RADICI, storia dell’Aquila – Dagli italici a Fortebraccio da Montone

Redazione
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Il colle su cui sorge L’Aquila sbarra la valle dell’Aterno e in epoca preromana separava il territorio dei Sabini (versante ovest) da quello dei Vestini (versante est). La città sabina di maggiore importanza era Amiternum, centro amministrativo di un’area piuttosto vasta della quale sono ancora ben visibili gli avanzi strutturali del teatro e dell’anfiteatro.
L’organizzazione amministrativa di Sabini e Vestini si basava sui pagi, vasti distretti territoriali dotati di ampia autonomia, le cui popolazioni vivevano in insediamenti privi di fortificazioni e sparsi nelle campagne. Con l’occupazione di Amiternum (293 a.C.) da parte dei Romani e poi con la fine delle guerre sannitiche (290 a.C.) la zona cismontana vestina e la Sabina entrarono a far parte dello Stato romano e Amiternum, Aveia e Peltuinum ottennero la cittadinanza divenendo prefetture.
La vicinanza con Roma e la presenza delle grandi arterie stradali romane favorì nel corso del III sec. la formazione nell’Abruzzo montano delle prime comunità cristiane (sulla costa invece perdurarono più a lungo forme radicate di paganesimo) e tra i primi evangelizzatori sono da ricordare S. Vittorino di Amiternum e, nell’area vestina, S. Massimo. Ed è proprio ad Amiternum che si costituì la prima diocesi abruzzese.
La crisi del periodo tardo antico, ancor prima delle invasioni barbariche, investì anche l’Abruzzo interno, forse già a partire dai danni causati dai terremoti del IV secolo (quello del 346 infatti rase quasi completamente al suolo la città di Peltuinum che dopo qualche decennio venne del tutto abbandonata) ai quali seguirono poi le vicende della guerra greco-gotica (535-553). Come se non bastasse si aggiunsero anche le invasioni dei Longobardi, tra il 571 e il 574, durante le quali molte città vennero saccheggiate. Aveia, Amiternum e Forcona divennero gastaldati ed entrarono a far parte del Ducato di Spoleto che si estendeva fino al fiume Pescara. Anche con l’occupazione carolingia (774) il fiume Pescara divideva la regione separando il regno franco dal ducato di Benevento e creando quindi un ostacolo tra l’Abruzzo montano e il Tavoliere pugliese. In questo modo si indebolì significativamente la pratica della transumanza causando la crisi di quei centri che fino ad allora avevano tratto il loro benessere economico dalla pastorizia. Un ennesimo colpo per le popolazioni lo inflissero le incursioni saracene nel X secolo.
A partire dal IX – X secolo, intanto, il territorio veniva costellato di strutture fortificate che modificarono profondamente l’assetto e l’organizzazione del territorio e delle comunità. Dalla iniziativa di questi stessi castelli nacque, molto tempo dopo, la città di Aquila.
Un vivace dibattito storiografico riguarda ancora la questione della fondazione della città che convenzionalmente si fa risalire al 1254 e si attribuisce al volere di Corrado IV, anche se significativi scavi archeologici condotti in area urbana (grazie all’attività della cattedra di Archeologia medievale del Prof. F. Redi – Univ. di L’Aquila, a Collemaggio, S. Basilio e S. Domenico) oltre notizie storiche e resti strutturali ancora ben visibili (l’insediamento presso chiesa di S. Maria de Acquili o de Acculis fin dal 1193; il Torrione; il segmento di mura megalitiche c/o la stazione ferroviaria su cui si imposta la cinta urbana trecentesca) testimoniano di un’attività insediativa nell’area ben prima della data canonica del 1254.
Nella lotta tra guelfi e ghibellini, nel XIII secolo, L’Aquila si schierò apertamente con i primi e con l’allora papa Alessandro IV. In seguito a ciò, nel 1259 la neo città venne distrutta per rappresaglia da Manfredi che la incendiò. Il vescovo quindi tornò di nuovo a Forcona e anche gli abitanti dei castelli, che si erano trasferiti intra moenia, tornarono nei rispettivi luoghi di origine.
Ma con la morte di Manfredi e di Corradino e quindi con il tramonto della politica imperialistica sveva, il guelfismo trionfò e Carlo d’Angiò, nel 1265, autorizzò formalmente la riedificazione della città (cd. rifondazione angioina) e concesse – stando a quanto dice Buccio di Ranallo – un’area capace di accogliere 15000 famiglie (circa 70000 abitanti). L’Aquila divenne così una città-territorio e un comune dotato di ordinamenti elettivi; a ciascun castello di fondazione venne riservato, all’interno della città, un locale nel quale generalmente si replicarono organizzazioni e dinamiche  dei castelli di origine: ogni circoscrizione de intus era rivolta verso quella di origine de foris e gli abitanti stessi, pur divenendo cittadini aquilani, non dovettero rinunciare alla cittadinanza originaria. Al 1276, poi, risale la divisione in quartieri (S. Pietro, S. Giovanni, S. Giorgio, S. Maria) che comprendevano anche il territorio circostante. Il cantiere cittadino tuttavia stentava a decollare ma un impulso decisivo venne nel 1294 da Carlo II e in questo stesso anno la città venne scelta da Celestino V per la sua incoronazione.
L’Aquila in questa fase assunse rapidamente un importante ruolo economico per il commercio dei prodotti del contado e, grazie alla sua posizione geografica, si collocava al crocevia di traffici che, anche tramite la via degli Abruzzi, le permisero di entrare in contatto con alcuni dei centri più importanti della penisola.
Per un certo periodo tra la città e i castelli fondatori si mantenne un discreto equilibrio che venne meno con la lotta dei cittadini contro i feudatari culminata nella distruzione delle loro fortezze.
Il XIV secolo e poi il successivo furono per la città particolarmente difficili, prima con la peste (1348 e 1363), poi con il terremoto (1349) e infine con l’assedio di Braccio Fortebraccio da Montone (1423), dal quale L’Aquila, resistendo strenuamente, uscì vittoriosa.
(Cristina Iovenitti)

Tratto da: SITe.it edizione stampata – numero zero dicembre 2010

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