Magie dell’emergenza – Nuovo DPCM: “Processi a porte chiuse”. E’ allarme democrazia

Angelo Venti
Angelo Venti
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Il nuovo Dpcm n. 137, che oggi entra in vigore, consente di fatto che nei tribunali possano celebrarsi, causa Covid 19, i processi a porte chiuse.

A rischio è uno dei cardini dello stato democratico, quello che garantisce che la giustizia è amministrata in nome del popolo e che a questo deve esserne consentito il controllo. Con il “processo a porte chiuse” ad essere fortemente limitata è anche l’attività giornalistica, che a questo controllo pubblico contribuisce.

La situazione è seria

Ora più che mai è necessario un intervento dell’Ordine nazionale dei giornalisti, dell’Associazione della stampa, dei Sindacati dei giornalisti. E dei cittadini.

Prima del Dpcm n. 137, in varie zone d’Italia già si erano registrati casi in cui si è tentato di impedire la presenza in aula dei giornalisti, uno anche ad Avezzano. Ora si rischia che, con la scusa dell’emergenza, questo diventi la prassi in tuti i tribunali d’Italia. Con buonapace del diritto all’informazione e della democrazia.

Pubblicità dei processi: questione di democrazia

In Italia, a garantire che la pubblicità delle udienze è uno dei principi fondamentali del dibattimento, è l’art. 471 del Codice di procedura penale che al comma 1, infatti, stabilisce che “L’udienza è pubblica a pena di nullità”.

Per la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il diritto all’udienza pubblica si colloca nell’alveo delle garanzie che realizzano l’«equo processo», sancite dall’art. 6 Cedu. Per i giudici di Strasburgo, essa costituisce un elemento essenziale che assicura trasparenza all’operato e alla decisione finale del giudice, impedendo «una giustizia segreta, sottratta al controllo del pubblico». Inoltre, la pubblcità dei processi, per la Cedu è uno degli strumenti mediante i quali si realizza e preserva «la fiducia nelle corti e nei tribunali da parte della collettività, rassicurata sul fatto che lo sforzo di stabilire la verità sarà massimo».

La Corte europea insiste anche sul fatto che questo diritto sia effettivo. Non basta che la pubblicità «non sia formalmente esclusa», ma essa deve essere «sostanzialmente garantita», facendo sì che il processo si tenga «in un luogo facilmente accessibile, in un’aula capace di contenere un certo numero di spettatori, normalmente raggiungibile e riconoscibile attraverso adeguata informazione».

Il nuovo Dpcm e il veleno del comma 3

Il Decreto legge n. 137 – varato il 28 ottobre, pubblicato ieri in una edizione straordinaria della Gazzetta ufficiale – entra in vigore da oggi.

Nei suoi 35 articoli, stampati su 40 pagine, si fissano prevalentemente gli aiuti e le nuove norme relative all’emergenza Covid 19. Il veleno è a pagina 20, nel Comma 3 dell’articolo 23. Tale comma, in appena 265 battute spazi inclusi, stabilisce che:

3. Le udienze dei procedimenti civili e penali alle quali è ammessa la presenza del pubblico possono celebrarsi a porte chiuse, ai sensi, rispettivamente, dell’articolo 128 del codice di procedura civile e dell’articolo 472, comma 3, del codice di procedura penale.

Un Comma con cui di fatto si deroga al Comma 1 dell’art. 471 del Codice di procedura penale, che sancisce che “L’udienza è pubblica a pena di nullità”: si deroga cioè a un principio democratico fondamentale senza nemmeno avere il coraggio di scriverlo apertamente.

Una formulazione ambigua – quella del comma 3 – che da un lato rimanda a leggi già esistenti e dall’altra, inserendola in un Dpcm in cui si introducono norme emergenziali, delega di fatto ai singoli Presidenti dei tribunali e ai giudici l’onere della scelta su un tema delicatissimo: garantire la pubblicità dei processi e, appunto, anche la presenza in aula dei giornalisti.

Il processo penale

Per il processo penale il Dpcm rimanda furbescamente all’Art. 472 comma 3 del Codice di procedura penale, che così recita:

3. Il giudice dispone altresì che il dibattimento o alcuni atti di esso si svolgano a porte chiuse quando la pubblicità può nuocere alla pubblica igiene, quando avvengono da parte del pubblico manifestazioni che turbano il regolare svolgimento delle udienze ovvero quando è necessario salvaguardare la sicurezza di testimoni o di imputati

Se caliamo quando enunciato in questo comma nell’emergenza Covid, il giudice potrebbe disporre che il dibattimento si svolga a porte chiuse quando la presenza del pubblico (e dei giornalisti) “può nuocere alla pubblica igiene”, oppure per “salvaguardare la sicurezza di testimoni o di imputati”. E’ evidente che, anche paventando il rischio di contagio da Covid 19, si tratta di una forzatura della norma, applicata su vasta scala e su tutto il territorio nazionale a casi per cui la stessa non era stata certamente pensata dal legislatore.

In più di una occasione la Corte di giustizia europea ha insistito sul fatto che il diritto alla pubblicità dei processi sia effettivo: non basta cioè che la pubblicità «non sia formalmente esclusa», ma essa deve essere «sostanzialmente garantita», facendo sì che il processo si tenga «in un luogo facilmente accessibile, in un’aula capace di contenere un certo numero di spettatori, normalmente raggiungibile e riconoscibile attraverso adeguata informazione». Non solo. Nei casi eccezionali in cui il processo viene tenuto in luoghi particolari (oppure in condizioni particolari), secondo la Corte europea è compito precipuo dello Stato soddisfare queste condizioni.

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