REPORT SULLA SITUAZIONE A GERUSALEMME EST A FRONTE DELL’INTERVENTO MILITARE A GAZA

Redazione
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Riceviamo e pubblichiamo:

Ramallah
Da ieri tacciono le armi a Gaza, e il mondo palestinese conta i propri morti. Nei campi profughi della West Bank sono in molti ad avere parenti nella striscia. Durante la guerra del 1948 le famiglie scacciate dall’esercito israeliano lasciarono i villaggi e si affidarono alla fortuna: alcune verso l’altipiano, altre verso il mare. I 21 giorni dell’operazione “piombo fuso” sono stati scanditi nel mondo arabo dalle immagini in presa diretta del network di Al Jazeera. A differenza dei media europei e americani, Al Jazeera non ha censurato le immagini e le testimonianze piu’ scabrose e i reporter si sono spesso trovati sotto il fuoco. La societa’ palestinese si sente lasciata sola di fronte al massacro, le cui proporzioni e spietatezza giungono in Europa tramite le statistiche, piu’ che grazie alle fonti di informazione. Statistiche che, a fronte di cinque vittime civili israeliane, hanno visto il bilancio palestinese ampliarsi con progressione geometrica fino fino a raggiungere i 1.300 morti. Colpisce la determinazione dei tank israeliani a non risparmiare obiettivi neutrali, quali scuole ONU, ospedali, ambulanze. Di fronte alla frequenza di questi proclamati “errori”, il senso di frustrazione e la disperazione della gente comune diviene ingestibile.
Il secondo grande assente sulla scena di Gaza e’ l’Autorita’ palestinese. A Ramallah si sono tenute deboli iniziative ufficiali; per le strade non sono stati affissi manifesti ne’ installati monitor per seguire gli avvenimenti. Il governo di Abu Mazen e’ apparso incerto e incapace di prendere decisioni efficaci. Di contro la sensazione comune e’ che questa carneficina abbia consolidato e amplificato il consenso di Hamas in entrambi i tronconi dello stato palestinese. La gente appare molto colpita inoltre dalle manifestazioni di solidarieta’ del mondo arabo, che tuttavia esprimono un forte afflato religioso e sentimenti di rivalsa militare. In paesi come l’Egitto si osserva un processo simile a quello palestinese su scala piu’ ampia, con una progressiva frattura tra governi “moderati” e masse indignate.
Causa la frammentazione del quadro politico e la frattura tra le due principali compagini, in West Bank non si e’ assistito ad alcun movimento organizzato. Colpisce la mancanza di un pensiero, di una strategia a fronte dell’enormita’ delle sofferenze inflitte ai civili di Gaza. La West Bank conosce per esperienza diretta gli effetti sulla popolazione civile del blocco territoriale. Le distruzioni conseguenza delle azioni militari portano alle estreme conseguenze l’azione di progressivo sgretolamento del tessuto economico e istituzionale che ha coinvolto la striscia negli ultimi anni. La chiusura ermetica delle frontiere attuata dal 2007 ha spinto buona parte della popolazione locale nell’indigenza. La reazione della gente comune in Cisgiordania e’ un afflato di solidarieta’, che supera le lacerazioni politiche dell’ultimo periodo. In particolare nei campi profughi si moltiplicano le iniziative: raccolte fondi, veglie, raccolte di generi di prima necessita’.
Le manifestazioni spontanee in West Bank ricordano da vicino il movimento della Prima intifada. Protagonisti sono i ragazzi. Si muovono in piccoli gruppi ed attaccano i militari ai check point a sassate. E’ un copione che si ripete da tre settimane il venerdi’, dopo la preghiera. I militari preparano truppe ed armi dietro le linee di confine dalle prime ore del mattino. Ai sassi rispondono con irruzioni di blindati e camionette e con un fuoco che si fa piu’ serrato con il passare delle ore. Per rallentare le incursioni in mezzo alle vie, si da’ fuoco a pneumatici da camion. Raramente sono stati utilizzati in queste settimane dai militari proiettili di metallo, tuttavia venerdi’ scorso a Hebron un ragazzo di 16 anni e’ stato colpito a morte. Le cariche sono precedute dal lancio di lacrimogeni e sound bomb -bombe stordenti-, quindi dallo sparo di “proiettili di gomma”. Si tratta di strumenti che possono rivelarsi devastanti, specialmente se esplosi a distanza ravvicinata. L’anima del proiettile e’ infatti di metallo, rivestito da materiale plastico. Se dunque l’arma non e’ progettata per perforare i tessuti, l’impatto puo’ produrre gravi emorragie interne e fratture ossee.
