proprio la consistenza di tutta questa panna montata la cui tenuta, come sanno gli amanti dei dolci, ha una durata non superiore a uno due giorni. Per questa ragione c’è un frequente ricambio dei temi somministrati. Tutti cercano di stare nei tempi e nelle scadenze dettate da un calendario che scandisce inesorabile il countdown verso il 10 marzo, senza fare sconti a nessuno.

Il centrosinistra rimprovera, non a torto, al centrodestra, il depauperamento delle risorse finanziarie del masterplan di d’alfonsiana memoria. Il centrodestra ribatte che l’evento straordinario della pandemia impose la ridefinizione delle priorità. Da qui la necessità di mettere al centro dell’agenda l’emergenza sanitaria. Chi ne fece le spese fu progetto per l’impianto irriguo del Fucino, che subì un drastico stop.

Ma è proprio sulla sanità che si combatte all’arma bianca una guerra di trincea fra destra e sinistra, con accuse reciproche sulle responsabilità che negli anni hanno determinato un vistoso arretramento della qualità del servizio, sempre più scadente e sempre meno garantito, almeno in Marsica.

Il diritto alla salute sembrerebbe essere negato proprio dal continuo ridimensionamento dei presidi e delle strutture che, soprattutto nelle aree interne, continuano a subire i tagli indiscriminati di una politica più dedita a rimaneggiare le risorse che orientata all’efficienza e alla qualità delle prestazioni sanitarie.  

Altro tema sensibile è quello dello spopolamento delle aree interne, argomento ineluttabile nei convegni di queste settimane. Aree interne dove spesso è difficoltoso arrivare per l’estrema fragilità di un territorio la cui necessità primaria è essere salvaguardato con infrastrutture adeguate, con strade percorribili e con i servizi di base essenziali, talvolta molto lontani dal minimo garantito.

Come il nero che sfila, immancabile la questione del turismo, con particolare attenzione, quasi metafisica, al turismo lento, quello così detto esperienziale, che nell’immaginario del candidato normodotato, si materializza con frotte di turisti in bermuda che scendono da futuristici pullman, macchine fotografiche al collo, pronti a strisciare carte di credito dall’illimitata capienza.

Peccato manchi tutto quello che serve prima che arrivino i turisti. Strutture ricettive all’altezza, servizi di accoglienza di livello, banalmente l’acqua corrente a tutte le ore. Una rete internet che sia degna di questo nome e un’offerta per il tempo libero con diverse opzioni di scelta.

Tutto ciò al servizio dei molti siti di attrazione come gli insediamenti dei primi abitanti della Marsica, il sito archeologico di Amplero, Alba Fucens, i resti dell’antica Angizia, Marruvium, l’Emissario Claudio Torlonia, i castelli medievali, i borghi della Valle Roveto ecc…ecc…

Si sa, la cultura, la storia, l’arte, come il dolce alla fine del pranzo, sono la ciliegina sulla torta – di panna montata – of course, che si offre all’elettore ormai conquistato alla causa. Dagli antichi fasti dell’impero romano alla tecnologia avanzata dei semiconduttori. Un balzo di duemila e anni che ancora non si riesce a raccontare come si deve.

E così ogni campagna elettorale assomiglia terribilmente a quella precedente. Stessi argomenti, stesse promesse che alimentano le solite aspettative che si affievoliscono consumate dalla delusione. Purtroppo sono gli stessi slogan sparati sui social e ripetuti come non ci fosse un domani ad abbassare il confronto a un livello da asilo mariuccia.

Da una parte si apostrofa il proconsole romano Marsilio come presunto usurpatore di un ruolo che secondo chi sta dall’altro lato della barricata spetterebbe di diritto a un abruzzese, come se l’identità di un popolo dipendesse dall’eugenetica e non dal senso di appartenenza, che, se non è attribuibile a Marsilio, sembrerebbe non aver sfiorato nemmeno D’Alfonso quando si dimise da presidente della Regione Abruzzo per andare a Roma come Senatore facendo il percorso inverso a quello di Marsilio.   

