San Benedetto dei Marsi: «LA TERRA DEI FUOCHI»

Redazione
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Da molto tempo – ed in ultimo, nelle recenti uscite, costantemente, con un’acribia degna forse di peggior causa – andiamo lamentandoci di come le Autorità preposte abbiano trattato, negli anni, diversi episodi di incendi dolosi appiccati a proprietà ed autovetture di questa parte di Fucino.

Accadimenti che, distribuiti nel tempo, hanno certamente responsabili diversi, e scopi e obiettivi – più o meno confessabili – difficilmente riconducibili ad un disegno, ad unità. Senonché, i recentissimi fatti accaduti in pieno paese, in estate, testimoniano che a San Benedetto dei Marsi la questione va facendosi veramente seria. Innanzitutto perché la sfida al destino portata dagli “incendiari”, ce lo dice la statistica, tra poco, perseverando, farà il morto. Poi, per la ragione che tale attività – delinquenziale pura, e posta in essere, al contrario che in passato, da giovinastri che possiamo ritenere dotati di fosforo (quello che sfrigolano per accendere la benzina) e di freni (quelli delle loro autovetture) – si va saldando, onde conseguire un’aura/schermo di rispettabilità (che assolutamente non merita), con la politica e con la questione immigrazione. Uno schema già visto (e persino collaudato), in tante altre realtà, più evolute e (persino) più disgregate della nostra, quello di vellicare e tollerare (giustificare) certi comportamenti contrari alle norme (giuridiche, e prima ancora, del vivere civile, del buonsenso) onde (illudersi di) dare la stura ad un disagio sociale ritraendone, con l’esercizio-sfogo di pochi (generalmente non titolati ad esprimere alcuna insoddisfazione), un preciso tornaconto politico da parte di altri.
Calcolo miope, che pure è piuttosto in voga, ed è approdato persino da noi (i casi di Luco dei Marsi ne sono il collaudo), che potrà andare avanti sin quando il guaio combinato sarà troppo grosso per essere sottaciuto. A quel punto (di non ritorno), i fessi prenderanno la via delle patrie galere mentre ispiratori e beneficiati dal movimento si trincereranno nel silenzio, continuando ad amminestrare come hanno sempre fatto, senza guardare in faccia a uomini razze religioni (dettagli buoni ad ammantare le vere questioni dell’egemonia locale e verso i quali i nostri nutrono una sovrana indifferenza) ma con un solo obiettivo: il potere (e l’interfaccia del danaro, che molti equivocano quale potere). Lo stesso centro di potere che in questi anni ha dettato le politiche dell’immigrazione e dei flussi, nonché degli arrivi (talvolta smisurati, ed inspiegabili) presso le aziende agricole fucensi, senza che i fenomeni deteriori – innescati dai colletti bianchi – venissero minimamente repressi, per quanto di pubblico dominio e facile verifica (delle pratiche). Che proprio costoro, che hanno ritratto, dall’immigrazione tout court e grazie alla forza lavoro a basso costo, ingenti guadagni, ne siano gli avversari, sia pure occultati dietro le quinte, è cosa cui può far fede solo qualche inguaribile credulone.
E’ nostra modesta opinione – non da oggi, senza la pretesa di voler fare la lezione ad alcuno – che gran parte delle Autorità non detenga gli opportuni strumenti innanzitutto culturali per arginare questa deriva. Per certi versi, un simile andazzo è anche idoneo a giustificare le tante manchevolezze di un apparato statuale che fa acqua da tutte le parti, legittimandone di converso il fondamentale necessitato ruolo per il controllo del territorio. Un poco come quei forestali dei quali si favoleggia appicchino il fuoco per farsi riassumere l’anno successivo, delle Autorità è certo che più esse latitano e più vi sia e si avverta il bisogno. Se si riesce a mantenere la fiamma sottovento (ché una volta accesa potrebbe incendiare tutto), trattasi di un ottimo investimento.
La macchina a fuoco dell’altra sera è diventata tale dopo un tempo infinito nel corso del quale si sono verificati un fracco di eventi: la stazione dei carabinieri di San Benedetto è distante, dalla parte bassa del paese, ad esagerare, due minuti di macchina, ma per ragioni imperscrutabili (e che saranno persino ineccepibili, sotto il profilo burocratico e feriale) le prime forze dell’ordine sono giunte a cose ampiamente fatte, pare da un paese vicino. Non occorre essere dei giganti del pensiero per indurre che sarebbe bastato il semplice innesco da lontano della sirena dell’auto dei carabinieri per far interrompere, diverse decine di minuti prima, quella indegna giostra. La domanda nostra è: e se ci fosse scappato il morto? Possibile che una stazione dei carabinieri non riesca, una sera di piena estate, ad erogare un servizio minimo come quello che sarebbe occorso per spegnere gli animi senza ritrovarsi nella condizione di dover spegnere le fiamme? E la sera dopo dov’erano? E in caso di un tentativo di ritorsione, sempre possibile, o di reiterazioni? E dare un’occhiata alla Villa, ogni tanto?
