Silone come il cancello all’orto

Franco Massimo Botticchio
Franco Massimo Botticchio
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Ignazio Silone (1962)

La figura la vita e le opere di Ignazio Silone sono da tempo avvolte in un’aura tetra e grigia, una cupezza ben lontana dalla brezza che a nostro avviso Silone dovrebbe richiamare e suscitare, nella critica, nella politica, nel mondo degli studi. Questo lento e inesorabile declino – ai nostri occhi quasi incomprensibile, alla luce del profilo pop del personaggio, e della modernità di tante sue opere e visioni – è dovuto a molteplici fattori, e non sarà facile da infrenare, in specie tra i lettori.

La prima ragione di tale consunzione dell’immagine complessiva di Silone è, in qualche misura, fisiologica, e risiede in quel fenomeno di accumulazione tossica (ci si passi l’espressione) che la letteratura porta con sé: ogni giorno vede, fortunatamente, l’uscita di nuovi autori, più o meno validi, che vanno ad insistere nello stesso spazio dei classici, anche se pochi di loro transiteranno, con il trascorrere del tempo, in tale categoria, trovandovi stabile collocazione; nuove espressioni e sollecitazioni vanno a interessare il lettore, lo studioso, e a fisicamente stratificarsi, con i testi, sul suo tavolo e nella sua libreria. Che non ci si possa fermare ai classici, e che questi restino in fondo alla pila, o nello scaffale, mentre si legge quel che sopravviene, è cosa normale e scontata. Ma nel caso di Silone, questo fenomeno è accompagnato da un progressivo abbandono del suo studio da parte della critica, certificato dalla concatenata reazione a catena delle (minori) uscite, dalle (mancate) ristampe, dai dati di vendita; abbandono che a sua volta impedisce – e sempre più escluderà – quel che pure spesso accade: che si (ri)scopra un classico (Silone lo è), che vi sia un ritorno di interesse e di fiamma su una figura, sulle opere siloniane, a latere di tanta benvenuta contemporaneità, persino in reazione ad essa, più spesso a complemento.

Silone e la polizia

Un treno importante è stato perso venticinque anni or sono, quando venne in rilievo la questione della collaborazione del giovane Silone con la polizia del Regno d’Italia, per la intera terza decade dello scorso secolo, per come portata alla luce da Dario Biocca e Mauro Canali. Suonerà paradossale l’affermazione ma quello shock, che determinò un fermento di ricerche e di analisi condotte dalla più accreditata accademia e commentate dal più avveduto giornalismo, avrebbe potuto rappresentare il fomite per la rinascita degli studi su Silone, rimasti impantanati, tranne poche lodevoli eccezioni, nella immarcescibile interpretazione dello scrittore quale profeta dei cafoni: con ‘Silvestri’ era entrato sul proscenio il Silone ‘lunare’ vagheggiato da Geno Pampaloni, un ospite inatteso di grande fascino. Il treno è stato perso perché, in ragione di un malinteso istinto moralistico di difesa, una corrente grevemente innocentista sul punto del rapporto fiduciario con la polizia (circostanza infamante per tutti, in qualsiasi epoca) ha fatto presto strame del dibattito sul legame di Secondino Tranquilli con il commissario Guido Bellone, trasformandolo in una gazzarra non scevra da manifestazioni di rara villania (paesana in senso deteriore). Il risultato, ottenuto da una fazione indigena con il soccorso esterno dei vari Tamburrano di complemento, è stato quello di sgomberare l’agorà del dibattito da tante eminenti figure della critica e della storiografia, che avevano preso a riconsiderare tanti lati della biografia siloniana e della storia del Partito comunista d’Italia alla luce di questa nuova occorrenza proveniente dagli archivi, che diverse questioni, sino ad allora incomprensibili, in parte inondava di una luce interpretativa nuova, altra. Non solo: questa vittoria di Pirro, conseguita urlando e negando l’evidenza, ottenuta al prezzo del sacrificio dell’analisi filologica e del metodo storico, ha importato la conseguenza inevitabile che di certe cose, soprattutto alle latitudini abruzzesi, non si è più potuto discutere. E neppure di tutti gli aspetti a questa cose connessi. Abbiamo dunque rifiutato di calarci in quello che un arguto studioso definisce l’inferno degli storici e ripiegato sul Silone cantore dei cafoni: più comodo, tranquillizzante; trattasi di esercizio rituale che costa poco, e può essere officiato, sempre allo stesso modo, come si snoda un rosario (con tutto il rispetto per questa pratica religiosa, quando sentita e partecipata) dagli stessi eterni zelatori siloniani. Come Mauro Canali scrisse su questo modesto foglio oltre dieci anni fa:

