L’oblìo del terremoto – Cento anni e non sentirli

Redazione
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Il terribile sisma che nella livida mattina del 13 gennaio 1915 disastrò diverse province dell’Italia Centrale radendo letteralmente al suolo Avezzano e altri centri ubicati sulle rive del lago Fucino è, con le migliaia di vittime che causò (fatta salva, nel rapporto di causalità, la considerazione che non è l’evento naturale in sé ad uccidere ma l’opera dell’uomo e le condizioni date) uno degli eventi più tragici della Storia degli Abruzzi e d’Italia nel Novecento e, tuttavia, tra i meno conosciuti nei suoi molteplici aspetti. Buona parte dei contributi – inerenti sia il fenomeno prettamente naturale che le immani ricadute sociali, urbanistiche, ecc. – che lo hanno trattato, è ferma a molti anni fa (l’ultima intrapresa seria ovvero scientifica delle Autorità risale a tre lustri or sono, e partorì alfine un voluminoso tomo del Servizio Sismico, che avrebbe dovuto rappresentare il volano per nuove ricerche [ricerche che, ahimé, non sono venute]). Scarsa persino la memorialistica, nel mentre, paradossalmente, l’apertura dei fondi di diversi archivi storici mostra le praterie di carta e cellulosa che potrebbero essere con profitto utilizzate per togliere dalle spire della nebbia dell’inconoscibilità i tanti eventi legati a quel terremoto.

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Non che la ricorrenza dell’infausto evento non sia “celebrata”, e non che estemporanei cippi, pietre, sculture più o meno riusciti e di buon gusto non facciano capolino, di tanto in tanto, in piazze, giardini, cimiteri della Marsica. Ma la distanza dall’evento e lo stravolgimento tanto della cultura quanto del territorio hanno comportato, negli anni, una mitizzazione della data del 13 gennaio e, quasi naturalmente, un imbarazzante “sganciamento” da un solido ancoraggio ai fatti e ai luoghi teatro della tragedia. Circostanza, questa del distacco,quasi incredibile, per una popolazione che sino a pochi anni or sono ha fatto della “vita” sulla terra, quella terra, il proprio tratto distintivo. Eppur reale.

Pochi giorni or sono è caduto il novantottesimo anniversario del disastro, e diverse sono state le iniziative.

Non poteva mancare il nostro amico consigliere provinciale Gianluca Alfonsi (presidente della commissione Cultura di quell’ente / al che, molte cose si spiegano), che ha patrocinato un concerto a Gioia dei Marsi. Per una volta, le parole dell’Alfonsi, ci sono suonate discrete, quando ha rimarcato di voler «ricordare quel triste evento del 1915 che piegò le gambe ad un intero territorio e soprattutto a Gioia dei Marsi che con circa 3500 vittime fu il paese più colpito dall’evento sismico». Non per la quantificazione dei morti gioiesi – che nessuno ha mai fatto ufficialmente, complessivamente, al punto che le stime di una recente simulazione del Dipartimento della Protezione civile (fatta in occasione di un agghiacciante prospettazione secondo la quale un sisma di eguale potenza ed estensione di quello di allora / stimato Richter: 7.0 / produrrebbe, oggi, ventiduemila morti. Dicesi: ventiduemila morti), ha gettato nel panico più di un astante, discostandosi, al ribasso, dai tradizionali trentamila indicati nei pochi libri che trattano del sisma del 1915 – che per Gioia dei Marsi è errata per eccesso ma per il fatto di correggere un poco lo strabismo che vede in Avezzano, che ebbe oltre novemila morti, il centro più colpito, quando in effetti i maggiori danni, non solo in proporzione ma in valori assoluti, li patì una zona della Marsica orientale che corre da Gioia dei Marsi a Cerchio. Ma non stiamo facendo una gara, evidentemente.

La scarsa conoscenza del fenomeno terremoto è attestata non solo dall’indeterminatezza dei morti avutisi nel 1915 (contabilità protrattasi, con le dichiarazioni di morte pubblicate in Gazzetta Ufficiale sino agli anni Cinquanta; per tacere della scomparsa di interi nuclei familiari che nessuno si curò di scalzare né di ricordare alle anagrafi e alla burocrazia) ma da tutta una serie di amenità che al riguardo del terremoto si ascoltano, anche da parte di chi, rivestendo ruoli pubblici, dovrebbe ben guardarsi dal propalare leggende (vedasi la relazione che alcuni ancor oggi paventato tra l’ottocentesco prosciugamento del Fucino ed il sisma) e ricostruzioni fantasiose. Anche domenica scorsa, nelle due celebrazioni più importanti, Avezzano e Celano, tali propalazioni non sono mancate.

