Il senso degli avezzanesi per il ridicolo

Giuseppe Pantaleo
Giuseppe Pantaleo
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Se Parigi avess u mar sarebb na piccol Bar

Si è chiusa la vicenda delle panchine da traslocare, lo scorso 19 maggio. Sono sorpreso del nulla osta della Soprintendenza Baaas all’ipotesi di Mauro Passerotti? Per niente; essa ha deciso su un elemento dell’arredo urbano sistemato nel 2018 in una piazza completata una sessantina d’anni fa – tutt’altra vicenda rispetto alla storia di piazza Navona (Roma), piazza del Plebiscito (Napoli) o piazza del Duomo (Milano). Certo, non si trattava neanche di affidare allo spray, allo smalto di Biancoshock i marmi della Cattedrale o alle bombolette di Ozmo la facciata orientale della scuola media C. Corradini. (Il punto principale è l’interruzione di una pista ciclabile: non poteva né doveva metterci becco la citata Soprintendenza, interessandosi istituzionalmente di tutt’altre questioni). Il commissario prefettizio non ha replicato alle quattro associazioni (Archeoclub, Cmsm, Fai, WWF) che hanno variamente contestato la sua decisione – tanto per avere una cifra della democrazia circolante in città. Di là dell’ascolto, del mediare tra le parti; mi è già capitato di scrivere: «Che fine ha fatto […] il ruolo dello Stato arbitro – non tifoso o peggio ancora, sponsor – nelle contese tra raggruppamenti di cittadini, tipico delle democrazie occidentali?». La politica è rimasta muta al riguardo, prevedibilmente. Lo stesso aveva già dato il meglio ritirando la Dgc 180-2009 a fine settembre dell’anno passato (isola pedonale); fu una decisione politica – legittima senz’ombra di dubbio. (Aver presente una delibera vecchia di una decina d’anni indicherebbe una conoscenza minuziosa, ammirevole della vita amministrativa; l’incantesimo si è poi rotto quando questa testata giornalistica ha pubblicato qualche immagine riguardante le siepi di bosso andate in malora per trascuratezza in piazza A. Torlonia, proprio accanto al municipio).

Lo spostamento delle panchine e perciò la riduzione dell’area disponibile ai pedoni e l’interruzione della pista ciclabile principale rientra nelle misure per facilitare la ripresa di alcune attività economiche durante la Fase 2 del Covid-19.

È facile chiedersi: come si sono comportati i 7.904 comuni sparsi nella Penisola? È immaginabile che una larga maggioranza non abbia mosso un dito, considerando la propria dimensione: non poteva andare diversamente; 5.488 di essi, infatti, conta meno di 5mila abitanti. Al momento, non vi sono dati ma è facile ipotizzare che all’inizio dell’estate qualche migliaio di negozi ed esercizi avrà chiuso i battenti; succederà questo, senza clamori, sedicenti flash mob, dirette Facebook o simili piazzate di cui si è avuta notizia negli ultimi giorni. Tutto ciò farà diminuire la qualità della vita in numerosi paesi soprattutto appenninici e accentuerà la curva discendente della loro popolazione.

I restanti, soprattutto quelli con un numero di abitanti a cinque o sei zeri, quelli che «danno la linea» agli altri, almeno dal Basso medioevo? Molti di essi sono intervenuti riducendo lo spazio destinato al traffico motorizzato privato, mettendolo a disposizione di esercizi commerciali, locali, pedoni e ciclisti; lasciando in pace la piazza principale. (Non avrei scritto una sillaba contro l’ipotesi di una simile mangiatoia in piazza del Mercato, San Bartolomeo, Tommaso da Celano o Fra Daniele Mastrocola).

Avezzano non ha seguito la pista battuta dalle grosse città italiane, com’era invece più agevole, più «naturale». Essa ha utilizzato quale logica, invece? È sortita una misura che non sfigura nel canovaccio dell’ultimo trentennio; per intendersi: da Spallone 1 (1993) in poi, costituito in buona parte dalla privatizzazione di alcuni spazi pubblici e circenses concentrati in un unico luogo. Tali politiche, suggerite anche dalle associazioni dei commercianti, hanno sostenuto la rendita immobiliare – com’era prevedibile. La rendita è altro dal commercio, dall’artigianato, dal lavoro in generale. Non è un caso che il valore degli immobili in una particolare zona del Quadrilatero, sia rimasto uguale, non sia sceso proporzionalmente alla crisi della domanda; sono perciò lacrime di coccodrillo quelle versate – pubblicamente, periodicamente negli ultimi anni –, dalle citate associazioni per gli affitti troppo alti dei locali.

In città non si è assistito ai bar presi d’assalto; è andata peggio ai ristoranti per via del numero dei clienti e della loro permanenza nei locali entrambe contingentate. Qualche testata giornalistica ha pubblicato immagini di giovani assembrati nei prati prima del 18 maggio quando ciò non era consentito, dei clochard che frequentano abitualmente piazza G. Matteotti – anche loro ammucchiati e senza mascherine. Sarebbe opportuno compiere ora una simile operazione, con le comitive che affollano alcuni bar che hanno riaperto, nel tardo pomeriggio – senza protezioni e infischiandosene delle misure di sicurezza, anche in questo caso. (Battono almeno un colpo i sindaci in casi del genere, altrove; nel centro marsicano, appunto: ‘Occhio non vede, cuore non duole’). In un secondo momento, sarebbe utile confrontare tale paesaggio con la foto di com’è trattata la soglia e l’ingresso, la permanenza di un cliente in un qualsiasi negozio – senza spingersi a quelli di abbigliamento, troppa grazia! Tutto ciò, tanto per confrontare maniere molto diverse di rispettare le regole, ma soprattutto le persone.

Quale figura stanno rimediando gli avezzanesi in tale congiuntura? (È una domanda retorica e non prevede risposta).

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Lavoro come illustratore e grafico; ho scritto finora una quindicina di libri bizzarri riguardanti Avezzano (AQ). Il web è dal 2006, per me, una sorta di magazzino e di laboratorio per le mie pubblicazioni.