«[…] il declino degli studi siloniani in Italia procede inesorabile ed evidente. Le cause sono molte. E’ poco verosimile tuttavia ricondurle, come al contrario hanno cercato di fare alcuni dei relatori dell’ultimo convegno siloniano tenuto a Pescina giorni or sono, ad una sorta di complotto della grande cultura italiana, la quale avrebbe da sempre concertato di far scendere l’oblio sullo scrittore di ‘Fontamara’, poiché rappresenterebbe, come sostiene, ad esempio, Filippo La Porta, “ancora un disturbo per la cultura contemporanea” […]»

e, a posteriori, possiamo dirlo, un certo vittimismo, del tutto ingiustificato, al quale ci si è richiamati per esorcizzare e liquidare la querelle del fiduciario ‘Silvestri’, non ha fatto che rendere inevitabile il declino di costui, di tutte le sue versioni, di quella in chiaro ancor più di quella oscura. Non si è accettata l’occasione della battaglia culturale, di battere il ferro e il sentiero della ricerca: si è presa la via dell’orticello, rinserrando cardini e lucchetto con del ferro filato.

Quasi divinatorio Dario Biocca, che sempre su quel Martello per il trentennale della morte di Silone scriveva:

«[…] E così l’epilogo, cioè la comprensione della vicenda biografica nei risvolti più complessi (personali e politici, letterari e storici) resta lontano dalle istituzioni preposte allo studio della vita e delle opere dello scrittore, quasi come se i nuovi documenti fossero un fastidioso equivoco che con il passare del tempo si sarebbe attenuato fino a sparire […]»

annunziando, come poi è stato, che quel silenzio equivoco avrebbe fatto del male a Silone.

Come scrivevamo sopra, è normale che il nuovo si sovrapponga all’antico e al vecchio, che Bret Easton Ellis e David Foster Wallace – per limitarci alla cornice occidentale wasp, peraltro già abbondantemente assorbita dagli ambienti più avanzati, che sono passati ad altro – prendano il sopravvento, nel breve periodo, nel mainstream letterario, quel poco che esiste in Italia. Ma i grandi scrittori contemporanei non depotenziano per forza il valore dei predecessori; anzi, spesso, i moderni richiamano o riecheggiano temi e toni di chi è venuto prima. L’essere contemporanei nella cultura è circostanza che dipende più dall’attualità delle questioni trattate (e dei modi formali utilizzati per farlo) che dall’anagrafe; cosicché, nel torneo letterario messo su dal principale supplemento culturale nazionale in corso di lockdown, ‘Robinson’ de ‘laRepubblica’ e i suoi lettori hanno votato su trentadue autori del secondo novecento italiano, proposti in competizione e inseriti in un tabellone tipo tennis (torna il compianto Foster Wallace), e tra questi non vi era Silone.

Probabilmente non vi sarebbe stato neppure se i concorrenti fossero stati sessantaquattro. Ma vi erano, ad esempio, Luciano Bianciardi e Lucio Mastronardi, a lungo ritenuti dei minori e in epoca recente riscoperti dalla critica e dagli avventori delle librerie per la loro caustica analisi del Paese Italia alle prese con il boom economico, e con la irrisolta dicotomia città-campagna, e con il disfarsi della provincia. Temi attualissimi, per una rilettura del nastro della nostra età: temi siloniani per eccellenza. La differenza in questa rivalutazione di Bianciardi e Mastronardi l’ha fatta un atteggiamento, quello degli studiosi, che tutto questo valore, poco noto, hanno saputo analizzare criticamente e riportare alla luce, scientificamente. Da noi sembra si sia lavorato scientemente per occultare, seppellire. Un noto philosophe suggeriva, immortalmente e metaforicamente, di coltivare il nostro giardino, che è cosa diversa dal praticare esclusivamente il proprio orto, dando la voce a chiunque vi si approssimi, quasi stesse arrivando qualche temibile ladro di zucchine.

