Fiume Giovenco – Alberto Taglieri: Senza se e senza ma

Franco Massimo Botticchio
Franco Massimo Botticchio
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Appena prima del cosidetto lockdown per il Covid-19, a fine febbraio, abbiamo partecipato, come molti altri cittadini pescinesi, all’assemblea sul Giovenco, vertente sulla bestemmiatissima idea di captazione delle acque del fiume – presumibilmente a monte dell’abitato di Pescina – in favore di un impianto di accumulo da realizzarsi in tenimento di Amplero, a Collelongo, quale ultimo stadio da realizzarsi per terminare il più ampio progetto irriguo per il Fucino (approvato nella scorsa legislatura regionale e ora subornato, se non stravolto, nel cronoprogramma, in evidente esclusivo beneficio di pochi produttori di insalate di fronte a noi).

Nell’uditorio, in specie durante i poco riusciti interventi di un paio di politici accorsi da fuori, (accorsi, pensiamo, a testare – con la loro fisica presenza e prepotenza – l’ingenuità e la sopportazione leggendarie degli astanti fontamaresi), si avvertiva aleggiare, in municipio, la presenza-assenza della figura che più di tutte, nell’ultimo mezzo secolo, ha compreso il ruolo che persino in un’era post-moderna può rivestire un corso d’acqua, anche di portata e lunghezza non eccezionali quale, giustappunto, il Giovenco, per coloro che sulle sue sponde vi si trovano a vivere.

Di questa visione di Alberto Taglieri da Aschi (alto), è a lui che ci riferiamo, che ci ha lasciati lo scorso anno in tarda età, noi da tempo sosteniamo la giustezza; e come lui, anche se con meno titoli e autorevolezza, e più di lui pensiamo che intorno ai quarantaquattro chilometri del Giovenco, che si snodano dal tenimento montano di Gioia dei Marsi (molto esteso, come ci ha insegnato l’esperienza di Valle dei fiori) per poi attraversare Bisegna, Ortona nei Marsi, Pescina e San Benedetto, fino a sfociare nel Fucino, occorrerebbe ripartire per elaborare il futuro prossimo e meno prossimo della intera Valle, che senza un’unione non ha futuro altro se non quello, pure rispettabile, di divenire un teatro di posa speroniano e devastato. Siamo ancora molto lontani dal veder scoccare la scintilla della nuova era, se solo si riflette sulla concezione che si ha oggi del fiume, il suo costituire un elemento sostanzialmente alieno per le comunità, o da utilizzare per sversare. I dati inerenti la qualità e la tutela delle sue matrici ambientali sono, al riguardo, preoccupanti quando non allarmanti, in specie dalla piazza di Pescina in giù.

Noi crediamo, come abbiamo detto sopra, che questa idea dell’invaso sopra Collelongo, ribattezzata Amplero2 per distinguerla dall’identico progetto già vanamente vagheggiato sin dalla cosiddetta era fascista, e messo materialmente in campo dalla Cassa per il Mezzogiorno e dall’Ersa proprio quarant’anni fa (1980), sia uno specchietto per le allodole – e un contentino ad alcuni boriosi politicanti di paese che si arresterà all’annunzio, al proposito – che non potrà mai vedere la luce, per l’impossibilità stessa del suo oggetto (l’acqua che non c’è; i soldi che non ci sono, ecc.). Pure, nel disgraziato caso si volesse, da parte dell’Autorità di Bacino e, soprattutto, della Regione Abruzzo (che è la stazione appaltante), passare ai fatti, cosa si potrebbe fare?

Per rispondere alla domanda, che ci siamo mentalmente posti nell’affollata aula consiliare, siamo riandati mentalmente alle vicende di Amplero1, nei cui meandri, a volerla leggere, risiede la risposta. Tornando giustappunto all’esempio di Alberto Taglieri.

***

Eletto sindaco di Ortona nei Marsi nell’anno 1982, Taglieri succede ad un regno infinito in quel municipio, fisicamente incarnato da Filippo Silvagni. La prima questione che egli si trova ad affrontare è, in pratica, il progetto di captazione delle acque del Giovenco dal suo territorio, per consentire quella che la Geotecna e l’Ersa definiscono, con perfida circonlocuzione, una «utilizzazione multisettoriale delle acque», che prevede la realizzazione di un invaso in località Amplero-Mandrelle da trenta milioni di metri cubi, con l’acqua prelevata da sotto Aschi e di lì intubata per diversi chilometri di montagna sino a Collelongo. Ci sono anche i danari, della (benemerita) Cassa per il Mezzogiorno. Amplero1.

