La straordinaria affermazione del centrodestra a Pescina

Redazione
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Nel periodo antecedente le amministrative recentemente tenutesi nel nostro ubertoso centro (luogo che, su invito autorevole di diversi amici ed in ultimo dell’Antonangeli D., non designeremo più con l’usurato topos di “Fontamara”) ci siamo ben guardati dal tangere il tema delle elezioni. E non solo perché la nostra opinione non conta nulla (altrimenti eviteremmo di uscire, semplicemente; non sarà d’altronde ancora a lungo: l’età incombe).
Un poco era ed è per la ragione che consideriamo piuttosto avvilente – quando pure, in parte, il fenomeno sia fisiologico – trovarci a discutere di questioni municipali (non personali, quindi) e di politica nella sola imminenza della materiale espressione del voto, al cospetto dei lunghi periodi di tundra delle opinioni che seguono e precedono l’attimo della materiale apposizione della croce nell’urna; inoltre poiché, come scritto a chiare lettere, ripugnandoci l’equidistanza ove disgiunta dall’obiettività (obiettività che è la nostra personalissima, e dunque necessariamente faziosa), pacificamente ritenevamo – ci si scusi l’inelegante autocitazione – dovesse reiterarsi l’esperienza della compagine nata nel 2011 che

[…] da squadra, ha tentato di operare nel miglior modo che il contesto permettesse, fornendo una prova estremamente dignitosa. Come giornale abbiamo memoria – e chi avesse conservato dei vecchi numeri del Martello per posizionarci sopra la conserva può ben verificarlo, ove non lo rammentasse – dei pasticci combinati dalle precedenti (Valle dei fiori, opifici fantasma, squadre di calcio fuori target), per dolerci di chi c’è adesso […].

Quel che nel primo numero dell’anno corrente avevamo individuato quale uno dei cascami della «speronizzazione» (desertificazione) del nostro territorio, ovvero il minor interesse a competere per la conquista della fascia tricolore, si è effettivamente manifestato sino a far temere si presentasse, al recente turno elettorale, un’unica lista; circostanza quest’ultima, che non sarebbe stata deteriore in sé / nel caso in cui fosse stata cioè una scelta condivisa ed inglobante le diverse sensibilità di una comunità (ci sono sempre due popoli, recita un vecchio adagio) / ma che lo sarebbe divenuta nell’ipotesi che un’intera porzione di opinione pubblica, come già quella che si riconosce nei cosiddetti grillini, non fosse stata in grado di concorrere per debolezza propria. Alla fine della fiera, sul filo di lana, una lista che possiamo definire grossolanamente di centrodestra è stata presentata, in opposizione a quella di “Città e Futuro” (che altrettanto grossolanamente si può rubricare come  afferente l’altro versante politico, per quanto non sia esattamente così – ed in diversi potrebbero opinare sul punto, con ragione).
Senza voler maramaldeggiare con gli sconfitti – ché non è nostro costume; e la nostra opinione, come si vedrà, è esattamente opposta a quella di coloro che hanno ravvisato, nei risultati della scorsa settimana, una solenne asfaltata -, diciamo che la fretta è stata una pessima consigliera, sia per il logo prescelto che per il programma amministrativo presentato. In questo, sia detto senza offesa, nelle ultime tornate il centrodestra pescinese ha peccato gravemente di grossolanità e noncuranza (alla radice temiamo vi sia l’idea che il “progetto” non sia così importante in sé, e comunque inutile [il sospetto vero è che semplicemente non esista]; d’altronde il restare nello generico impedisce di scrivere di amenità del calibro di quel «Centro benessere Spa con piscina comunale» tanto rimproverata, sotto la impropria dizione di «terme», al precedente sindaco Di Nicola, quale promessa inevasa). Nondimeno, come ci si ritrova talvolta quando non si è fatta la spesa, aprendo la dispensa degli alimenti, nelle scorse settimane in Voce popolare ci si è accorti di avere ben poco a disposizione, e di dover “arrangiare” con quanto rinvenuto nel frigorifero. Inutile dire che per tirar fuori un desco decente da ingredienti eterogenei e dispersi occorre(rebbe) un cuoco di una qual certa abilità e fantasia nella loro miscela, in grado di rischiare con cognizione di causa. In queste elezioni si è preferito prendere l’accorciatoia (probabilmente non c’era alternativa): candidato già rodato, strategia votata all’attacco della esperienza amministrativa degli ultimi anni soprattutto attraverso la conduzione di un’acerrima polemica con una singola persona, l’attuale consigliere regionale di Pescina, che peraltro non figurava nel novero dei candidati consiglieri (ma del cui operato nei tre anni da sindaco, in astratto, si poteva e doveva dibattere; più che della sua attività attuale a L’Aquila e Pescara).
