Terremoto e ricostruzione: Una questione di manganelli

Redazione
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Enti locali esautorati e militarizzazione del territorio, tensioni e senso di abbandono. E l’esecutivo teme per l’ordine pubblico

di Angelo Venti da L’Aquila [ su Left del 15 maggio 2009 ]

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La militarizzazione imposta in Abruzzo – a più di un mese dal sisma – rischia di diventare il vero punto debole del governo. Percepita inizialmente come efficienza nel coordinamento dei soccorsi e poi come prevenzione dello sciacallaggio, ora è proprio la crescente militarizzazione a provocare reazioni di dissenso tra gli sfollati. E la preoccupazione aumenta con l’avvicinarsi del G8. Evento di cui si sa poco (gli interventi e le opere previste sono, ovviamente, coperte dal segreto) ma di cui, comunque, si temono gli effetti.
La situazione è sempre più pesante sia a L’Aquila che nelle altre aree colpite dal sisma.

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Diversi quartieri e l’intero centro storico del capoluogo, insieme a quelli delle frazioni e dei comuni del circondario, sono stati dichiarati “zone rosse” in cui è impedito l’accesso agli stessi residenti. La notte scatta una sorta di coprifuoco in cui gli unici mezzi in movimento sono quelli di esercito e forze dell’ordine, mentre videocamere ed elicotteri attrezzati con visori notturni, tengono sotto controllo tutto ciò che si muove. Contemporaneamente, alle forze dell’ordine s’impartiscono ordini schizofrenici: si controllano gli scontrini ai venditori di porchetta ma non si vigila sullo smaltimento dei rifiuti, si cerca di impedire ai giornalisti di testimoniare le reali situazione di emergenza e contemporaneamente si abbassa l’attenzione sulla “conservazione” delle prove dei crolli “anomali”.

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Intanto, tra le decine di migliaia di sfollati ci si comincia a rendere conto che il primo mese è passato senza che nessun intervento sia stato realizzato per consentire almeno l’accesso nelle “zone rosse”: non solo non sono state rimosse le macerie o messi in sicurezza gli edifici pericolanti ma nelle abitazioni inagibili non sono stati nemmeno svuotati i frigoriferi, con rischi di possibili epidemie.

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Con i primi dubbi, si manifestano i malumori dovuti agli ultimi provvedimenti presi nelle tendopoli gestite dalla Protezione civile. Da una settimana, agli sfollati sono stati imposti braccialetti e tesserini di riconoscimento da esibire a ogni accesso. L’erogazione del servizio mensa ai terremotati degli accampamenti autogestiti è stata sospesa, come è successo a Paganica o Civita di Bagno.
In una tendopoli de L’Aquila, il servizio è stato negato ai vigili del fuoco che protestavano per la fila eccessiva.
Non si tratta di circolari ufficiali della Protezione civile. A decidere il giro di vite sono i singoli capi campo che a ogni avvicendamento reinterpretano i regolamenti in maniera più o meno rigida, fino al punto di sfiorare il libero arbitrio: in alcune tendopoli, come a Fossa, alcuni residenti sono costretti a ridiscutere il diritto a una tenda a ogni cambio del capo di turno, che impone un’applicazione burocratica delle direttive.
In questo clima, molte associazioni di volontariato disertano i magazzini della Protezione civile, preferendo distribuire gli aiuti direttamente agli sfollati degli accampamenti spontanei.

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Gli abruzzesi stanno lentamente uscendo dal trauma emotivo causato dal terremoto e cominciano a rendersi conto della situazione in cui sono precipitati. Rimane la paura delle scosse che non si fermano ma aumenta la consapevolezza del futuro che li attende, e non ci stanno.
Gli enti locali, esautorati di ogni potere reale, cominciano a reagire e tentano di rompere il muro di silenzio e di far sentire la loro voce critica.
Nascono anche i comitati spontanei: prima quelli creati da gruppi di studenti, professionisti, insegnanti, artisti e associazioni culturali, sportive o di categoria, ora
quelli nei singoli paesi o tendopoli. E la prima richiesta è quella dell’informazione.
Sarà un caso, ma è stata interrotta da alcuni giorni la distribuzione gratuita dei principali quotidiani nelle tendopoli e le edicole aperte in tutto il territorio si contano sulle dita di una mano.

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Per ognuno di essi un solo comune denominatore: autorganizzarsi per rivendicare i diritti elementari di cittadinanza. Le rivendicazioni sono numerose: critica serrata al decreto del governo; rifiuto della militarizzazione del territorio; lotta allo smembramento dell’università e al trasferimento delle sedi istituzionali in altri territori; diritto dei cittadini a decidere i modi e i tempi della ricostruzione; ripresa dell’economia locale; garanzie contro le infiltrazioni della criminalità organizzata; difesa del territorio e dell’ambiente; recupero di monumenti, centri storici e opere d’arte. La progressiva sospensione dello Stato di diritto ha creato numerosi problemi alla società civile.
Ma quello che ora preoccupa il governo è che si verifichi una saldatura tra le rivendicazioni degli enti locali e quelle dei comitati spontanei. In questo quadro, i comportamenti muscolari della Protezione civile vengono letti anche come segnali di nervosismo.

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