La vicenda assume immediatamente degli aspetti paradossali, innanzitutto in linea politica. Taglieri, democristiano come solo i democristiani dell’interno abruzzese possono esserlo, si trova ad avversare un progetto di emanazione Casmez – un presidio scudocrociato potentissimo – e di Regione Abruzzo ed ex Ente Fucino, anch’essi in pratica dei tetragoni monocolori democristiani, nel mentre socialisti e comunisti marsicani sono invece propensi ad accettarlo, questo Amplero; non solo chi di loro ritrarrà almeno il beneficio dell’acqua per l’irrigazione ma anche chi di quell’acqua verrà privato: al riguardo, l’ambiguità di fondo con la quale le sezioni Pci e Psi di Pescina tratteranno la questione per tutti gli anni Ottanta, in particolare all’inizio, è piuttosto istruttiva. La divisione della Valle del Giovenco non è cosa di oggi, e la si incontra ad ogni piè sospinto, anche in questa vicenda: persino quando, tra il 1988 e il 1989, dopo un siloniano lustro di agitazioni, apparirà chiaro che il megaprogetto non potrà mai realizzarsi, il sindaco di Gioia apostroferà pubblicamente Taglieri come il «Grande fratello delle Acque del Giovenco», con grande scorno di costui. (si pensi a cosa è accaduto anche in anni più recenti, sul tema del Rinaldi, sulle scuole, sulla discarica di Valle dei fiori, ecc.: è una commedia che va continuamente in onda; probabilmente è funzionale ad un sistema, oltre che congeniale alla connaturale rissosità ambientale).

Per Taglieri «l’acqua del fiume Giovenco non si tocca […] nato per un miracolo – come riferiscono le leggende – non può morire per un disegno criminoso dell’uomo». È un approccio di impronta moderna («è palese e giustificato il timore che la realizzazione dell’opera in questione, e quindi della captazione delle acque, non impoveriscano solo il fiume, ma l’intera Vallata, oltre a provocare un gravissimo disastro ecologico»), in un’epoca non acora sensibile, alle nostre latitudini, a certi discorsi, che presto si amplia su più fronti correlati, non sappiamo se scientemente o involontariamente: quello della captazione per Amplero (a), ma anche contro il potenziamento degli acquedotti della Ferriera, di Riosonno e di Trasacco (b), e infine della derivazione, operante da anni, di una parte delle acque del Giovenco verso la Valle Subequana e L’Aquila (c). Non una goccia d’acqua deve essere sottratta al fiume, nessun tubo da 500 mm. deve essere impiantato, anche se solo in sostituzione delle vecchie reti esistenti, che potrebbe consentire di sottrarre più risorsa (diabolico argomento contadino); se poi l’impianto è nuovo, come per Amplero, la battaglia è senza quartiere, per Taglieri, a prescindere.

Nei suoi appunti leggiamo: «allorquando mi recai dall’On. Gaspari sostenendo che le acque del Giovenco non dovevano essere oggetto di nessun prelevamento previo il passaggio sul mio cadavere, egli mi rispose: “Sappi sindaco che le acque costituiscono un bene demaniale”, io gli risposi: “Sappi onorevole che se le acque sono un bene demaniale, io sono un bene del demonio”».

L’episodio narrato, i cui contorni potrebbero certo essere esagerati, testimoniano comunque un indirizzo deciso, che le cronache restituiscono per tutto quel decennio, con martellante continuità.

Nessuno deve mettere mano all’acqua, e a Ponte d’Aschi non sono tollerati cantieri. Comizi, manifestazioni, strepiti, ricorsi agli usi civici, ordinanze sindacali reiterate. A quest’ultimo riguardo, immaginiamo quale possa essere stata la reazione di Remo Gaspari ai diversi blocchi dei lavori attuati (dal 1984 al 1987) dal municipio di Ortona in danno di una ditta che casualmente era di Vasto! Lo stesso Gaspari che Taglieri ringrazia per i contributi ordinari e straordinari ricevuti, per il segretario comunale che ha potuto avere, ecc.. Eterogenesi dei fini (o le vie infinite della Dc).