L’esperienza del Premio

Due anni fa chi scrive è stato componente della giuria del premio Silone (circostanza che, sia detto senza ironia e falsa modestia, da sola conferma la tesi che il meccanismo complessivo abruzzese sia afflitto – come è – da notevoli se non insuperabili criticità). In quell’occasione la giuria – che è sovrana – volle, come forse si ricorderà, conferire il premio a Maria Nicolai Paynter, autrice di un pessimo libro che è riuscita nell’impresa di sciupare la corrispondenza intercorsa tra Silone e il suo mecenate svizzero, Marcel Fleischmann, pubblicandola senza un corredo critico ostensibile oltre la località di Cardito di Venere (senza offesa per quella magnifica contrada). Un testo che, come mi permisi di far notare sia in sede di decisione in giuria che con una modesta recensione successiva, semplicemente ignorava il contesto nel quale quell’amicizia era nata e si era sviluppata, Zurigo (luogo ove, nella Zentralbibliothek, sono presenti ben quattro fondi di personalità ove vi è testimonianza diretta e indiretta di Silone, la cui analisi avrebbe senz’altro contribuito ad incastonare in una migliore cornice la corrispondenza così sciattamente trattata dalla Nicolai Paynter). Certo, questo irrilevante disaccordo poteva ben risiedere nella scarsa capacità di comprensione di chi scrive, al cospetto di un lavoro che – leggo nella quarta di copertina, dove vi sono i lusinghieri attestati di ben cinque cattedratici – «contribuisce alla comprensione di Silone e di Fleischmann, ma anche della storia intellettuale europea del XX secolo»; resta il fatto che tale testo è passato del tutto inosservato presso la critica (seria e meno seria), e la sua versione italiana, quella premiata edita da Carabba, non ci pare presente in nessuna delle biblioteche italiane del sistema OPAC SBN: per dire del rilievo, e della cura per i particolari dei nostri: cosicché cotanto «acume critico e ricchezza di informazioni», decantato da Bruno Falcetto sempre nella quarta di copertina, rimarrà esclusivo appannaggio dei pochi intimi che hanno avuto la disgrazia di acquistarne delle copie. O di chi a Venezia volesse provarsi alla lettura della versione inglese del libro, che è del 2016 (quando si dice stare sul pezzo), alla Ca’ Foscari. Certo, a Venezia si può impiegare senz’altro meglio il proprio tempo.

Ma ci parve e rilevammo anche altro.

Il bando del premio risultava misconosciuto (semplice prova con il motore di ricerca su internet), aperto per pochi giorni in piena estate, in più punti bizantino, e articolato in sezioni non più aderenti alla realtà dei tempi (quasi patetica, al giorno d’oggi, quella dedicata ai temi dei ragazzi, proscenio sul quale genitori e zii danno da anni il meglio di loro stessi per i rispettivi figli e nipoti, senza nemmeno darsi cura di occultare l’improprio e inappropriato aiuto). Un output complessivo veramente deludente, provinciale in senso deteriore, che ci ha confermato nelle peggiori impressioni, che avevamo maturato e ritratto nostro malgrado osservandone da fuori alcune precedenti edizioni, le ultime.

Sia come sia, l’anno scorso il ruolo di giurato, oltre che alla inamovibile triade di aquilani che da anni presidia intangibile quel luogo, è toccato in sorte, tra gli altri, a Costantino Felice. Cattedratico, persona mite e colta, ragionevole, che non abbiamo difficoltà a rubricare quale il più importante intellettuale della nostra regione. Curiosi di comprendere se avessimo capito male noi, il funzionamento del premio Silone, o meno, e non sapessimo magari stare al mondo, a tempo debito lo contattammo telefonicamente, il professor Felice, che da galantuomo com’è, pur non dilungandosi con particolari e dettagli, ci fece comprendere di aver avuto tante di quelle riserve nello svolgere il proprio compito di giurato, da essersi presto dimesso, abbandonando tosto quella compagnia (che, mi è parso, ma si prenda questa come una personalissima elucubrazione dell’estensore, non ricordasse volentieri). Ecco. Improbabile che chi scrive possa essere asceso alla stessa elaborazione di Costantino Felice; semplicemente impossibile d’altronde che costui possa essere precipitato al livello di Botticchio F.M.; la spiegazione che mi sono dato è che il premio Silone sia diventato talmente insoddisfacente da suscitare reazioni concordi nelle anime alte (Costantino Felice) come in quelle di minor vaglia (debbo ammettere di aver gettato pure qualche urlo, in giuria). Qualcuno dirà che questa corrispondenza di sensi con il professor Felice non significa e non implica nulla, ma occorre essere veramente induriti da una certa insensibilità per non porsi – ci stiamo ovviamente riferendo ai protagonisti, a chi decide, a chi stanzia i danari pubblici, e soprattutto agli studiosi e agli appassionati – la questione se il premio, per come è riuscito nelle ultime tornate, consegua e sia funzionale a realizzare gli obiettivi che dovrebbero connotarlo e informarlo. Noi pensiamo di no.

