Siamo un’Italia più mafiosa di venti anni fa. Sul fronte politico, culturale e civile l’arretramento più vistoso

Redazione
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di ATTILIO BOLZONI

(per Site.it)

Sono più di centocinquanta giorni che ogni mattina parlo di mafia e qualche volta anche di antimafia nel blog su Repubblica.it. Ho cominciato il 9 gennaio, all’inizio di un anno che arriva un quarto di secolo dopo le uccisioni di Falcone e di Borsellino. E’ la ragione per la quale ho deciso di aprire il blog Mafie e affrontare con continuità la questione della criminalità mafiosa in Italia, tema spesso trascurato o – peggio – trattato con superficialità e approssimazione, con una sgradevole retorica che distorce i fatti.

Chiusa la parentesi sanguinaria e straordinariamente deviante dei Corleonesi – che hanno lavorato per conto proprio dentro Cosa Nostra e per conto terzi in un’Italia attraversata dalla strategia della tensione – la mafia è tornata quella di prima. Prima delle stragi, dei cadaveri eccellenti, della mattanza di Palermo. Dopo l’atto finale dell’estate del 1992, seguito dalle bombe al Nord per dare l’ultimo “colpettino” a chi non voleva capire fino in fondo cosa era accaduto il 23 maggio e il 19 luglio del 1992, la mafia già da tempo ha fatto pace con lo Stato italiano. Nulla di clamoroso o di inedito, era andata così nell’ultimo secolo e mezzo prima degli attentati e delle mitragliate contro magistrati, giornalisti, sacerdoti, ufficiali dei carabinieri, poliziotti, imprenditori, prefetti, uomini dei partiti politici che avevano cercato di contrastarla.

La mafia è semplicemente tornata mafia dopo i deliri di Totò Riina e dei suoi “picciuttunazzi” scesi dalla Rocca Busambra. Canazzi da catena, da sciogliere alla bisogna.

Ma c’è anche un altro tema estremamente interessante che è lo specchio dell’altro: l’antimafia. Argomento tabù fino a qualche mese fa, finalmente si comincia a dibattere di questa antimafia che ha modificato nel breve volgere di qualche anno il proprio dna, più interessata a spremere contributi pubblici e a mantenere i propri apparati che a denunciare collusioni e vergogne.

Credo che la mafia e l’antimafia abbiano percorso in questi ultimi tempi cammini paralleli e inversi con un’unica destinazione.

Oggi la mafia – dopo la stagione stragista – si è ripresa la sua identità e si è risistemata nella sua posizione ideale. Dentro, accanto e vicino a chi comanda. L’antimafia, al contrario, la sua identità l’ha persa. E si è accomodata dentro, accanto e vicino a chi comanda.

Oggi la mafia si rifà alla sua “tradizione” per continuare ad essere mafia pesando sulla vita italiana anche senza sparare un colpo e, contemporaneamente, tentando di infiltrarsi e di penetrare in ogni angolo dove può accumulare potere e ricchezza. Oggi c’è un’antimafia che non è più severa nei suoi comportamenti, rigorosa nelle sue azioni. Si è spompata, svilita, incapace di riconoscere il nemico, che esce allo scoperto magari solo una volta l’anno per gridare che “la mafia fa schifo” o altri grossolani spot da carosello.

In questi venticinque anni lo Stato ha disarticolato la struttura militare della Cosa Nostra corleonese – con una capacità repressiva senza precendenti – ma nello stesso tempo la macchina investigativa non è riuscita ad intercettare e interpretare in tempo cambiamenti e camuffamenti di una criminalità sempre meno visibile dove poteri legali e poteri illegali si confondono.

Ma non è sul fronte giudiziario o poliziesco che c’è stato l’arretramento più vistoso, è su quello politico, culturale, civile. Al di là dei proclami, siamo un’Italia più mafiosa di due decenni fa. Solo Palermo forse si salva. Solo Palermo, nel nostro Paese, è meno mafiosa di prima. Ancora ferita, più consapevole, più affamata di libertà.

Ecco perché ho deciso di aprire il blog Mafie. Per approfondire, per discutere, per aprire un confronto con tutti coloro che ne sentono la necessità. Se la mafia tace e dall’altra parte anche l’ antimafia tace, vuol dire che è accaduto qualcosa che val pena di indagare. Il silenzio è sempre un segnale che inquieta.

Attilio Bolzoni


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Rubrica ideata e curata da Attilio Bolzoni, alimentata dal contributo quotidiano di autorevoli commentatori: storici, giornalisti, giuristi, magistrati, esperti di criminalità e rappresentanti del mondo dell’associazionismo e della cultura. [ VAI AL BLOG ]

E’ passato un quarto di secolo dall’uccisione di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino: stragi che hanno fatto tremare l’Italia, seppellito segreti e speranze, chiuso un’epoca di terrorismo mafioso che probabilmente non tornerà più. Dopo Capaci e via D’Amelio sulle associazioni criminali si è abbattuta una repressione senza precedenti con indubbi successi dello Stato; eppure, sulla grande questione della criminalità, delle sue trasformazioni e dei suoi travestimenti, nel nostro Paese è calato un profondo silenzio. Ecco perché, proprio nell’anno del venticinquesimo anniversario dell’estate siciliana del 1992, abbiamo deciso di inaugurare questa rubrica: uno spazio aperto, un dialogo a più voci per capire meglio cosa sono diventate oggi le mafie.

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