Nel 1985, con un vero e proprio colpo di genio, Taglieri addirittura porta in consiglio comunale il progetto per realizzare in proprio tre dighe (dicesi: t-r-e dighe) in territorio di Ortona, con il provocatorio intento di sottrarre l’acqua al tubo in itinere di Amplero.

La fine, non formale ma sostanziale, di Amplero1 ha però inizio da altra data, il 14 settembre 1987. Le cronache de ‘Il Messaggero’ del giorno successivo narrano quel che avvenne (a scriverne è Ferdinando Mercuri):

È stato appiccato il fuoco ad una catasta di tubi lungo la Val del Giovenco. Si tratta degli ormai famosi tubi da 500 millimetri che una ditta, su commissione della Casmez, sta installando lungo la valle per la nuova adduttrice che dovrebbe portare acqua a scopo idrico a Pescina e in altri centri. L’incendio ha interessato circa una trentina di tubi catramati ed è stato necessario l’intervento dei vigili del fuoco di Avezzano che hanno dovuto lavorare per circa un’ora per avere ragione delle fiamme. È accaduto a poche centinaia di metri dal luogo dove circa una settimana fa si tenne il sit in organizzato dal Comune di Ortona dei Marsi sul problema delle acque del Giovenco. È facile allora ricollegare questo gesto (di natura sicuramente dolosa) con la protesta che monta sempre più tra le popolazioni del Giovenco. È da escludere che si sia trattato di “incidente” visto che le fiamme hanno interessato quasi esclusivamente la catasta di tubi propagandosi solo per qualche metro nella zona circostante.

Sul posto si sono portati anche i carabinieri della stazione di Orrtona dei Marsi per i vari accertamenti del caso. Comunque, non è la prima volta da quando i tubi sono stati accatastati lungo la valle che si registrano episodi che a questo punto sembrano di “rifiuto”. Qualche tempo fa venne appiccato il fuoco ad una catasta nelle vicinanze del bivio di Carrito, ora è toccata a quella del bivio di Aschi Alto, proprio a poche centinaia di metri dal punto in cui tali tubi dovrebbero essere innestati per captare l’acqua.

L’episodio non può non sottolineare lo stato di agitazione che regna in zona. Soprattutto perché non si vuole parlare chiaro sul progetto da realizzare. Qualcuno erroneamente addirittura collega i tubi dell’adduttrice con il discorso “Amplero”; c’è molta confusione tra la gente. Addirittura c’è chi bellamente parla della realizzazione del bacino di Amplero anche senza l’acqua del Giovenco. E con quale acqua allora? […]

(Il refrain del dibattito, oggi, non sembra così diverso.) Poi venne il tempo dei mezzi meccanici (per Amplero), i cui resti è ancora possibile individuare sulla montagna.

Tutto ciò per sommariamente dire che, alla volte, come recitava un noto motto cinese, la confusione sotto il cielo può essere sintomo di una situazione eccellente (persino il giornale appena riportato aveva un occhiello del seguente tenore: «Problema Amplero. La rabbia delle popolazioni è esplosa improvvisamente…», confliggente con il tenore dell’articolo sopra riportato, che sottolineava come quei tubi non fossero lì per Amplero!). Almeno dove ci sono cazzimma e volontà, obiettivi chiari e condivisi, di buonsenso. Ovvero una leadership all’altezza, in grado di leggere e tradurre in pratica e prassi una lotta che ricorda, naturalmente, Fontamara di Silone (testo citato in ogni dove in quegli anni) ma soprattutto un meno conosciuto ma più appropriato Incendio a Cervara di Roberto Denti.

Alberto Taglieri è stato all’altezza del compito, nella endemica confusione (che attribuisce un titolo di merito ulteriore a chi è stato in grado di orientarsi e dirigersi al suo interno) che da sempre caratterizza lo spazio pubblico nella disgraziata e sfortunata Valle del Giovenco.

[ Tratto da: Il martello del Fucino 2020-2 SCARICA IL PDF ]

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