Scorrendo l’album, ora che abbiamo varcato la ventina di edizioni, è evidente un crollo dell’immagine del premio Silone, sotto tutti i profili. Un’iniziativa qualificata come internazionale, e lautamente finanziata da danaro pubblico, nata «per valorizzare e diffondere gli insegnamenti di libertà, verità e giustizia dell’insigne scrittore abruzzese» dovrebbe caratterizzarsi gratificando personalità come Ahmet Altan, o il libraio di Hong Kong. Spesso invece le decisioni appaiono interpoderali, di piccolo cabotaggio, frutto di network relazionali spiccioli e amicali, sfilacciati, improponibili. Il risultato è che questo premio da anni non ha alcuna copertura e rilievo mediatici. Giustamente. Di contorno, molti eventi, letture, recital, che apportano ben poco alla conoscenza generale, e talvolta pochissimo anche al piacere di assistervi. (Incomprensibile la messa in scena di testi di giurati, che non hanno alcuna connessione con Silone se non quella, piuttosto labile, di essere stati scritti da dei giurati del premio.) Con le medesime risorse, il premio Flaiano è quasi fantascienza; mentre con molti meno danari, chi organizza, sempre nella nostra regione, il premio Croce o la kermesse su John Fante fa molta maggior figura, almeno ai nostri occhi, traducendo in realtà concreta il proverbiale risparmiare e comparire.

Il Centro studi

Ancor prima del premio, la Regione Abruzzo e il Comune di Pescina misero mano ad un Centro studi su Silone. Come il premio, anche il Centro ha vissuto momenti migliori e altri (invero più lunghi) meno esaltanti, e doveva rappresentare (dovrebbe rappresentare, è) una sorta di cinghia di trasmissione tra lo studio delle opere e della figura di Silone, la comunità e il premio. Trascorsi oltre trent’anni dalla sua istituzione, ci sentiamo di dire che il meccanismo congegnato per il funzionamento del Centro, incardinato su un pletorico comitato direttivo nominato dal consiglio comunale di Pescina, ha mostrato e mostra chiaramente la corda. Più volte si è tentato di riformarlo, con risultati infinitesimi. Concepire un parlamento siloniano non si è rivelata una grande idea, non potendosi contare su una struttura in grado di implementare non solo l’elaborazione necessaria ma di supportare il lavoro quotidiano, ed appare oggi del tutto anacronistica, infungibile, se non per perpetuare un meccanismo che sa di arrangiato e di bricolage. Trattasi di un meccanismo che alla fine, a furia di aporie e di giri a vuoto, conduce una grande testata nazionale a ritenere che Silone sia espressione di Aielli.

Attualmente il Centro studi è un’entità che gestisce una parte del patrimonio archivistico di Silone (le copie della corrispondenza intrattenuta con varie personalità, conservata in originale alla Fonda-zione Turati di Firenze; ma non i fascicoli sui rapporti con gli editori, che sono solo in Toscana, mentre sarebbero stati utili qui, avendo il Comune di Pescina la titolarità di parte dei diritti d’autore [non molto seguiti]), e altra documentazione – edizioni di libri, memorabilia – lasciati dalla vedova di Silone. Accedendo in questo luogo, non si capisce se ci si trovi in un museo, in una fondazione, altro. Nessuno lo sa. Di sicuro è il teatro comunale.

