Avezzano – Un mezzo viaggio in città (1)

Giuseppe Pantaleo
Giuseppe Pantaleo
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Dopo aver scritto l’ultimo pezzo, mi è tornata in mente una vecchia idea. Avevo pensato a una sorta di gitarella domenicale a piedi sul tracciato dell’ex ferrovia dello zuccherificio. Quattro persone di età e mestieri diversi avrebbero raccontato ai «colleghi» le impressioni, le sensazioni di tipo spaziale che provavano lungo il tragitto; avevo previsto alcune soste per qualsiasi genere di scambio, anche riprese e immagini scattate sul momento. «Che ti dice questo posto?». Si trattava di un viaggio al contrario, come Easy Rider: scoprire l’ambiente intorno a quei binari partendo dalla fine. Saltò tutto per vari motivi, pandemia compresa. Ho deciso all’improvviso di agire da solo, pur avendo ben chiaro che sarebbe stato completamente diverso. È finita come cantava Paul Simon nella sua scoperta dell’America ‘Counting the cars on the New Jersey Turnpike’. Non sapevo né dove posare gli occhi né elaborare, pensare qualcosa di specifico; ero spensierato anche se non allegro.

Sono entrato alla fine del tracciato da via Monte Nero, a ridosso della stazione ferroviaria: è l’altra polarità della nuova città; in genere nello spazio incolto (triangolare) sulla destra, è depositato qualche sacchetto della spazzatura o qualche carrello da supermercato, questa volta no ed è anche relativamente sgombro. È primissimo pomeriggio e non incrocio nessuno in giro – è trafficato dagli studenti dell’istituto G. Galilei e da chi vuole accorciare il proprio tragitto: gente normale che abita nelle vicinanze. Le catene che delimitavano quello spazio privato sono state rimosse da anni, anche se non ve n’era bisogno. Cammino in mezzo ai binari e incrocio lattine vuote di bibite e birra, pacchetti accartocciati di sigarette, incarti di merendine, scontrini, cicche di sigaretta, un frammento di borchia di ruota, scatole di psicofarmaci, una scarpa, una giacca, preservativi usati, molte bottiglie (soprattutto acqua) di plastica, scatole di biscotti, un ombrello – sta lì da mesi. (Ho notato anche mezzo metro di quei tubicini di color arancione impiegati per l’installazione della fibra ottica in città: sarà l’elemento discreto ma ricorrente in tutta la mia passeggiata).

Riprendo dopo via mons. D. Valerii – catena e cartello con scritto: PROPRIETÀ PRIVATA scomparsi chissà da quanto tempo, anche in questo caso. È il pezzo che preferisco soprattutto in estate per la sua rigogliosa vegetazione, l’abbondanza di animaletti, il sole che filtra tra i rami; è un po’ diverso dal precedente: meno gente di passaggio (anche prof con la cartella) ma adolescenti e giovani che passeggiano, se ne stanno chiacchierando tra loro, si fanno le canne, sono intenti a tubare. Noto dei tronchi segati verso la metà, sulla destra, e i resti dell’incendio di metà settembre. È la parte più stretta, tra due file di costruzioni; la sua conoscenza mi fece arrabbiare davanti alla proposta di costruirci sopra una pista ciclabile. Una simile struttura – ammesso che qualcuno abbia un motivo e voglia di usarla –, farebbe diradare, sparire la frequentazione dei pedoni nelle ore di luce. (Servono nel Quadrilatero le piste ciclabili, non fuori mano). È di poco più pulita del tratto precedente: confezioni di biscotti, caramelle, pastiglie e qualche bottiglia di plastica. A detta dei residenti, da anni è una delle due zone frequentate da un tipo di tossicodipendenti, ma io non ho incontrato nemmeno questa volta l’ombra di una siringa. Verso la fine c’è un faretto che illumina la strada ferrata, quando è buio – è opera di chi abita lì. C’è un comodo tratto sulla sinistra e abbandono il binario; sbuco su via mons. P.M. Bagnoli, niente chiusura neanche lì. Sì, è comodo anche questo tratto per tracciare.

Entro nel terzo tratto da via C. Corradini, perché su via Bagnoli è sbarrato da un’alta rete che indica proprietà – non mettevo i piedi in quel posto da quasi quattro anni. L’ingresso non promette bene per la presenza in pochi metri di sacchi della spazzatura, scatole di cartone, cassetti di armadio, due o tre tubi fluorescenti e vestiti. (Ci pensa Tekneko ai sacchi dell’immondizia, di quando in quando). È una tattica dei frequentatori per evitare sguardi indiscreti? Mi dà un’impressione di degrado, di abbandono; insieme al precedente era la parte che preferivo per la sua calma e la luminosità morbida. Segue poi il solito corredo di bevande, tra cui spiccano diverse bottiglie di vino – roba da sei-sette euro a bottiglia al supermercato –, accessori da crack, una borchia di ruota d’automobile, un’insospettabile varietà di rifiuti. È stata rimossa un’alta rete, sistemata – immagino – da chi abita in via Aquila per evitare schiamazzi notturni. A un certo punto – immagino a una ventina di metri dalla recinzione –, la vegetazione è cresciuta a tal punto, che non riesco a procedere – ho scoperto l’utilità dei sentieri in montagna verso i trent’anni e non mi è passata più. (È anche questo, probabilmente, un modo per limitare la frequentazione ai giovani durante la notte).

(1/2) – Continua

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Lavoro come illustratore e grafico; ho scritto finora una quindicina di libri bizzarri riguardanti Avezzano (AQ). Il web è dal 2006, per me, una sorta di magazzino e di laboratorio per le mie pubblicazioni.