Storie da blogger

Giuseppe Pantaleo
Giuseppe Pantaleo
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Un paio di sabati fa, mi era capitata una cosa strana: io mi ero sentito all’improvviso italiano – in qualche modo, non volendo.

Me ne stavo in un posto, dove ho più di un interesse – tanto per non fare nomi. A un tratto sono entrati due tipi, presumibilmente del Bangladesh, e hanno ordinato due colazioni. Si è chiacchierato con loro per un po’ – come d’uso in simili circostanze – fin quando hanno spiegato al proprietario perché avevano messo i piedi proprio in quel locale: erano trattati bene a differenza degli altri, lì dentro. (Ritengo il gestore il più buono della città – tanto per non fare nomi, ancora). Ho minimizzato, sdrammatizzato, ma me ne sono anche vergognato, conoscendo com’è fatta la mia gente e riconoscendola da alcuni suoi comportamenti. (C’entra in modo marginale il razzismo al contrario del classismo e dell’ignoranza). I due hanno pagato e sono usciti per riprendere il loro lavoro di ambulanti.

Giacomo Leopardi, quando parlava degli italiani, ma il Regno d’Italia era di là da venire? Penso più che altro al classico atteggiamento di chi sta dietro una qualsiasi scrivania e fa valere – secondo le circostanze – lo straccio di potere che detiene nei confronti di chi si trova dall’altra parte. (Basta sostituire il bancone al posto della scrivania).

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Lavoro come illustratore e grafico; ho scritto finora una quindicina di libri bizzarri riguardanti Avezzano (AQ). Il web è dal 2006, per me, una sorta di magazzino e di laboratorio per le mie pubblicazioni.