Prima di venire a trattare brevemente delle due manifestazioni di questo 13 gennaio, animandoci il proposito di porre un problema e non di questionare su singoli aspetti o magari su imprecisioni, diciamo che la questione della scarsa conoscenza storica dell’evento del 1915 non nasce oggi, e sicuramente risiede anche nell’indole nostra di popolazione, che in generale ha, dei fatti pubblici, scarsa memoria (fatto stigmatizzato anche domenica pomeriggio a Celano dal senatore Piccone / ed abbiamo detto tutto). Scarsa al punto che neppure i danari risultano in grado di invertire il trend ovvero scarsa al punto che la clausola di una legge regionale che stanziava, con tanto di copertura in bilancio regionale, «per l’anno 2004 un contributo di € 25.000,00 a favore della Comunità Montana Marsica 1, per la realizzazione del “Museo del Terremoto” in Avezzano» è rimasta praticamente lettera morta. Scarsa sino al punto di tollerare, da decenni, che le campagne elettorali si svolgano al suono compiacente della parola magica: “sbaraccamento“, senza che si muova un dito per tutelare qualcuna di quelle «baracche» asismiche nelle quali per decenni abbiamo tutti abitato, onde mostrare a chi verrà la costruzione che ha caratterizzato il fenomeno della ricostruzione ed i nostri paesaggi sino ad oggi (e, sia detto con rispetto delle persone e delle epoche, non inferiori al Progetto C.a.s.e.).

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Domenica scorsa, ad Avezzano, per rinovellare la tragedia, si è organizzato un evento nel corso del quale il libro presentato atteneva però – e non siamo neppure riusciti a comperarlo, temiamo non fosse disponibile, non abbiamo ben compreso – l’atroce strage di Cocullo, episodio sì rimarchevole di cronaca nera avvenuto nel febbraio successivo al sisma ma che tange marginalmente il disastro del gennaio. Testimonianza ulteriore e luminosa, per chi scrive, della scarsità di studi sul terremoto del 1915. Ma il vero fatto udito ad Avezzano è consistito nella allocuzione del neo-sindaco avezzanese Di Pangrazio (e poi dell’assessore Palmieri), che con parole piuttosto oscure (ma chiarissime per chi ne conosce la smisurata tendenza ad occupare, in senso buono, ogni casella che all’istituzione che rappresenta si para dinanzi), ha comunicato, ad un uditorio invero piuttosto distratto, che la prossima ricorrenza del centenario troverà Avezzano in prima fila, con un comitato di celebrazioni politico e tecnico di spessore, a prescindere da cosa ne pensino altri comuni viciniori. Polemica che è parsa diretta sia ai celanesi che, ancor più, a quell’abbozzo di Comitato che già si è formato al riguardo intorno al nome del (ri)costituito «Centro studi marsicani». Da quel che abbiamo compreso, e visto sul palco, Di Pangrazio va auspicando una scissione all’interno di questo nucleo già costituitosi, per fare chissà cosa, ed in quale modo. La Storia è però materia molto delicata, e per argomenti quale il terremoto della Marsica (ma più propria sarebbe la definizione di «terremoto dell’Italia Centrale») a due anni dalla scadenza si versa già in un enorme ritardo. Come non comprenderlo?

La preoccupazione sulla prossima ricorrenza del centenario è emersa anche nel pomeridiano appuntamento di Celano, ed è parsa fare da contraltare all’indirizzo manifestato in mattinata dagli avezzanesi. Con la differenza che però a Celano – e ci duole ammetterlo, consistendo l’assise anche in una riunione di politici Pdl impegnati nella redazione delle liste elettorali nazionali – si è visto e udito qualcosa di più, in quanto a trattazione storiografica, ed intravisto qualche idea in più sul da farsi per la ricorrenza.

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Il timore nostro è che la politica nostra, locale, scarsa e sciatta, facendo di un tema che attiene la carne viva della nostra Memoria l’ennesimo capitolo di lotte, piccole beghe e raccomandazioni (e di elevazione di amici scarsi a luminari della scienza più complicata a farsi, la Storia) ci produca un inestimabile danno di immagine, partorendo, dalla montagna dell’ego di pochi, il topolino di un centenario raffazzonato e, soprattutto, cialtrone. Speriamo non sia così (ma principio sì giolivo ben conduce, scriveva il Boiardo).

Il Martello del Fucino – Franco Massimo Botticchio

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