E’ quanto e’ accaduto in queste settimane anche nei campi profughi di Shu’fat e Kalandia, ove si segnalano 60 minori coinvolti, tra feriti ed arrestati, tra i quali 2 femmine. Si tratta di ragazzi tra i 12 e i 18 anni, molti dei quali seguiti dal servizio educativo supportato da Vento di Terra e dalla Rete degli Enti locali lombardi. La situazione piu’ grave si registra a Shu’fat, ove 30 minori hanno riportato ferite e contusioni durante gli scontri. L’esercito ha fatto massiccio ricorso agli arresti, sia durante gli incidenti, sia nei giorni successivi. I ragazzi sono portati nel centro di detenzione di Maskobeh a Gerusalemme est e posti nelle celle con gli adulti. Alcuni testimoni affermano di aver constatato una situazione di sovraffollamento e la presenza di minori e giovani trattenuti in condizioni gravi senza assistenza medica. Frequenti risultano i pestaggi ai danni dei prigionieri, compiuti in particolare durante l’arresto e il trasferimento al carcere. Si ha testimonianza di un minore colpito al volto, cui sono stati spezzati gli incisivi, le cui condizioni si sono aggravate durante la detenzione. Le autorita’ militari sono state costrette a provvedere al ricovero al vicino Makasset Hospital.
Gli arrestati, sia adulti, sia minori, subiscono nelle prime ore di detenzione pesanti interrogatori, senza la presenza di avvocati o testimoni, volti a ottenere una piena confessione e i nomi di altri partecipanti agli scontri. I militari usano inoltre riprendere gli avvenimenti allo scopo di individuare le identita’ dei partecipanti. Gli arresti avvengono durante incursioni, specialmente durante la notte. Alcuni minori rimangono in cella per 7 – 10 giorni, per essere deferiti in seguito ad un tribunale civile. Durante le sessioni gli accusati hanno diritto ad una difesa, tuttavia il ruolo e le testimonianze dei militari risultano preponderanti. Alcuni minori vengono rilasciati entro 48 ore.
L’esperienza dell’arresto e della detenzione appare devastante, soprattutto nei soggetti piu’ giovani e fragili. La sindrome traumatica si manifesta nella difficolta’ a socializzare, nella paura di uscire di casa, nelle resistenze a riprendere la vita consuetudinaria, nei disturbi del sonno e nella enuresi notturna. I ragazzi rivelano inoltre notevoli difficolta’ a parlare, e a volte a ricordare, gli avvenimenti. I famigliari da parte loro tendono a non divulgare le informazioni sulle violenze per timore di nuove azioni dei militari. I genitori di Shu’fat citano il caso di alcuni ragazzi arrestati dopo la degenza a causa delle denunce di maltrattamenti pubblicate dai giornali. Il caso delle ragazze arrestate appare il piu’ critico. Nella societa’ palestinese la figura femminile, soprattutto nella fase adolescenziale, e’ totalmente dominata dal ruolo paterno. Molte ragazze non si allontanano dalla casa natia sino al matrimonio. A loro e’ concesso un appoccio con il mondo esterno defilato e mediato dalla famiglia. La detenzione ha su queste minori un effetto devastante, cui si sommano i pregiudizi di una societa’ ossessionata dal tema della perdizione e dell’onore.
Colpisce in questa fase di scoramento e di angoscia, la sostanziale assenza sulla scena del mondo adulto. In West Bank la responsabilita’ di una reazione, qualsiasi essa sia, appare in gran parte lasciata ai ragazzi, che incarnano nel lancio dei sassi il proprio ideale di eroiosmo. Si evidenzia all’origine una forte spinta sociale, centrata sul culto del martire e sulla sublimazione dell’ideale patriottico. L’idealizzazione s’infrange a fronte dell’esperienza della detenzione e del crollo psicofisico che la maggior parte delle volte ne consegue. Esperienza attorno alla quale si consolida una sorta di silenzio omertoso, che rende piu’ complessa l’elaborazione del trauma. D’altro lato si ha notizia di manifestazioni pubbliche, tra cui quelle di Ramallah e Hebron, svoltesi lo scorso venerdi’. Una manifestazione si e’ inoltre svolta a Gerusalemme est, protagonista in particolare un gruppo di donne che, di fronte alla Porta di Damasco, ha esposto cartelli e inscenato una protesta non violenta. Da sottolineare che, visto il divieto d’ingresso nella citta’ vecchia il venerdi’ a palestinesi minori di 45 anni, si trattava di persone anziane. Sabato 11 gennaio a Ramallah si e’ inoltre svolta una manifestazione di solidarieta’ ai bimbi di Gaza, cui ha aderito Il servizio educativo di Kalandia.
Le condizioni riscontrate, in particolare nel campo profughi di Shu’fat, confermano in sintesi la validita’ della proposta di avviare un micro progetto di emergenza rivolto ai minori vittima di violenze. Si tratta di ampliare lo Sportello psicologico, portando la presenza dello specialista da 4 a 10 ore la settimana e di affiancarlo con la figura di un’assistente sociale. Lo staff dovrebbe intervenire sia a livello di nucleo tramite visite domiciliari, sia a livello clinico, con incontri mirati. Incontri che implicano solitamente il coinvolgimento delle famiglie. La durata prevista del progetto e’ 6 mesi, replicabili a seguito di una valutazione dei risultati e delle necessita’ presenti.

Ramallah, 19 gennaio 2009
Per Vento di Terra Onlus
Massimo Annibale Rossi

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