Quadricromie di briganti – Un imprevisto compleanno

Giuseppe Pantaleo
Giuseppe Pantaleo
6 Minuti di lettura

All’Epifania, qualcuno mi ha ricordato che erano appena passati trent’anni dall’uscita di una pubblicazione cui anch’io avevo partecipato (Quadricromie di briganti, dicembre 1991). È spuntato fuori anche che, tempo addietro, proprio quel lavoro fu rimproverato per aver dato la stura, nella Marsica, a una sfilza di «studi» e iniziative sul brigantaggio da parte di «storici» del posto, alla quasi santificazione di quel complesso fenomeno, a manifestazioni in costume.

La cartella conteneva una parte documentaria e le mie sedici tavole (24 x 34 cm); fu una pubblicazione simile ad altre apparse in quel periodo sulla costa abruzzese, mentre costituì una novità per la fascia interna.

Mi fu passato del materiale fotografico su cui lavorare – fui chiamato perciò in un secondo momento –, io vi applicai procedure warholiane vecchie di trent’anni (Andy lavorava su tela però); cambiai i fondali originali con scenari marsicani, aggiunsi colorazioni e restaurai alcune immagini danneggiate, facendo in modo che tutto ciò… risaltasse. (Nel frontespizio appariva solo il mio cognome ma non quello dei curatori della parte documentaria – erano tempi di euforia in Italia, in cui tantissimi cominciavano a mettersi in mostra, a sperare di raggiungere la notorietà televisiva). Esso fu perciò un prodotto editoriale onesto, senza ambizioni o pretese; fu reso possibile anche dalle acquisizioni dell’industria cartotecnica – nel senso: un contenitore particolare a costo contenuto.

Tale opera fu presentata al Centro studi I. Silone (Pescina) dalla neonata Aleph editrice (Luco dei Marsi); intervennero gli aquilani: Raffaele Colapietra per la parte storica e Raffaella Evandro (buonanima) per quella artistica. (Fu interpretato da Alberto Santucci il suo testo, mentre su uno schermo scorrevano le diapositive di una ventina di altre mie rielaborazioni meno complicate. A proposito: io non c’ero). Era il 22 febbraio 1992. Si parlò della cartella sulla rivista pescarese noi (1/1992); una tavola, quella con Michelina De Cesare, finì su Annual Illustratori 2 (1993). La stessa donna nella zona, fu utilizzata in tre o quattro locandine che annunciavano iniziative legate al brigantaggio – quelle criticate –, negli anni seguenti; quel fatto non mi fece né caldo né freddo: più di uno non aveva capito il significato e il senso di quell’elaborazione. (Il linguaggio della Pop art aveva allora già superato i quarant’anni…).

Come fu presa? Ho avuto sempre la netta impressione che non sia mai stata considerata un prodotto unitario: la gente notava le immagini, oppure la parte scritta e riprodotta (manifesto della Prefettura) – in genere si soffermava più sulle tavole che sui documenti. Quadricromie di briganti non suscitò interesse nella stampa e nella cultura avezzanese, prevedibilmente – noi si era già fuori dall’establishment. Spero che quella cartella sia servita – attraverso le fotografie di più donne con le armi in pugno –, a immaginare una società meridionale meno patriarcale.

(Torno all’obiezione iniziale). Penso che quella pubblicazione (ripeto: del dicembre 1991) abbia smosso pochissimo o niente nella Marsica rispetto ad altri processi in atto a scala nazionale, poi riverberati nel comprensorio con il consueto ritardo – di là della loro declinazione locale. Il primo esempio che mi passa per la mente è Indro Montanelli (1909-2001), un importante giornalista italiano. I suoi primi lavori storiografici risalgono agli anni Sessanta del secolo scorso. Immagino che i suoi volumi a carattere storico siano sconosciuti presso qualsiasi ambiente accademico. Si può affermare lo stesso in generale? No, quei libri sono stati utili a migliaia di persone per accostarsi a tanti fatti storici. Il toscano probabilmente non è stato il primo a tentare incursioni del genere; di sicuro, il suo esempio è stato seguito da alcune legioni di connazionali. Entra in ballo, tra i vari cambiamenti, anche l’esplosione dell’editoria dovuta all’avvento del digitale oltre al narcisismo dominante negli anni Ottanta, per spiegare il fenomeno degli «storici locali» e dei «cultori di storia locale», in questa parte dell’Abruzzo. (L’invenzione del dialetto avezzanese risale alla seconda metà di quel decennio). Da noi già negli anni Novanta, un buon numero di persone affiancò il lavoro che gli dava da vivere con la produzione di romanzi, racconti, poesie, libri di critica letteraria e storia – entrambe tenute distinte da metodologie e pratiche accademiche come la peer review, per dirne una. (Numerosi sessantenni ricordano i loro ex prof scoprirsi improvvisamente ispirati scrittori – come succede tuttora). Ergo, certe persone non erano interessate a entrare nella comunità degli storici italiani – anche di straforo –, ma si accontentavano di essere riconosciute dai propri compaesani, di qualche comparsata in una manifestazione purchessia. Bastava loro qualche inchino sulla piazzetta la domenica mattina dopo la messa e una targa – non importa dove – da morti. (La reputazione è una raccolta punti nelle zone depresse del Meridione).

Condividi questo articolo
Lavoro come illustratore e grafico; ho scritto finora una quindicina di libri bizzarri riguardanti Avezzano (AQ). Il web è dal 2006, per me, una sorta di magazzino e di laboratorio per le mie pubblicazioni.