Come detto (e come è ovvio), quando non ci si prepara in anticipo, si deve improvvisare; ma negli attacchi ad una singola figura, nel focalizzarsi su una persona, tale improvvisazione del centrodestra, sia detto a nostro modestissimo avviso, ha assunto un metodo che ha rasentato l’isteria, il grottesco, la cui labile trama ha finito per far prova più della inconsistenza costituzionale propria che dei difetti altrui e del destinatario di cotanto interesse in particolare (… a cavallo bestemmiato….). La stessa inconsistenza che negli ultimi quattro anni si è osservata nell’attività dell’opposizione, praticamente rimasta silente se non per un paio di quisquiglie, in consiglio comunale e fuori. Da quel che abbiamo ascoltato, i pochissimi argomenti proposti sono stati conditi con una spezia piccante, arrabbiata. Troppo. E male. Scotto come alcuni nomi sulle schede.
Per carità, a certi toni ci si è abituati dai tempi di Aristofane («la guida del popolo non tocca più a persone bene educate e perbene, è andata a finire nelle mani di un ignorante schifoso», sono parole di due millenni e mezzo fa). Però che nella polemica verso il consigliere regionale si sia debordato è fatto indubbio: al punto che il poi eletto candidato sindaco di Città e Futuro ha dovuto più volte sforzarsi di ricordare, nei modi moooolto troooppo urbani che sono sua prerogativa, come sulla scheda ci fosse scritto il suo nome, e non quello di altri, sulla scheda. D’improvviso, chi fece spallucce per la disattivazione del pronto soccorso di Pescina (anno 2010 – quando, invero, ci fu persino chi sostenne che i presìdi ospedalieri sotto i cento posti letto dovevano essere senz’altro tagliati: che è come sostenere che gli autori di giornali ciclostilati debbano finire in carcere: sarà forse opportuna la reclusione, come lì la chiusura, ma non dovremmo arrivare a sostenerlo noi: è autolesionismo!) ha mostrato un interesse morboso per la tutela dei punti nascita di Sulmona ed Atessa (nessuno di costoro riteniamo sia mai stato ad Atessa), interessandosi a quelle cronache di politica regionale che per lunghi decenni hanno suscitato il più profondo torpore degli astanti tutti dei nostri popoletti; ora, dopo centinaia di eletti che dall’anno del Signore 1970 si sono accomodati e avvicendati all’Emiciclo percependo tutto quel che la norma assicurava loro (vitalizi compresi, oggi fortunatamente disattivati), l’indennità del Di Nicola M. è divenuta una spesa insostenibile: intollerabile ancor più che insostenibile, verrebbe da dire. Abbiamo un problema (di altra natura)?
Da quando siamo piccoli riteniamo che chi svolge e riveste delle funzioni pubbliche debba essere convenientemente retribuito e, nel caso si tratti di ruoli politici, decorosamente indennizzato. Abbiamo sempre osservato, dai bei tempi della cosiddetta prima Repubblica, come tale questione, che deve essere analizzata nella sua interezza, sia stata per decenni negletta, consentendo una deriva satrapica che oggi è in buona misura in via di rientro. Deriva consentita anche da tutti coloro indistintamente che all’arrivo di qualsiasi mestierante della politica, da fuori, lungi dal sollecitarlo sul tema, erano più interessati a stendere il tappeto rosso per vedere di tentare di risolvere questioni molto (troppo) spesso personali. Tra questi sono ricompresi parecchi di coloro che oggi fanno gli schifiltosi con i cosiddetti costi della politica, non esclusi quei bizzarri grillini-berlusconiani che tanta parte di una (sedicente nuova) parte politica animano. Se il problema insorge e rileva leggendo le indennità del Di Nicola M. (pubblicate insieme a tutte le altre in un report sul sito della Regione), qualcosa non quadra…. Il voto espresso nelle urne pescinesi dai singoli grillini peraltro, ci autorizza a ritenere che il su descritto problema con il Di Nicola lo abbiano soprattutto alcuni vertici (ammesso che esistano dei vertici) e non gli altri, mentre il centrodestra, per propria forma mentale, un singolo tema non dovrebbe nemmeno porselo (la questione è dunque ad personam: non a caso lo stesso Di Nicola, nel corso di un comizio, ha proposto provocatoriamente di dividerli, cotanti danari). Diciamo una banalità della quale quasi ci vergogniamo: i veri costi della politica sono i costi ingenerati dalla cattiva politica per mezzo delle cattive regole e con la cattiva gestione: nei riguardi di questi veri costi difetta gravemente l’attenzione necessaria (forse perché studiare i problemi comporta fatica mentre urlare contro stipendi ed indennità fornisce risultato certo a basso sforzo intellettivo).
