Qualità artistica ai massimi livelli col teatro del Lanciavicchio sul palcoscenico naturale del borgo antico di Capistrello

Alfio Di Battista
Alfio Di Battista
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Un connubio, quello fra l’Associazione Amici dell’Emissario e la compagnia teatrale, ormai consolidato, che mantiene sempre le aspettative. Il gradimento del folto pubblico presente lo ha ampiamente dimostrato

Capistrello – Cos’è il teatro? Qual è la sua forza? Quella fatale attrazione che porta quasi 150 persone a percorrere i viottoli scoscesi dell’antico borgo di Capistrello per inseguire gli attori del Lanciavicchio interpreti del mito del grande lago scomparso, il Fucino. Uno spettacolo che mantiene alta l’attenzione fino alla fine.

Un connubio, quello fra l’Associazione Amici dell’Emissario e la compagnia teatrale, ormai consolidato, che riesce ogni anno a mantenere le aspettative. Il gradimento del numeroso pubblico presente, lo ha ampiamente dimostrato. Organizzazione impeccabile e qualità artistica ai massimi livelli.  

Divisi in piccoli gruppi, gli spettatori penetrano nel sogno dentro squarci del tempo, stanze dove in rispettoso silenzio vengono risucchiati nel gorgo di un passato severo, raccontato dagli ultimi, dai dimenticati, da chi versò sangue e sudore per seccare il grande lago per volere del Principe Torlonia.

Cinque stanze del tempo per altrettante scenografie, ognuna delle quali è una storia a sé, ma legata e intersecata alle altre, senza un ordine predefinito, eppure tutte assolutamente allineate lungo l’asse dei secoli che separano l’imponente impiego di schiavi ai tempi dell’Imperatore Romano Claudio, dagli sfarzi del Principe Alessandro Torlonia nel decadente splendore della Roma papalina dell’800.

Lo spettacolo inizia con tutto il pubblico raccolto in religioso silenzio di fronte a un telo bianco, poi, divisi in gruppi meno numerosi, gli spettatori cominciano il viaggio nel tempo. Ogni gruppo segue la sua traiettoria, che si perde fra i vicoli, le piazzette e gli scorci sospesi fra le stelle e le parole che narrano i luoghi del passato e gli stati d’animo degli uomini.

Perché si tratta soprattutto di un viaggio attraverso emozioni che scuotono l’anima. Un viaggio che esplora le ingiustizie e i soprusi perpetrati dai ricchi verso i poveri nell’eterna lotta fra il bene e il male. Ricchi uomini d’affari che bramano altra ricchezza, e la povera gente: gli operai, i minatori, i cavatori di pietre, i cafoni, insomma gli ultimi che vengono dopo il niente, sfruttati e abusati.  

Un pellegrinaggio attraverso il tempo e antichi viottoli, in cui il pubblico finisce per diventare parte della rappresentazione al punto che finzione e realtà si mescolano senza soluzione di continuità. La scena è realtà e la realtà diventa scena in un ribaltamento di prospettiva dove il parterre scompare lasciando il posto all’immaginazione, vera protagonista della serata.     

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