Scuole e “bare volanti”

Franco Massimo Botticchio
Franco Massimo Botticchio
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Amatrice - Incrocio via Roma e via Nibbi

Il terremoto di Amatrice ha innescato, con sette anni di ritardo, quel moto nelle genitoriali coscienze che avrebbe dovuto verificarsi, in specie nei centri collocati a ridosso della faglia del Serrone, già con il 6 aprile 2009. Allora invece, con una serie di verifiche e rilievi a vista, molte scuole chiuse dopo la fatal ora 3:32, vennero riaperte nel giro di pochi giorni, in massima parte successivamente alla constatazione di assenza di danni visibili da parte dei preposti funzionari della Protezione Civile (Dio Guardi), o blande verifiche successive.

Ove si escluda qualche esempio virtuoso, le amministrazioni locali marsicane hanno poi bellamente continuato ad albergare le schiere dei loro scolari nelle vetuste strutture ereditate dai decenni che vanno dai Sessanta ai Novanta del secolo scorso, quando una legittima ansia di progredire spinse a realizzare una serie di plessi i quali, andando a sostituire ricoveri provvisori e abitazioni private (dai tetti di legno e cannucce), sono sopravvissuti sino ad oggi, accanto a pochi molossi dell’era fascista (di regola, meglio costruiti, questi ultimi, dei successivi di età repubblicana; e di maggior pregio e valore storico). Strutture purtroppo in gran parte nate già vecchie, fatte per lotti e blocchi in epoche diverse, lontane anni luce dall’assicurare lo svolgimento di una didattica dignitosa.

Nell’imminenza di un nuovo anno scolastico che andava dunque ad iniziare nelle stesse strutture utilizzate l’anno prima, e quello prima ancora, e così via, la notte del 24 agosto ultimo scorso ha innescato una sorta di panico tra i genitori di interi comprensori (la Valle Peligna non è stata da meno della Marsica), la cui miccia, ad onor del vero, è stata rappresentata da una insufficientissima comunicazione istituzionale degli enti tutti (un esempio plateale è stato quello di Avezzano, caso che tratteremo diffusamente nei prossimi giorni), la cui deficienza ha finito per rafforzare, in molti animi, i sospetti sulla effettiva resilienza delle strutture nelle quali hanno per anni accompagnato i loro figli o si sono recati essi stessi a loro volta al lavoro, e che si apprestavano nuovamente ad utilizzare.

Ci si è avveduti così – solo sotto psicosi – che delle nuove indagini sulle scuole in uso erano senz’altro consigliabili, mentre si è corsi, per chi lo aveva disponibile, a compulsare l’indice di vulnerabilità sismica, ed in ogni caso a reclamare l’arrivo dei MUSP, i moduli provvisori ad uso scolastico di aquilana memoria che in molti casi, per accoglienza e fungibilità alla didattica, rappresenterebbero un deciso passo avanti rispetto alle “bare volanti” attualmente in uso (inciso: la nostra definizione, per alcuni plessi che vediamo nella nostra disgraziata Marsica, di “bare volanti”, è di molto precedente al 24 agosto 2016, come ben sanno i nostri tre lettori).

Le indicazioni emerse da questo indice di vulnerabilità sismica (che è il rapporto tra la capacità della struttura di far fronte al sisma e quella richiesta [in termini di resistenza e/o spostamento] per far fronte ad un terremoto possibile nella zona di riferimento, che permette la definizione dell’indicatore di rischio sismico, ossia un parametro unico con andamento esponenziale che riassume le principali caratteristiche strutturali di un manufatto. Per valori superiori all’unità l’edifico sarà adeguato sismicamente a quanto previsto dalla normativa tecnica vigente) sono, in diversi casi, pessime.

Un indice basso, ci si aspetterebbe, dovrebbe condurre automaticamente alla chiusura di una scuola, e per quanto tale indice non sia l’unico parametro da tenere presente per valutare complessivamente la situazione di un complesso edilizio (e quindi per assumere una decisione), pure certi numeri suonano impietosi. Eppure, nella nostra bella Italia, una soglia rigida pare di comprendere non sia fissata. E pare anche che nel recente incontro a L’Aquila tra i sindaci della provincia, il Prefetto, la Regione, ecc., sia emerso un orientamento – che dubitiamo verrà siglato e sancito in una documento ufficiale – per il quale, non potendosi riempire la regione di MUSP, si riapriranno anche scuole con indici molto bassi. Anche perché la didattica non può subire ritardi o attentati ai duecento giorni di corso. Non sia mai!

In un caso che da tempo ci ha tenuti occupati, le elementari di via Fucino di San Benedetto dei Marsi, addirittura pare sia utile alla bisogna un numero infimo di salvaguardia della vita: 0,208. Senza neppure la prospettiva di immediati interventi di adeguamento e miglioramento (ergo: per anni si andrà avanti in quella struttura). E c’è chi va adoperandosi per questa soluzione, e chi applaude, chi la ritene giusta e chi addirittura obbligata. Ma non si comprende bene da quale legge.

Se fossimo noi a capo del municipio di San Benedetto (immaginiamo gli scongiuri di molti), ci penseremmo bene. Nel 1915 il terremoto, in quel luogo, ha letteralmente inghiottito metà della popolazione.

1915 - Morti San Benedetto dei Marsi
1915 – Morti San Benedetto dei Marsi

Ed anche qualche ragionamento, peraltro inaccettabile, sui tempi di ritorno di un simile sisma con una tale forza, non tiene conto del fatto che ci sono altre faglie, oltre quella del monte Serrone, Valle Subequana e Alto Sangro, che potenzialmente potrebbero farci mooooooolto più male di Amatrice (si noti: come però se fossimo dentro Amatrice).

Con un indice di 0,208, noi rifletteremmo bene, prima di riaprire la scuola, perché non tutto quel che è lecito o legittimo è anche morale. E se proprio la Legge – quella con la maiuscola – pretendesse la riapertura, c’è sempre la possibilità di restituire la fascia e farla aprire, quella “bara volante”, ad un bel commissario prefettizio.

Ma noi siamo anarchici. E siamo anche sufficientemente stupidi da averla segnalata per tempo, questa situazione (come risulta dai link in basso)… e dunque… buon anno scolastico! E buona fortuna!

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