La riforma del MES secondo Matteo, è ormai diventata una tradizione natalizia

Il guerriero padano chiama a raccolta la nazione mentre sora Giorgia è già in marcia, braccia levate al vento e canti patriottici nell’aere. Dal cuore della Garbatella un grido solo si leva contro le truppe teutoniche ammassate lungo i confini alpini. Vincere e vinceremo!

Alfio Di Battista
Alfio Di Battista
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Da qualche tempo si va consolidando una nuova tendenza: disquisire sulla riforma del MES durante le vacanze di Natale. Noti giuristi come Salvini e la Meloni, si inerpicano lungo i perigliosi sentieri del diritto internazionale e, folgorati da patriottico afflato risorgimentale, difendono orgoglioni, il popolo italico dalle forze oscure del Meccanismo Europeo di Stabilità.

Il guerriero padano chiama a raccolta la nazione mentre Sora Giorgia è già in marcia, braccia levate al vento e canti patriottici nell’aere. Dal cuore della Garbatella un grido solo si leva contro le truppe teutoniche ammassate lungo i confini alpini. Vincere, e vinceremo! La circostanza è grave ma non seria. 

Giorni di serrata dialettica fra europeisti e sovranisti, il tema del MES è tornato di stringente attualità. La narrazione nibelunga descrive il MES con le sembianze di una figura mitologica, un Cerbero simile al Fondo Monetario Internazionale. Instillare paura è ciò che conta. Siamo o no, nell’epoca del Grande Fratello? – no, non quello in onda su Mediaset è solo il vecchio caro George Orwell, – che scrive: La pace è guerra, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza, e aggiungerei, la menzogna è verità, la verità e menzogna.

I paraocchi ideologici del manzo padano sono tali da non far percepire al celtico che il MES funziona esattamente come una Rc auto. Tu paghi la tua assicurazione, sperando di non averne mai bisogno, ma se fai un incidente, sai che sei coperto. Il MES è una copertura assicurativa che interviene a richiesta, con buona pace dei nostri dioscuri, sovranisti figli di Giove.

In nessun articolo del trattato istitutivo del MES, c’è scritto che il debito di uno Stato è automaticamente ristrutturato in caso d’intervento. Il MES non sta lì, come una pattuglia della polizia municipale, nascosto dietro una siepe, pronto a puntarti il laser contro, per beccarti mentre superi il limite della sostenibilità del debito.

Fra l’altro, il Governo ha pure firmato il patto di stabilità! Che se uno ci pensa un attimo, è surreale che da un lato si sia accettato di sottoscrivere le condizioni per il rispetto dei parametri del patto di stabilità e dall’altro non ci si è dotati di una copertura assicurativa – leggi sopra – per stare tranquilli al verificarsi di crisi, calamità e disastri finanziari. Ma la Nazione è in buone mani, vero Giorgia?

Ma io in fondo la Meloni la capisco, perché il revisionismo storico è da sempre la tentazione, neanche tanto nascosta, della destra italiana. La memoria corta del popolo italico non aiuta a ricordare che alla fine del 2011, quando la destra governava con Berlusconi che raccontava la barzelletta dei ristoranti pieni di gente che spendeva, lo spread arrivò a sfiorare i 600 punti base.

Io la capisco la Meloni, Giorgia, una donna, una mamma, un’italiana, una cristiana, che di quel governo era Ministro della Gioventù, assieme ai vari Bossi, Tremonti, La Russa, Fitto con questi ultimi due ancora titolari di importanti ruoli istituzionali e di governo, parliamo di gente che portò l’Italia sull’orlo della bancarotta.

Oggi la Meloni ha preso il posto di Berlusconi, e si ripropone sotto rinnovate spoglie, senza lesinare cognati e sorelle in ruoli chiave e sempre in compagnia di La Russa e Fitto, con Salvini al posto di Bossi e Taiani al posto della buonanima di Silvio. Profili di tutto rispetto per carità.

Ma la Meloni ha una fastidiosa apprensione che la macera dentro: non vuole essere ricordata per la bancarotta scampata nel 2011. Quando se ne parla, scattano i cattivi ricordi, la fuga nottetempo. La notte in cui il governo fece gli scatoloni dandosela a gambe levate, con la folla urlante radunata sotto ai palazzi romani, lei c’era, ma lo smentirà categoricamente con altero sdegno, ma c’era.

Ma torniamo al MES. Oggi, l’unico soggetto titolato a verificare la sostenibilità del debito di uno Stato in difficoltà, che richiede aiuto, è l’imperturbabile Commissione Europea e non il MES, che invece si limita a prendere atto delle decisioni di quest’ultima. È solo la commissione che può dettare condizioni.

Il MES dispone di un organo decisionale che è il consiglio dei governatori, composto dai ministri delle finanze dei paesi dell’eurozona. Ogni decisione deve essere assunta all’unanimità, ma Germania, Francia e Italia, hanno diritto di veto sulle decisioni perché insieme possiedono oltre il 65% delle quote di partecipazione.

Quando la Commissione Europea prescrive l’adozione di misure correttive per eventuali squilibri di natura finanziaria nei conti di un paese, quest’ultimo può assecondarle o meno, ma se chiede assistenza alla Commissione, si fanno le opportune valutazioni, e di comune accordo con il paese interessato, si può attivare il MES, che interviene su un piano meramente tecnico, e attraverso modalità diverse, a seconda che il paese richiedente rispetti o meno determinati requisiti.

