Libertà di stampa e qualità dell’informazione, problema relativo se mancano i lettori

Alfio Di Battista
Alfio Di Battista
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Avezzano – La libertà di stampa e la sua qualità, dipendono dal livello di autonomia che un editore ha rispetto a chi paga la pubblicità sul suo giornale e a chi finanzia la sua attività editoriale acquistando i suoi servizi.

C’è un’idea di giornalismo fondata esclusivamente sulle veline, sui comunicati stampa e sul grufolare nei social, come cinghiali in cerca di spazzatura commestibile.

Se a questo si aggiunge la precarietà in cui svolgono la professione molti giornalisti, sottopagati dagli editori, sfruttati dai direttori dei giornali, e a volte, anche da giornalisti professionisti, che pur vantando contratti a tempo indeterminato, ordinano agli ascari della penna, la scrittura del pezzo à-la-carte, il quadro è piuttosto desolante.

Oggi, lo stato di salute dell’informazione è pessimo, sia che si parli dei grandi quotidiani nazionali che delle piccole testate locali online. Un articolo, se viene pagato, non rende più di 5 euro lordi al giornalista precario o aspirante tale che lo ha redatto.

In queste condizioni, chi garantisce la libertà dell’informazione? Chi scrive per passione, perché tanto ha un altro lavoro? Forse, ma fino ad un certo punto, perché comunque, anche quest’ultimo deve combattere con gli ostacoli posti, non di rado, dall’editore alla pubblicazione.

Certi pezzi potrebbero dar fastidio al tal Sindaco del tal piccolo borgo di montagna, o infastidire l’Ente locale che paga per promuovere la propria immagine, per esempio. Parliamo di sciatteria ideale, non si tratta di mettersi contro la potente multinazionale di turno, si razzola molto più raso terra.

Poi, c’è chi si piega alle logiche del così detto mercato della notizia, che vede giornalisti precari, rassegnati a scrivere articoli per vanagloria, che soddisfazione leggere la propria firma su un giornale. Si trattasse di scrivere per il Washington Post, lo capirei pure.

E per arrotondare, il povero tapino che sognava il Pulitzer, va a fare l’addetto stampa in qualche piccolo comune scalcagnato che, grasso che cola, gli offre un contratto a termine per curare la comunicazione istituzionale.

Frase rotonda che fa scena, ma che non descrive altro che l’attività di ruminare post e commenti sui social, a difesa della buona immagine dell’ente locale che elargisce la misera paga al bracciante della penna, avventizio della tastiera. Ma in fondo a chi importa, se sono sempre di meno quelli che leggono?

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