Indietro tutta! L’impianto irriguo del Fucino ripassa da via. A rischio 50 milioni di finanziamento Cipe

Franco Massimo Botticchio
Franco Massimo Botticchio
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Velino visto dal Fucino

Rischia fortemente di transitare nel novero delle opere incompiute – e di assurgere a caso esemplare, nel pur vasto repertorio di storie poco commendevoli da raccontarsi, al riguardo, nelle tempestose notti invernali appenniniche – il progetto, targato Masterplan Abruzzo, volgarmente rubricato come realizzazione rete irrigua dell’intera piana del Fucino, la cui complessa gestazione è approdata all’ennesimo caravanserraglio burocratico di riconsiderazioni e distinguo, proprio mentre si approssima pericolosamente la dead line del 31 dicembre 2019, termine entro il quale si dovrebbe addivenire all’affidamento dei lavori, pena la decadenza dal finanziamento del CIPE di cinquanta milioni di euro (il condizionale è d’obbligo, ché il cronoprogramma non è tra le informazioni più note tra quelle in circolazione, sul tema).

Ad oggi, l’Autorità di Distretto Appennino Meridionale ha rimesso, alla Regione Abruzzo e ai soggetti attuatori dell’intervento complessivo – ARAP e Consorzio di Bonifica Ovest – il progetto preliminare, chiuso da una società di Padova dopo un procedura di consultazione e partecipazione con gli stakeholder del Territorio, che contempla, a grandi linee, tre diversi ambiti di opere: a) quelle connesse alla mitigazione del rischio idraulico; b) la rete irrigua in pressione nella piana del Fucino con relativo bacino di accumulo in quota noto come ‘Amplero2’; c) opere per il settore depurativo-fognario e delle infrastrutture per la tutela essenziale della risorsa acqua.

Quali sono i problemi?

Lo stralcio del progetto preliminare, dovendosi, in ragione della esiguità dei fondi rispetto al complesso dell’intervento (la cui chiusura è prevista, con molto ottimismo, per la fine dell’anno 2021), decidere con cosa cominciare, per poi tentare di reperire le risorse per i punti successivi, prevedeva di mettere mano alla progettazione esecutiva e quindi ai primi lavori partendo dalle opere dirette alla mitigazione del rischio, ovvero dalle tre vasche di laminazione, previste sul fiume Giovenco, a valle dell’abitato di Pescina, che dovrebbero funzionare come cassa di espansione per la difesa dalle piene potenziali di quel fiume e, insieme, da ‘serbatoi’ per l’impianto irriguo sino a quando non verrà realizzato il contestatissimo bacino di accumulo in quota (che molti non vogliono perché teoricamente alimentato dal prelevamento in quota del fiume Giovenco, analogamente al vecchio similare progetto di ‘Amplero1’ bloccato molti anni or sono per l’opposizione del recentemente scomparso sindaco di Ortona, Alberto Taglieri; ed altri ritengono, semplicemente, impossibile da realizzare, in ragione della tutela dei livelli essenziali di vita di quel fiume).

Ora, forse anche a seguito del cambio di guida e di opinioni avvenuto in Regione con le recenti elezioni, adducendo una serie di riserve tecniche – lo smaltimento dell’escavato; la impossibilità (in realtà inesistente) dei soggetti attuatori di procedere alle espropriazioni, ecc. – gli attori interessati alla vicenda, dopo che tra Pescina e San Benedetto sono stati persino effettuati i sondaggi archeologici sulle aree interessate destinate ad ospitare le vasche, parrebbero orientati a dare priorità alla realizzazione dell’impianto irriguo in pressione, per preoccuparsi successivamente del resto, attingendo l’enorme risorsa idrica necessaria al suo funzionamento dalla falda, esattamente come si fa, invasivamente, ora. Dietro a questo ripensamento vi sono gli interessi – certo legittimi – delle diverse espressioni del mondo contadino, che si ricollegano a tutta la bizzarra vicenda del progetto alternativo fantasma del Consorzio di Bonifica che per molto tempo ha sciaguratamente ritardato e avvelenato questa complessa procedura. Peccato che l’Autorità di Distretto Appennino Meridionale, che governa questa vicenda, abbia più volte fatto chiaramente intendere che non potrà autorizzare o consentire si reiteri, con il nuovo impianto, il massivo emungimento da falda che si registra oggi, essendo quello di combattere il fenomeno del depauperamento degli acquiferi di pregio uno dei principali obiettivi che sono alla base dell’idea di costruire un nuovo sistema.

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