Ospedale di Avezzano – “Operazione chiagni e fotti”: il pericolo che viene dall’Aquila

Angelo Venti
Angelo Venti
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L’espressione vernacolare napoletana «chiagni e fotti» è la sintesi più efficace per descrivere l’operazione lanciata dalla politica aquilana, con la complicità di un plotone di 10 sindaci marsicani. E il silenzio colpevole di altri.

E’ passato più di un mese dal collasso dell’ospedale e del Pronto soccorso di Avezzano, di fatto l’unico presente nei 37 comuni marsicani. Ma se si escludono gli articoli dei giornali online locali o il servizio video di Le iene, le notizie su quanto succede nell’unico nosocomio della Marsica, ridotto ormai a un lazzaretto, sono sparite dalle cronache della stampa che conta.

Le notizie sparite

Anche nei servizi del Tg3 Abruzzo – da almeno dieci giorni – l’ospedale di Avezzano non viene più nominato: gli unici dati riferiti sono quelli relativi alla “Provincia dell’Aquila” e le immagini che scorrono, manco a dirlo, sono solo quelle dell’ospedale del capoluogo o, addirittura, di piazza Duomo.

Se si esclude il servizio di oggi in cui Daniela Senepa parla anche della zona peligna, sembrerebbe quasi un’ordine di scuderia. Da un lato si oscura il l collasso dell’ospedale di Avezzano diluendo i dati e le notizie della Marsica in quelli dell’intera provincia, dall’altro si cancella la parola “Avezzano” e la si sostituisce prima con “Provincia dell’Aquila” e poi, semplicemente, con “L’Aquila”.

Eppure ancora questa mattina, voci provenienti dall’interno del nosocomio avezzanese, confermano le condizioni drammatiche in cui versa il reparto di malattie infettive: malati abbandonati a se stessi, senza cure e senza essere lavati, letteralmente costretti a cagare e pisciare dentro secchi collocati all’interno delle stanze di degenza. Stanze da cui i ricoverati non possono uscire e in cui sempre più raramente entrano i medici per le visite e gli infermieri per le cure. Per non parlare degli scandali di tamponi, tracciamento dei contagi, cure ordinarie, vaccinazioni antinfluenzali oppure dello stato vergognoso cui è ridotto il Pronto soccorso di Avezzano.

Il mantra dell’Aquila “Nuova Bergamo

Nell’emergenza covid nella provincia, da giorni, l’unica parola che si pronuncia è «L’Aquila». A svelare in maniera plastica il disegno nascosto dietro questa strategia è il quotidiano Il Messaggero che oggi titola: «L’Aquila teme di diventare la nuova Bergamo. “Stiamo vivendo un secondo terremoto”».

L’Aquila e terremoto. Due parole spendibili, due parole che fanno sempre presa sulla coscienza nazionale. Due parole che però fanno tornare alla mente anche le polemiche della primavera 2009, quando gli aquilani si batterono per imporre prima alla stampa e poi alla politica che il nome di quel sisma doveva essere “Terremoto dell’Aquila” e non “Terremoto d’Abruzzo”, come all’inizio veniva invece chiamato.

Non è un segreto che il ghota politico e imprenditoriale aquilano al completo, come un sol uomo, ha fatto di tutto per gestire in casa i miliardi di euro della ricostruzione, trasformandola in un pozzo senza fondo. Veri maestri nell’arte del piangere miseria collettiva, mentre poi si persegue l’interesse individuale o territoriale che sia.

Ora la storia si ripete. E la classe politica aquilana non si farà certo problemi nell’utilizzare i dati della pandemia dell’intera provincia – disgrazie, sofferenze e morti della Marsica compresi – a proprio vantaggio. Già si segnalano i primi casi in cui i soliti noti iniziano ai battere cassa, a favore dell’ospedale e della sanità del capoluogo, naturalmente.

In fondo, queste manifestazioni di assenza di scrupoli e di vergogna ha già avuto diversi precedenti, anche istituzionali. Uno per tutti: durante la visita di Mattarella a Teramo, si presentò il sindaco dell’Aquila Pierluigi Biondi non per portare solidarietà ai terremotati teramani del 2016, ma per battere cassa per il terremoto dell’Aquila del 2009.

Le complicità nella Marsica

La scena – più che di un’aquila in picchiata su una preda viva – è quella di un avvoltoio che si cala su una carcassa, il cadavere dell’ospedale di Avezzano. E della politica marsicana.

Avevamo già espresso tutti i nostri dubbi sul sindaco di Avezzano Gianni Di Pangrazio e sulla sua reale volontà e capacità di guidare i 37 sindaci marsicani nella battaglia contro la pandemia: Brancaleone alle Crociate, più che Sindaco della Marsica.

E i fatti ci hanno dato purtroppo ragione. A solo un mese dall’insediamento il vulcanico sindaco di Avezzano – lo diciamo senza offesa – è riuscito a dare prova di essere forte, ma molto forte con il semaforo T-red, che intimorito non ha nemmeno reagito: con una delibera ha deciso di spostarlo (senza indicare nemmeno dove). Ma ha anche dimostrato di essere debole, ma molto debole nei confronti del direttore della Asl 1 Testa, calandosi così le brache con i politici aquilani e regionali.

Nelle ultime settimane, mentre la sanità marsicana moriva – e davanti l’ospedale si moriva letteralmente, non in senso figurato – con due inutili Adunanze Di Pangrazio ha portato a pascere 37 sindaci, perdendo tempo prezioso quando tempo non ce n’era. Poi per maggior sicurezza è arrivato anche il sabotaggio dei 10 sindaci di centrodestra che, schierati a difesa della Asl 1 e del direttore Testa, agli ordini del prode Simone Angelosante da Ovindoli hanno autoaffondato il Parlamentino dei sindaci marsicani.

Il risultato è che ora si parlerà del potenziamento dell’Ospedale San Salvatore dell’Aquila. Con buonapace di quello di Avezzano e della sanità marsicana.

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