di Angelo Venti e Claudio Abruzzo
L’assenza di manodopera per le coltivazioni nel Fucino è un problema reale. Ma per chi “sul campo” ci sta sul serio restano ancora 60 giorni per scongiurare il disastro. A un condizione: “basta perdere tempo con proposte estemporanee e con la propaganda”.
La soluzione possibile, e a portata di mano, a quanto pare è quella più ovvia: far rientrare i braccianti che con le aziende del Fucino hanno già contratti di lavoro da diversi anni, ma che ora sono rimasti bloccati nei paesi di origine a causa dell’emergenza Coronavirus.
A sostenerlo sono gli stessi agricoltori, che con i dati e il calendario alla mano, spiegano:
“Nel Fucino la richiesta maggiore di manodopera si concentra da metà giugno a metà ottobre, periodo dei raccolti. Adesso è stagione di semine e, se si escludono i trapianti, per lo più si tratta di lavoro meccanizzato e seppur con qualche fatica, fino a metà giugno possiamo farcela con la manodopera presente. Il periodo critico inizierà tra due mesi, con i primi raccolti”.
Sessanta giorni a disposizione
La posizione degli imprenditori agricoli sembra dettata inanzitutto dal buonsenso: un ragionamento realistico e lineare, il loro, che non fa una piega. Alla stagione dei raccolti mancano due mesi: vi è ancora abbastanza tempo, sostengono, per garantire il raccolto e la sicurezza sanitaria sia dei lavoratori che della popolazione. A condizione che questi 60 giorni vengono impiegati per:
1) intervenire sui rispettivi governi affinché sia consentito il rientro dei lavoratori già assunti l’anno passato; 2) sottoporli sia in partenza che in arrivo a tutti i controlli medici previsti contro il contagio del Coronavirus; 3) organizzarsi anche per un eventuale periodo di quarantena prima di farli tornare al lavoro.
Una posizione che trova conferma anche dall’analisi dei dati forniti da una coperativa standard di produttori agricoli, che opera nel Fucino da circa 30 anni. L’azienda, confortata di recente dagli ordini da parte dei clienti storici, anche per quest’anno ha programmato lo stesso piano di produzione del 2019. Di seguito alcuni dati generali:
I terreni coltivati dai vari soci ammontano a circa 150 ettari e queste sono le colture programmate: Finocchi 30 ettari, Insalate e radicchio 60, Cavolfiore 50, Sedano 5, Patate 20. La manodopera straniera, tra coltivazione e raccolta, ammonta a 35 unità. Per le sole lavorazioni in magazzino sono impiegate altre 15 persone, prevalentemente locali. L’incremento di manodopera si registra nel periodo metà giugno – metà ottobre, in corrispondenza dei raccolti. La media annua è di circa 180 giornate per ogni operaio. Dei 35 operai stranieri (tutti cittadini del Marocco), sono attualmente presenti solo 5.
Nel caso preso in esame, su 35 stagionali sono quindi 30 i braccianti rimasti attualmente bloccati in Marocco. Sono tutti con permesso di soggiorno e risultano assunti da anni nella cooperativa agricola, qualcuno anche da 15 anni: molti di essi vivono in paese con moglie e figli. Come hanno sempre fatto negli anni passati, approfittando del fermo della produzione dei mesi invernali erano tornati in Marocco a trovare i parenti: di solito rientravano a febbraio. Quest’anno, a causa dell’emergenza Coronavirus e della chiusura delle frontiere, sono rimasti bloccati in Marocco.
L’Emergenza nel Fucino
Nella piana del Fucino – circa 12mila gli ettari coltivati – la manodopera ogni anno ammonterebbe a oltre 7.250 unità (rapporto Inps 2018). Due le tipologie di lavoratori: gli stanziali (contratto di lavoro, dimora nella Marsica, in affitto o proprietari di case, hanno famiglia e mandano i figli a scuola qui) sono circa 5mila; i lavoratori stagionali contrattualizzati sono circa 2.500.
Con il blocco delle frontiere in conseguenza dell’emergenza Coronavirus, la carenza per quest’anno viene stimata – a seconda delle fonti e delle varie e contrastanti dichiarazioni – tra i 2mila e i 4mila braccianti. Si tratta per la quasi totalità di lavoratori con permesso di soggiorno e già contrattualizzati negli anni passati.
La fiera delle proposte
La carenza di manodopera è reale ma le soluzioni finora prospettate non sembrano all’altezza della situazione. Ed è stupefacente che ad avanzare alcune di esse sono proprio i vertici delle organizzazioni degli imprenditori agricoli.
Si oscilla dalla proposta propagandistica del “Mandare a zappare chi prende il reddito di cittadinanza” avanzata dal Presidente nazionale di Confagricoltura Massimiliano Giansanti, a quella del ritorno all’antica e bucolica famiglia patriarcale contadina con la “Estensione dal quarto al sesto grado del rapporto di parentela/affinità per l’utilizzo in modo meramente occasionale o ricorrente di breve periodo di parenti ed affini” caldeggiata da Coldiretti. In mezzo la “Reintroduzione momentanea dei voucher”, la “Proroga dei permessi di soggiorno per i braccianti”, oppure la “Regolarizzazione degli extracomunitari clandestini”. Infine, l’apertura di “Corridoi verdi per facilitare l’entrata di manodopera dai paesi comunitari”.
Per lo più si tratta di proposte stravaganti che non risolvono il problema e che, nella migliore delle ipotesi, risultano essere solo inefficaci palliativi. Anche i tanto sbandierati corridoi verdi dai paesi Ue non risolveranno certo l’emergenza nel Fucino: si tratta per lo più di rumeni, adatti alla raccolta di frutta e per le colture del nord Italia, da noi la manodopera è slava e soprattutto nordafricana.
A confermare che anche la proposta di Confagricoltura è solo sterile propaganda sono i fatti. E’ di ieri la notizia che la campagna di reclutamento di manodopera lanciata attraverso il portale Agrijob, è miseramente fallita: su un’offerta di 3.500 posti hanno risposto all’appello solo in 152. Magari anche da vagliare.
Tornare con i piedi per terra
La questione vera è che quello richiesto nel Fucino è un lavoro specializzato che, oltre alla preparazione tecnica, richiede anche altre caratteristiche specifiche che non tutti hanno.
La resistenza fisica ad esempio: si deve essere sui campi prima dell’alba e poi lavorare, in qualsiasi condizione climatica, a ritmi sostenuti per raccogliere gli ortaggi, caricarli sui camion e avviarli in fretta ai centri di lavorazione o direttamente ai mercati. E senza farsi male.
Come si vede non è – indipendentemente dalla buona volontà – un lavoro per tutti. Ed è per questo che gli imprenditori agricoli – criticando le stesse organizzazioni di categoria che li rappresentano – chiedono a gran voce di non perdere altro tempo e di fare in fretta: “Fate rientrare i nostri dipendenti rimasti bloccati nei paesi di origine, hanno un regolare contratto con noi da anni”.
In fondo Confagricoltura ha dimostrato di saper risolvere questo problema. Per l’emergenza “tosatura delle pecore“, ad esempio, è riuscita a far entrare in Abruzzo ben 6 tosatori neozelandesi.
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