Per carità: l’attività di chi è investito del compito di garantire e tutelare l’ordine pubblico è molto complessa (sia detto: in parecchi altri luoghi d’Italia lo è anche di più) ma occorrerà che chi di dovere entri nell’ordine di idee che tale preservazione fisica trova la propria necessità più di notte che di giorno, e dunque sarà bene che ci si provveda convenientemente (si glissa sull’attività dispiegata il giorno, almeno quella recentemente da noi molto contestata: la sospetta partecipazione del comandante la stazione di San Benedetto dei Marsi alla consultazione di una lista amministrativa per le primarie; l’attività di polizia giudiziaria in ordine al procedimento penale per abuso d’ufficio nei confronti del passato sindaco di Marruvium [oggetto del Martello fluorescente di quindici giorni fa: un autentico capolavoro di insensatezza], ecc.).
Tornano alla mente molte delle elucubrazioni prodotte e lette in occasione delle recenti elezioni amministrative. Una volta, anche i peggiori esponenti della politica locale, e persino quelli militanti nei partiti estremi, mai si sarebbero sognati di esercitarsi in quella attività predicatoria di sovversivismo becero che connota spesso le posizioni demagogiche  di chi oggi ascende a qualsivoglia poltrona, e che si connota per la caratteristica di dire peste e corna delle Istituzioni i cui scranni si vanno a riempire. Nel caso di specie, si è ricondotta una competizione per il municipio in un confuso non-dibattito sul ripristino dell’ordine pubblico asseritamente violato (ma quanti di coloro che si dolgono hanno mai fatto qualcosa di congruo finalizzato a modificare realmente gli eventi?) dall’immigrazione clandestina (e non). Ecolalie dai tratti razzistici e siderali al contempo che sarebbero di scarso momento – essendo del tutto sprovviste di raziocinio formale e sostanziale – se non costituissero invece un segnale allarmante, ed il brodo di coltura (non di gallina: di birra) dal quale certi episodi possono germogliare. Ed immancabilmente accadono.
Molti sono dimentichi del fatto che lo stesso San Benedetto, in centocinquant’anni, si è popolato infinite volte di persone provenienti da mezzo Abruzzo ed anche oltre, che l’anarchico Ippoliti definiva “cavallette” ma che alla fine non hanno fatto sì malvagia riuscita.
Ora che cotanto ordine pubblico viene perturbato da chi immigrato non è, subentra il silenzio, coperto dalle alte grida delle feste in piazza di questo agosto (lodevoli iniziative, per quanto a chi scrive abbiano ricordato il passaggio di Guy Debord sui prodotti nella società dello spettacolo, per i quali il sistema «ha conservato il nome e buona parte dell’apparenza, ma ritirandone  il gusto e il contenuto» / ma questo è problema unicamente di chi scrive, evidentemente / anche se in tale frangente il ritorno dei secchioni onestamente proprio non ci è piaciuto). Qualche mente esaltata potrebbe scambiare questa mancanza di reazione civica della popolazione per accondiscendenza, se non per adesione. Sarebbe compito delle Autorità porre un freno “serio” a questo andazzo ma siamo molto scettici sul fatto che assisteremo a questo evento, probabile che i fatti ancora una volta vadano dispersi in quel porto delle nebbie che è la Procura della Repubblica di Avezzano. D’altronde a mandare in confusione qualche testimone o qualche poveraccio non occorre poi molto, in specie quando il torto è ovunque ed equamente distribuito.
Passato Ferragosto, alla prima pioggia, si entra nel lungo inverno di Fucino: i lavoratori della terra del Nord Africa se ne ripartono (almeno) per qualche mese, e noi qui, concluse quarteriadi, corride, sagre, dovremo industriarci per ascendere ad un grado superiore di civiltà (che non contempla e prevede violenze fisiche o morali in danno di alcuno) mettendo mano ai tanti e gravi problemi che angustiano la nostra terra, problemi ai quali nessuno pare voler realmente porre mente. Una simile inazione, lungi dal lasciare tutto com’è, fa in realtà aumentare il gap che già ci distanzia da tante altre plaghe italiane ed europee, avviandoci a quel triste destino di distretto energetico-minerario al quale coloro che ci invitano subdolamente a litigare con i marocchini ci ha già destinati, progettando di utilizzare sia noi che loro, come complici del disegno e quale forza lavoro a basso prezzo.
Ogni ulteriore “ammiccamento” agli incendiari è dunque, soprattutto, una grande perdita di tempo.
(fmb)

Scarica il pdf completo de IL MARTELLO DEL FUCINO N. 13 – agosto 2013

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