La Battaglia di Tagliacozzo e il destino d’Europa

Redazione
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di Claudia Venturini

 Comuni della Marsica in fermento per l’organizzazione delle varie celebrazioni in occasione del 750esimo anniversario della Battaglia di Tagliacozzo (23 agosto 1268). Sembra utile, allora, focalizzare l’attenzione su quello che la sconfitta di Corradino di Svevia contro Carlo D’Angiò ha significato per l’Europa.

Dal punto di vista storiografico poco importa l’esatto punto geografico in cui si è svolto lo scontro: è assodato, infatti, che la battaglia sia avvenuta in un’area oggi compresa entro i comuni di Scurcola Marsicana, Magliano de’ Marsi e Massa d’Albe, allora tutti ricompresi nel territorio della Contea di Tagliacozzo, da qui il nome. È altrettanto certo, a differenza di quanto qualcuno possa pensare, che il fatto è stato tramandato come “Battaglia di Tagliacozzo” – e come tale è arrivata a noi dopo quasi otto secoli – dagli storici dell’epoca e non da Dante, il quale nella Divina Commedia (1308-1320) si limita a riportarne il luogo (… e là da Tagliacozzo…) senza mai utilizzare il termine “battaglia”. La citazione del sommo poeta nella sua opera testimonia, invece, come la Battaglia di Tagliacozzo fosse già entrata a pieno titolo nell’immaginario collettivo degli uomini della sua epoca.

Per capire le conseguenze storiche che questo scontro ha avuto è, però, necessario fare un passo indietro e tornare al tempo in cui era imperatore Federico II di Svevia, nonno di Corradino.

Il progetto politico che perseguì Federico II fu quello di un Impero universale, seppur costituito da regni con una propria autonomia. Il primo passo fu quello di unificare i Regni di Germania e di Sicilia sotto una sola corona. L’Impero, però, appariva geograficamente interrotto dal territorio della Chiesa a metà dell’Italia, a Roma, dove Federico progettava di porre il centro dell’Impero stesso. I passi successivi furono quelli di redigere un’unica legislazione per il Regno di Sicilia, conosciuta come Costituzione di Melfi, e di organizzare, poi, l’amministrazione del regno in province. A questo punto, il piano di Federico II prevedeva il controllo dei territori della Chiesa e la piena autorità imperiale sul regno d’Italia, mosse necessarie per l’unificazione dell’intera penisola in un solo regno.

In altre parole, l’imperatore Svevo progettava la costruzione di una continuità politico-geografica dalla Germania alla Sicilia, governata all’interno da un comune sistema amministrativo garantito da vicari locali di fiducia della corona. C’era da fare i conti, però, con le singole monarchie, con l’autonomia dei comuni e con la crescente forza della Chiesa.

Questo progetto politico costò a Federico II ben tre scomuniche – due da parte di Gregorio IX e una da parte di Innocenzo IV – e la deposizione da imperatore. Poco dopo l’imperatore svevo morì, lasciando numerosi scontri aperti in tutto l’Impero. A lui succedette Corrado IV, padre di Corradino, il quale regnò per soli quattro anni, al termine dei quali iniziò un periodo contraddistinto da un vuoto di potere e da duri scontri per la successione in seno al Regno di Germania. Questa fase durò quasi un ventennio ed è conosciuta come “grande interregno”.

La scomparsa della dinastia Sveva sul territorio italiano aprì le porte all’espansione francese nella penisola. Sembrava tramontare, dunque, il progetto di un Impero universale che federasse vari regni ben strutturati. Per un breve periodo, come reggente salì sul trono di Sicilia Manfredi, figlio naturale di Federico II. Il Papa francese Urbano IV, considerando il Regno di Sicilia un feudo pontificio, rivendicava l’autorità di sceglierne il re e sostenne in tal senso le ambizioni di Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia Luigi IX. D’Angiò guidò i guelfi contro Manfredi, che venne sconfitto e ucciso a Benevento nel 1266.

È a questo punto che entrò in gioco Corradino di Svevia, ultimo discendente della dinastia. Convinto dai ghibellini a riprendere il progetto politico di Federico II, il giovane guidò il suo esercito contro quello guelfo di Carlo D’Angiò, con il quale – pochi mesi dopo essere entrato a Roma – si scontrò il 23 agosto 1268 nella Battaglia di Tagliacozzo.

La sconfitta di Corradino e la sua decapitazione – avvenuta a Napoli – misero definitivamente fine alla presenza degli Svevi in Italia, alle speranze dei ghibellini e all’ultimo tentativo di età medievale di edificazione di un Impero universale. Carlo d’Angiò divenne re di Sicilia e le città guelfe trionfarono.

L’obiettivo angioino era la conquista di Costantinopoli e la ricostituzione dell’Impero d’Oriente. Nel frattempo con l’elezione di Martino IV, anch’esso di nazionalità francese, le sorti del papato e quelle della dinastia Angioina si stinsero sempre di più. Nel 1282, con i Vespri siciliani, iniziò la violentissima ribellione contro il potere angioino. Pietro III re d’Aragona, in qualità di marito della figlia di Manfredi di Svevia, venne sollecitato a rivendicare la corona del Regno di Sicilia. Dopo molti anni di guerre, il Mezzogiorno venne spartito tra spagnoli e francesi, entrambi alleati del Papa. Agli Aragonesi andò il regno di Sicilia, ridotto alla sola isola, mentre agli Angioini restò il regno di Napoli.

L’esito della temperie politica e militare di cui si è sinteticamente provato a dare conto e del conseguente fallimento del progetto Svevo fu, dunque, il protrarsi sia della divisione della penisola italiana in entità statuali diverse e spesso contrapposte sia dell’influenza del potere temporale del papato sulle sorti politiche dell’Italia.

In tal senso si è discusso molto nel corso degli anni se ciò sia stato un fatto più o meno positivo per la storia successiva della Penisola. Alcuni, infatti, hanno ritenuto che la vittoria delle forze guelfe sugli Svevi abbia contribuito al mantenimento della peculiare identità culturale e religiosa dell’Italia e in particolare a rendere il nostro paese pressoché “immune” da quella che, due secoli dopo, fu l’”eresia” protestante oppure hanno sottolineato come la sconfitta di Corradino abbia sventato quello che poteva essere visto come il tentativo di assoggettare l’Italia al dominio tedesco. Inoltre, qualcuno sostiene che la definitiva sconfitta del sogno imperiale degli svevi abbia favorito la nascita degli stati nazionali in Europa, processo che però – a causa della presenza dei territori della Chiesa – non coinvolse l’Italia.

Altri, d’altro canto, hanno visto nell’ideale di Federico II una sorta di anticipazione – ancorché imperfetta in quanto comunque figlia del suo tempo – di quella forma moderna di statualità che venne affermandosi in tutta Europa nei secoli immediatamente successivi e che l’Italia conobbe con un non trascurabile ritardo. Secondo questi ultimi, la vittoria dei ghibellini al fianco delle forze imperiali avrebbe consentito alla penisola di sperimentare l’unità nazionale con oltre cinque secoli di anticipo rispetto all’impresa risorgimentale, di emanciparsi dall’ingombrante influenza papale e di collocarsi a pieno titolo tra i soggetti protagonisti dell’ormai incipiente modernità europea.

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