Gli interventi possono essere di tipo precauzionale, con l’attivazione di una linea di credito tramite una semplice lettera d’intenti, oppure di tipo rafforzato, stabiliti da un accordo preventivo, in base al quale, il MES può procedere all’acquisto o all’emissione di titoli pubblici, sia sul mercato primario che sul mercato secondario.

Quanto alle famigerate CACs, (clausole di azione collettiva) sulle quali, lo statista del Lambro, non capendone una cippa, al massimo balbetta e manda bacioni, esse entrano in ballo quando il paese che richiede aiuto alla Commissione Europea, ha esaurito tutti gli altri strumenti di sostegno messi a disposizione senza aver risolto il problema.

Alle CACs sono assoggettate tutte le emissioni di titoli pubblici successive al 2012 fino a un tetto massimo del 45% dei collocamenti annui.  La riforma del Trattato ne ha previsto la modifica dal 2022, in modo che il voto dei creditori possa essere acquisito in un’assemblea unica.

L’approvazione a maggioranza, in una sola assemblea unitaria, consentirebbe di decidere per tutte le serie di un dato titolo, senza la necessità di votare per ogni singola serie emessa, con notevole risparmio di tempo.

Quanto all’Italia, data l’entità del suo debito, ha solo una strada per non dover mai attivare una richiesta di intervento del MES. Mantenere un basso livello dei tassi di interesse dei titoli di Stato, attuare politiche che spingano la crescita del Pil in modo da tenere alto il saldo primario con razionalizzazione della spesa da un lato, e lotta all’evasione fiscale dall’altro.

È chiaro che la pandemia ha cambiato tutto. Ha fatto saltare il patto di stabilità per consentire ai governi di spendere per sostenere famiglie e imprese. Ma ora che l’emergenza sanitaria è finita sono state ridefinite le nuove regole del patto.

L’Italia ha senz’altro un debito pubblico che è lievitato, anche per le scellerate politiche di epoca grillina – bonus 110% e reddito di cittadinanza in primis – ma dall’altro lato, il rimbalzo degli indici macroeconomici post pandemia e la diminuzione tendenziale dell’inflazione sta spingendo al ribasso i tassi. Ciò si tradurrà in minor spesa in conto interessi per il nostro paese. 

In tutto questo si inserisce il fondo di dotazione per il sostegno alle banche in difficoltà, il così detto backstop, che inizierà a funzionare dal 2024. Su questo argomento i sovranisti da diporto italiani hanno ululato le loro invettive contro il Cerbero MES, che secondo loro, sarebbe uno strumento creato appositamente per salvare le banche tedesche con i soldi degli italiani.

Ovviamente non è così, perché questo fondo, entra in azione solo con l’attivazione del bail-in, e abbiamo imparato, a nostre spese, che il bail-in finisce inevitabilmente per coinvolgere i clienti della banca risolta. Il MES, attraverso un fondo dedicato alle banche, può attivare risorse fino a un massimo del 5% del passivo della banca sottoposta a bail-in. 

L’aspetto più delicato della riforma riguarda l’unione bancaria rispetto alla quale i tedeschi non solo pretendono una drastica diminuzione dei titoli di Stato dai bilanci delle banche, ma anche che ciò avvenga eliminando per primi, i titoli di minore qualità, quelli di rating più basso.

Quindi l’invito a sbarazzarsi dei titoli di Stato italiani, non è un attacco alla stabilità finanziaria del nostro paese ma molto più prosaicamente un invito a ottimizzare i bilanci delle banche per renderle più stabili e forti. Quindi quando sentirete Salvini o la Meloni proporvi titoli di stato con l’enfasi di chi chiede oro per la patria, sappiate che il rischio insito in quel tipo di investimento viene semplicemente trasferito dalla vostra banca su voi stessi.

Le banche italiane, dopo la crisi finanziaria del 2008, hanno investito in maniera massiccia sui titoli di Stato perché rendevano di più rispetto al credito, ed erano apparentemente privi di rischio. Per questo motivo gli istituti che hanno molti Btp nei loro bilanci, quando i mercati scendono, vedono la loro stabilità messa più a rischio rispetto a quelli che ne hanno meno.

Inoltre, se il nostro debito pubblico subisce una bocciatura in termini di qualità, da parte delle società di rating, accade che le banche più cariche di titoli di Stato, seguano la stessa sorte, e nei casi estremi, ciò può portare a costose ricapitalizzazioni a carico dei soci, chiamando in causa i risparmiatori, se fosse necessario attivare il bail-in.

I nostri sovranisti all’amatriciana, che volevano uscire dall’euro per tornare ai vecchi fasti della liretta, che teorizzavano la stampa monetaria infinita su basi autarchiche, che ritenevano di poter far debito come se non ci fosse un domani, ora che guidano il paese non possono più permettersi di giocare a chi la spara più grossa.

La Meloni lo ha capito, infatti ritiene di rimanere ben salda nel suo ruolo ancora per molto tempo, e se non fosse stato per Salvini, avrebbe già archiviato la pratica del MES. Ma con le elezioni europee che incombono, si è trovata messa all’angolo, assieme al povero Giorgetti che è uno dei pochi che ne capiscono ma non ha la forza per opporsi a Salvini.

E così, uno che non ha mai lavorato, che faceva il concorrente alla ruota della fortuna, che suonava ai citofoni della gente facendo concorrenza ai testimoni di Geova, che arringava il popolo padano con in mano rosari e statuine della Madonna, che dieci anni fa gridava No al ponte sullo stretto di Messina, oggi vuole passare alla storia per aver realizzato il ponte e detto No al MES. Da Paperopoli è tutto.

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