Ma riavvolgiamo un po’ il nastro. È il 25 maggio del 2014 quando Luciano D’Alfonso viene eletto Presidente della Regione Abruzzo. Sedici mesi prima della scadenza naturale del suo mandato, il 4 marzo del 2018, D’Alfonso, candidato alle politiche, viene eletto senatore. Le due cariche sono incompatibili per cui il Presidente, neo eletto Senatore deve dimettersi.

La legge non consente di ricoprire allo stesso tempo l’incarico di Presidente di Regione e quello di Senatore della Repubblica, ma questo D’Alfonso lo sa bene. Ne era consapevole ancora prima di candidarsi in Parlamento perché tale incompatibilità è sancita dalla Costituzione, articolo n° 122. Ma le attraenti sirene romane lo blandiscono, e così sacrifica l’Abruzzo sedotto dal nuovo amore per Roma.

Tuttavia D’Alfonso resta incollato alla poltrona di Presidente della Regione Abruzzo nonostante il parere contrario del Servizio legislativo della stessa Regione che lui amministra e nonostante una sentenza contraria della Corte Costituzionale. Il Consiglio Regionale d’Abruzzo si esprimerà invece dicendo che l’incompatibilità fra le due cariche non c’è. Saranno 16 i voti a favore e 15 quelli contrari. Un voto politico che non sembrerebbe espresso nell’interesse degli abruzzesi.  

Infatti il Consiglio Regionale resta invischiato in un immobilismo che ne rallenta il regolare funzionamento. D’Alfonso, dal canto suo, come un abile biscazziere levantino, muove le carte sul tavolo della propaganda politica con la pretesa di dimostrare che la proclamazione a Senatore della Repubblica sia un atto secondario rispetto a quello della convalida dell’elezione.

La stramba scusa fa strame del senso politico della rappresentanza ma serve a giustificare all’opinione pubblica il mantenimento del doppio incarico. La trovata, astuta, sta nel fatto che la convalida non ci sarà fino a che non verrà formata la Giunta per le elezioni di Palazzo Madama. L’escamotage gli fa guadagnare altri mesi in Regione.

Tutto questo nonostante sia scolpita sulla pietra la sentenza della Corte Costituzionale che chiarisce che un parlamentare entra nella pienezza delle sue funzioni nel momento della proclamazione e non alla convalida della Giunta.

Il 9 agosto del 2018, dopo la convalida della sua elezione da parte della Giunta delle elezioni e delle immunità del Senato, D’Alfonso si dimette da Presidente della Regione Abruzzo. Il Vicepresidente della regione Giovanni Lolli, del PD, presidente vicario, resterà in carica per le funzioni ordinarie fino al 10 febbraio 2019 quando il nuovo presidente eletto diventa il romano, Marco Marsilio.

Questo l’antefatto che porta un abruzzese a Roma, attratto, bontà sua, dall’ambizione di rinverdire gli antichi fasti Gaspariani. In Abruzzo, in cambio, arriva un romano di destra che vanta antiche discendenze Aprutine. Oggi D’Alfonso rivendica il buon lavoro fatto durante la sua presidenza e attacca Marsilio, legittimamente, sulle promesse mancate. La domanda però è una:

Perché D’Alfonso, oggi così pregno di idee per l’Abruzzo del futuro, così critico verso l’usurpatore romano, abbandonò anzitempo la Regione Abruzzo per trasferirsi a Roma? Perché non ritenne più utile per la sua Regione riproporsi per un secondo mandato in maniera da portare a conclusione i progetti del masterplan?  

Tutto questo per sottolineare che al netto della panna montata profusa a tonnellate nella campagna elettorale, ciò che fa la differenza agli occhi degli elettori, almeno quelli il cui voto è libero, sono i comportamenti e non le chiacchiere. Il giudizio dell’elettore libero si fonda sulla distanza che c’è fra le parole e i fatti, e se quella distanza è troppa, ti punisce. Infatti nel 2019 Legnini fu sconfitto da Marsilio.

E non è un caso che sia stato proprio un politico a pronunciare la frase «Potete ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre, ma non potete ingannare tutti per sempre.» E non era un politico qualsiasi, si trattava di Abramo Lincoln, sedicesimo presidente degli Stati Uniti d’America.

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