Il sito internet del Centro studi – occorre dirlo – è assai infelice, mentre costituisce un’esperienza imbarazzante registrarsi per consultare le copie della corrispondenza sopra richiamata, attività per la quale occorre passare in un form con tanto di “carrello” e “paypal” mutuati chissà dove e come (ma non si paga; d’altronde neppure si riesce a vedere la documentazione). Scherzando ma non troppo, ricordo sempre di essere entrato – lecitamente – nell’archivio del servizio segreto militare ma di non essere mai riuscito a consultare una lettera di Silone a Pescina. Potrà mai essere? Nessuna persona al mondo, appassionata di ricerca sul mondo socialista democratico e libertario, può ritenere potabile un simile portale, quando sul sito della Biblioteca Gino Bianco si può fruire di un motore di ricerca portentoso su migliaia di articoli e riviste dell’ambito socialista democratico e libertario, ivi compresa la collezione completa indicizzata di “Tempo Presente” (nemmeno ad un link abbiamo pensato). Per il resto, si nota una grande confusione di prospettive, nella quale da quattro lustri ci si propone fuori di Pescina con una mostra di pannelli (ancora nel 2020!), sempre la stessa, agiografica, che è quanto di più lontano immaginabile per tentare di far partire quel processo di riscoperta sopra accennato; gli archivisti del Centro curano i cataloghi da stampare in ottima carta patinata in luogo di critici e storici; gli esperti aquilani del Centro si occupano di riedizioni di testi siloniani, curandoli direttamente.

Autoreferenzialità assoluta.

Casa natale e parco letterario

Ora, è in via di conclusione il restauro della casa natale di Silone, acquisita dal municipio; l’ente ha poi meritoriamente trovato il modo di coinvolgere una fondazione nazionale per gli ingenti lavori materiali occorrenti. Urge, adesso, un concetto complessivo di cosa si voglia fare della struttura, e come si voglia e vi si debba innervare la documentazione. Ma è piuttosto evidente che Pescina da sola non ce la possa fare, e poco possano apportare, in termini di elaborazione alta, con tutto il rispetto, gli aquilani barricati da anni al Centro e al premio. Ormai imprescindibile realizzare un network con le fondazioni di Firenze e Sulmona onde tentare di sottrarre Silone dall’oblìo al quale, da parte fontamarese, lo abbiamo condannato, imbalsamandolo in una visione ad una dimensione. Occorre, a modestissimo giudizio di chi scrive (che, come detto più volte, non si candida a nulla, non avendo titolo e non essendo minimamente in grado di…), un totale ridisegno di obiettivi e di costruzione di una nuova immagine pescinese.

I-m-m-a-g-i-n-e. Togliere la naftalina.

Contemporaneamente, con i danari del Masterplan dalfonsiano, si sta provvedendo ad una invasiva rivalutazione del percorso del centro storico, dal ponte alla torre, e ancor più occorrerà integrare questo ridisegno (che non poco ci preoccupa, come abbiamo scritto dopo aver letto la relazione storica del progetto; ed in ragione del mancato studio del sottosuolo del nostro centro antico, in occasione del centenario del 13 gennaio) in un’ottica che contempli questa offerta culturale siloniana, che è parte costituente del ‘parco letterario’, che ci si propone di fare. Ma dobbiamo farci aiutare. Dobbiamo innanzitutto uscire dall’equivoco di ritenere che Silone sia una proprietà privata pescinese (con il risultato di depauperarne il valore per come abbiamo fatto sino ad oggi) e rivolgerci alle professionalità in grado di svolgere un simile gravoso compito, in maniera complessiva ed autorevole (soprattutto in termini di indici bibliometrici). Trattasi dell’ultima chiamata prima del disastro, e offendersi e rintanarsi nell’orto siloniano fontamarese non servirà a nulla se non a porci nella condizione, un domani prossimo, di imprecare contro la sorte avversa, l’incomprensione dei critici, la poca sensibilità dei lettori, gli amici aiellesi persino.

Di questo pensiamo dovrebbe e dovrà occuparsi chi andrà al municipio il mese prossimo, chiunque esso sia, con la sollecitudine richiesta dal caso, scansando accidie incrostazioni e ogni altro impedimento. Ma la vedo dura.

(Tanto si doveva a scarico di coscienza)

Tratto da: Il Martello del Fucino 2020-3

VEDI ANCHE (e soprattutto):

Luco dei Marsi, 9 settembre 2018 – conferenza “IL MIO SILONE nel quarantennale della morte” di Mauro Canali per “Vent’anni e tre giorni di informazione”
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