Ri-fondare e ri-costituire la città, prima di ri-costruirla

Redazione
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La manifestazione aquilana del 20 novembre scorso è stata una tappa importante di un percorso iniziato dal maggio 2009. Fin dalle prime iniziative una delle caratteristiche peculiari è stata la partecipazione prevalente dei giovani, il loro senso di responsabilità civica, la lucidità nel comprendere quel che stava avvenendo. L’ultima manifestazione ha confermato questo dato, un segnale vitale per la democrazia e per la nostra collettività. Le azioni si sono contraddistinte per la capacità di formulare proposte fattive: dalle soluzioni alternative ai piani di emergenza, a quelle relative ai progetti di ricostruzione, dalla piattaforma tasse alla stesura del progetto di legge di iniziativa popolare.  Senza dimenticare l’ultima inchiesta sulla speculazione della  Europa Risorse sgr, divenuta in seguito oggetto di un’interrogazione parlamentare. Se l’attenzione del Paese sul nostro territorio è ancora viva, se una parte dell’opinione pubblica non crede più all’inganno che da noi “tutto è risolto”, lo si deve solo ed esclusivamente all’azione dei cittadini, alle mobilitazioni, all’efficacia con cui sono stati utilizzati i mezzi di comunicazione. Non a caso dall’Aquila, nel novembre 2009, è partita la battaglia nazionale, vinta, di opposizione al progetto di trasformazione della protezione civile in una società per azioni. Una capacità di relazione con realtà sociali e territoriali di tutto il Paese che hanno portato al successo della manifestazione del 20 novembre.
La frattura che si è aperta il 6 aprile consegna a tutti noi responsabilità che, nelle nostre terre, si distribuiscono con drammatica cadenza nei secoli.
Siamo chiamati a ri-fondare e ri-costituire una città, prima di ri-costruirla. Perché non si può ri-costruire senza re-inventare la città: il suo significato dopo il trauma, la sua cultura, il suo posto nel mondo, il suo modo di produrre, di consumare, di spostarsi, di comunicare, di divertirsi e socializzare, insomma di essere. Per questo tutte le energie, le competenze e le fantasie che normalmente restano ai margini dei processi decisionali, vanno mobilitate.
La partecipazione delle persone, in questa fase storica, ha un ruolo fondante. Non si può essere all’altezza di queste sfide senza avere il coraggio di re-inventare anche i modi e le forme della politica. In questo momento la delega passiva non basta, è necessaria un’assunzione di responsabilità collettiva, che vada oltre quella personale e investa lo spazio pubblico. Una forza che sparigli i giochi solitari del calcolo politico e non sia ristretta nella retorica degli opposti schieramenti consueta nei comizi elettorali. Una città non la ricostruisce un commissario, un sindaco, un vescovo, un’ordinanza e neppure una legge, seppur necessaria. Solo la ferma volontà dei cittadini può farcela, una comunità coesa e dignitosa determinata a lottare per i propri diritti. Un cambio indispensabile di mentalità e di modalità che l’attuale classe politica ha dimostrato di non essere capace di interpretare. L’ultima manifestazione ci dice che tocca a tutti noi, alle nuove generazioni in particolare, assumersi la responsabilità di lanciare la sfida per il futuro con tutte le passioni, le competenze e le forze necessarie.  Altrimenti continueremo a girare intorno a una rotonda che ci hanno costruito, senza accorgerci che ci troviamo di fronte a un bivio.
(Ettore Di Cesare)

Tratto da: SITe.it edizione stampata – numero zero dicembre 2010

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