La Babele di Amplero

Franco Massimo Botticchio
Franco Massimo Botticchio
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In vista della chiusura della presente legislatura regionale e dell’avvio della successiva crediamo che la priorità per tornare a sperare nel Futuro sia quella di accordarci per tornare a restituire, alle parole, il significato e il senso loro proprio. Senza fare ciò, qualsiasi discorso sarà destinato a fallire miseramente (ammesso che in presenza della macchina impazzita dell’ente Regione sia possibile concepire ancora di poterla sfangare: noi, modestamente, siamo molto pessimisti sul tema, a prescindere dai malcapitati che saranno chiamati a fornire l’indirizzo politico a cotanto mostro, dall’Emiciclo; individui che non solo non invidiamo ma che ci fanno tenerezza, per il compito impossibile al quale saranno chiamati).

Diciamo questo in ragione dell’amara constatazione della deriva che sta prendendo la faccenda del cosiddetto progetto di impianto irriguo del Fucino (cominciamo noi: diciamo meglio: di quella serie di interventi finalizzati «alla risoluzione delle criticità legate all’uso e alle disponibilità della risorsa idrica nella piana del Fucino») , che nella sua attuale fetazione – giacché se ne discute da un centinaio di anni – è tornato in agenda alla fine dello scorso millennio, per poi più volte trasformarsi. L’importo allora a disposizione dell’Autorità di Bacino Liri-Garigliano (e dell’Ersa, se non ci inganniamo) era in lire, e nel tempo, qui la necessità di capirsi, di non smarrirsi, quel danaro è diminuito, e pare aver mutato di mano e provenienza.

Sia come sia, negli anni scorsi abbiamo assistito e anche partecipato ad una procedura (governata dall’Autorità di Bacino di Caserta [ora divenuta «Distrettuale dell’Appennino Meridionale»] e ente Regione Abruzzo) tesa a coinvolgere i portatori d’interesse dei territori coinvolti, onde selezionare l’opzione più idonea tra più serie di ipotizzati interventi; interventi tra i quali qualcuno ha inteso far rientrare anche il cosiddetto (nuovo) Amplero, folle disegno già abortito quarant’anni or sono e che prevede(va) il trasferimento dell’acqua del Giovenco in una valle di Collelongo e di lì nel Fucino.

La nostra modesta opinione al riguardo è sempre stata quella che senza un piano Marshall per la depurazione (da attuarsi anche con mezzi coattivi ed eccezionali, persino dal genio militare e la celere, se necessario), qualsiasi acqua si immetta nell’Altipiano sia inutile, un poco come rimutarsi con la camicia pulita e stirata senza essersi lavati; ed ogni sforzo di avere sempre maggiore acqua – un poco come i tossicodipendenti e i ludopatici con droga e scommesse – risulterà controproducente, e non porterà alcun beneficio alla qualità e alle quantità delle produzioni agricole, se non si metterà contemporaneamente mano al trattamento dei reflui dei centri abitati, che costituiscono l’emergenza prima e non più procrastinabile per la salute dei cittadini.

In ogni caso, insieme a molti altri, ci siamo opposti a che questa risoluzione di criticità si traducesse nel semplice disseccamento del fiume Giovenco, o si declinasse in una misera serie di tubi, e di scavi per posarli, in una subornazione evidente del tema e delle finalità. E ci era sembrato di comprendere che alla fine si fosse fatta strada l’idea di realizzare delle vasche di laminazione intorno all’ex alveo nella sua parte orientale e un vero e proprio bacino di accumulo a Tristeri, sotto Ortucchio (e non in alta montagna come sarebbe stato Amplero): soluzione che teneva conto delle risorse attualmente disponibili (cinquanta milioni di euro) e, soprattutto, delle molteplici problematiche legate all’assetto idrogeologico che caratterizzano il nostro pericolosissimo territorio (problematiche che, lo si dice sommessamente, sono l’oggetto istituzionale dell’Autorità di Bacino, e che in quanto tali hanno, almeno per detta Autorità, o dovrebbero avere, la prevalenza sulle pretensioni legate all’irrigazione delle insalate e delle carote che altri pure portano legittimamente avanti, all’esame del tavolo; e che sono importanti ma che non possono fagocitare tutti gli altri discorsi).

Negli ultimi giorni però, a seguito della ennesima riunione in Regione e del poco intelligibile resoconto pubblicato da alcuni siti di informazione, abbiamo finalmente compreso che l’idea di alcuni non è quella di immettere l’acqua nei fossi di Fucino ma di realizzare un impianto ex novo che prelevi l’acqua dalla falda, così il problema dei fossi è risolto!. Questa idea, che avrebbe delle controindicazioni normative non derogabili (ed è la diretta discendente della concezione – ormai antidiluviana – che aveva portato al parto di un precedente progetto, a metà anni Ottanta, non a caso non andato in porto, neppure in tempi di vacche grasse di Ente Fucino e di Cassa del Mezzogiorno), non si è finora incontrata /scontrata con il progetto di impianto che l’Autorità di Bacino Distrettuale dell’Appennino Meridionale sta portando avanti, con tanto di ditta affidataria della progettazione. Semplicemente, ma forse abbiamo capito male, quest’altro progetto è parto del Consorzio di Bonifica Ovest (che non rappresenta istanze collettive come l’Autorità di Bacino ma gli interessi dei propri affiliati) e, ad oggi, nessuno lo ha visto materialmente, nel senso che in Regione non lo hanno. Provateci voi a dire al municipio che volete essere autorizzati a voce per realizzare una cappella cimiteriale, o per una recinzione: e che caccerete il progetto quando avrete il permesso: vedrete quale risposta otterrete. Soprattutto se il terreno e i soldi non sono vostri.

Ma anche uscisse finalmente allo scoperto, cotanto progetto, non si comprende perché un semplice faraonico impianto di captazione brutale e invasiva (il futuro è il risparmio nell’uso, la gestione oculata della risorsa, non il getto a pioggia) dovrebbe passare avanti a tutta una serie di interventi tesi a mitigare i riverberi di più questioni, e non solo a dare più acqua a chi coltiva intensivamente: non se ne comprende la logica (pubblica), in specie se sostenuta da un Consorzio di Bonifica che non riesce a manutenere decentemente le povere reti che già ha; soprattutto, non si comprende la catena di comando per la quale questo piano b debba all’improvviso soppiantare il piano a faticosamente costruito sino ad oggi. Il sospetto però è quello che entità avezzanesi propendano per realizzare questo piano b, e che alla fine non si farà né l’uno né l’altro. Perché se degli interventi si programmano per l’intero alveo e cominciano da Avezzano, va bene; mentre se devono partire dall’altra parte e poi marciare verso Avezzano, allora no.

Poiché il progetto in pectore e l’idea ufficiosa non paiono avere molti punti d’incontro, speriamo che questo teatro degli equivoci e degli orrori, con un disegno indefinito che marcia in modalità segreta nella scia del progetto ufficiale in attesa di soppiantarlo, venga finalmente dismesso dalle Autorità preposte, e in primo luogo dall’Autorità di Bacino di Caserta che ha convocato, il prossimo 24 aprile, l’ennesimo incontro su “ACQUA DEL FUCINO”. A Cappelle dei Marsi.

Occorre chiarezza; anche perché, a farla breve, tra poco i soldi si perdono.

 


TRATTO DA: Il Martello del Fucino 2018-4 [ SCARICA IL PDF ]

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