Come a San Benedetto dei Marsi due anni or sono, una marea (apparentemente) montante di giovanilismo e di tifo spesso scevra da qualsivoglia conoscenza anche basica delle questioni (non) dibattute, ha fatto pensare a molti si fosse in prossimità di un ribaltone che, a giudizio di questo foglio, non avrebbe avuto giustificazione politica alcuna, e che bene si sarebbe spiegato, piuttosto, con un desiderio di rivalsa (concentratosi su un obiettivo sbagliato), con gli umori di un territorio in sofferenza e la sociologia spicciola. Tifare alle elezioni come allo stadio non ha senso, non è educativo, non è giusto.
La convinzione di potercela fare ha vieppiù caricato alcuni esponenti di centrodestra – parecchi dei quali ricordiamo, noi, da tempo immemorabile, sempre uguali a loro stessi, con la differenza che mutando da democristiani a berlusconiani hanno perduto in simpatia e pacatezza – che sentendo essere, questa prova, il loro canto del cigno, non hanno lesinato nel dispiegare le loro più fini arti elettorali, affinate in decenni di subalterna affiliazione ai politici di ogni dove, preferibilmente scarsi e vanagloriosi.
La metà di quel che ne è derivato sarebbe bastata a disgustare palati molto più rozzi dei nostri (che pure siamo di bocca buona, e vogliamo comprendere come va il mondo, se non propriamente giustificare certi andazzi). Quel che abbiamo udito sul progetto di discarica di Valle dei fiori, nel mentre osservavamo, di sottecchi, il metro cubo di carta che è stata necessario produrre onde scongiurare un’idea catastrofica e rovinosa per il Territorio, ci ha profondamente amareggiati: le mistificazioni condite da applausi al riguardo ascoltate dalle nostre povere orecchie ci hanno quasi tolto il sonno. Sia detto in forma piana: nessuno avrebbe ritirato fuori la questione se non si fossero sottoposti, alla valutazione e alla scelta della popolazione, molti di coloro che su quella vicenda di nulla si accorsero, e che ancora oggi, non sappiamo realmente con quale coraggio, gridano che essi non fecero nessuna delibera a favore di quel mostro. Sulla circostanza che non occorresse alcuna delibera ma il loro assenso (concesso) in seno alla conferenza dei servizi crediamo aver dato sufficiente prova; e, archiviata la terza elezione della quale si è trattato del tema (uno dei più esaminati nella Marsica negli ultimi cinquant’anni: non deve essere stato dunque spiegato convenientemente, se tanta gente ancora insiste a voler credere a certe tesi innocentiste del tutto inconsistenti – argomentazioni molto sospette se sostenute da chi per professione fa l’avvocato) speriamo di averlo consegnato ai posteri, ammesso che ai posteri possa interessare. Non c’è stato il ricambio, nel centrodestra, c’è poco altro da dire. Ci fosse stato, le nuove leve avrebbero potuto accantonare il tema discarica come un episodio minore del mesozoico.
La convinzione di potercela fare – fomentata dalla solita claque che da qualche anno ammiriamo in piazza – era tale che oggi, a seggi chiusi, diversi esponenti si stanno interrogando su cosa non abbia funzionato. La nostra opinione al riguardo (certo non richiesta, e pensiamo neppure particolarmente gradita) è quella che in realtà Voce popolare abbia conseguito un risultato al di là di ogni più rosea (legittima) aspettativa, se riflettiamo su come si sia partiti, con chi, con quali temi, e le prassi utilizzate. La vittoria a delle elezioni è un qualcosa che si prepara con largo anticipo, i cui presupposti risiedono in attività elaborate e dispiegate anni prima. La vittoria alle elezioni quasi mai è un caso fortuito, e nel caso di specie, ove fosse avvenuta sarebbe consistita in un mero accidente. La politica è anche giusto mezzo, posologia delle cure e dei condimenti retorici, idee per il futuro. Difficile ravvisare traccia decente di tutto ciò nell’imbarcata fatta dalla lista in questione; lista che ha probabilmente “bruciato” anche quelle figure giovani che avrebbero meritato un esordio più consono, e dei mentori più idonei. E se produrre delle candidature in grado di “spaccare” le famiglie è arte antica e necessaria, speriamo che in un paio di casi questo becero metodo sia stato fatto in buona fede, senza la riserva mentale di comprendere di immolare un paio di figure realmente interessanti (poco rilievo ha il fatto che per candidarsi occorra firmare un’accettazione, e che gli interessati siano tutti adulti e vaccinati): la buona fede non esime, in politica. Se presentandosi in questo modo, si ottengono tutti questi voti, non c’è da dolersi se non della ingiustizia del mondo e della politica. Senza offesa: nel verso opposto. E’ stata una sconfitta (sin troppo) onorevole.
fmb
Tratto da: il Martello del Fucino 2015-5

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