Figuig, un’oasi nel deserto

Redazione
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f-o-figuig-palmeria2.jpgFiguig è un’oasi della proppagine meridionale della Regione dell’Orientale: situata a 900 mt di quota, è circondata da una corona di montagne e si trova al confine tra l’Alto Atlante orientale e l’Atlante Sahariano.
Posta a pochi chilometri dalla frontiera, chiusa da anni, rappresenta una vera e propria enclave marocchina circondata da territori algerini. Figuig è formata da sette villaggi fortificati o qsour (Abidet, Oudaghir, Ouled Slimane, El Maiz, Hammam Foukani, Hammam Tahtani e Zénaga, il più grande). Ai sette qsour corrispondono altrettanti palmeti, la cui stretta relazione è alla base del sistema economico, di organizzazione e di vita dell’oasi: i palmeti si estendono per circa 650 ettari e contano oltre 190mila palme.
La nascita dei villaggi dipende dalla presenza di 30 fonti d’acqua. Grazie a una complessa e raffinata rete di canali sotterranei, forse medievali, lunga decine di km – i Foggaras – l’acqua viene captata da sotto le montagne e portata in bacini di accumulo. Canali in superficie – i seguias – la portano poi ai lotti dei palmenti e qui, grazie a piccole canalizzazioni, si irrigano, praticamente a goccia, le palme e le colture sottostanti.
L’agricoltura, quasi tutta di autoconsumo, è di tipo intensivo verticale: le palme da dattero proteggono dal sole, sotto si trovano ulivi e alberi da frutta (albicocche, prugne, fichi, melograni, ecc), e a terra grano, orzo e ortaggi (zucchine, melanzane, insalate, peperoni, patate, piselli, angurie, carciofi…).
L’economia tradizionale dell’oasi si basava su commercio e artigianato (vasellame, ferro battuto, armi, polvere da sparo, gioielli e bigiotteria), ma con la chiusura della frontiera e il progresso sono tutti in declino, tranne la tessitura, che vede impegnata una cooperativa femminile.
Oggi l’oasi sopravvive prevalentemente con le rimesse dei numerosi emigrati.
Lo spirito di solidarietà è molto forte, ma è tradizione che i contributi inviati dagli emigranti per sostenere la sopravvivenza dell’oasi, vengono distribuiti alle famiglie più bisognose solo in forma anonima.
Di recente, anche per l’attenzione di università e organismi internazionali, qualche speranza per l’economia locale viene riposta anche nel turismo culturale e in quello eco-sostenibile.
Benché Figuig è un’oasi isolata da fattori oggettivi – il deserto (la città più vicina e Oudja, a quasi 500 km) e la chiusura della frontiera algerina – quello che sorprende è la quantità e la qualità dei contatti che l’oasi riesce a stabilire con università ed enti internazionali. Terra di traffici, scambi e di una intensa vita culturale, Figuig ha fornito molti intellettuali che hanno finito per ricoprire posizioni chiave nel funzionariato marocchino ma anche in Francia e Spagna, dove le varie comunità di figuighini sono addirittura riunite in federazioni.
Oggi Figuig conta 12mila residenti, cui si aggiungono almeno 2mila beduini delle tribù nomadi, originarie della penisola arabica, che gravitano intorno all’oasi.
Quello che colpisce, è la cortesia e l’estrema ospitalità degli abitanti dell’oasi. In particolare l’usanza di tenere ancora, fuori dalla porta di casa, un contenitore con l’acqua a disposizione del viandante in cerca di ristoro dal caldo. Sono anche altre le consuetudini sorprendenti: il primo raccolto di ogni nuovo palmeto, non va al proprietario ma viene offerto ai vicini di casa; sempre ai vicini di casa va offerta la prima frutta di stagione che viene acquistata da una famiglia; oppure se si va nel deserto con cibo e bevande si lascia sempre qualcosa in vista per i beduini che arriveranno dopo.
Le donne portano di solito un foulard sulla testa oppure vestono all’occidentale, vestono, invece, un abito bianco che gli copre anche la testa solo le donne sposate. Tra i giovani vi è una certa mescolanza, anche se i parcheggi delle biciclette fuori dal liceo sono separati tra maschi e femmine.
La regione di Figuig è stata abitata sin dalla Preistoria: nel deserto circostante sono circa ottanta le località in cui sono stati rinvenuti graffiti rupestri di periodi diversi (almeno sei) e in perfetto stato di conservazione.
A Figuig si sono succedute molte popolazioni di origini geografiche ed etnico-culturali molto diverse: berberi, arabi, mori andalusi e neri africani, ma anche comunità ebraiche. Ma la dura vita nel deserto – che costringe all’interdipendenza – ha prodotto una società molto coesa e solidale.
La componente berbera, discendente da due tribù, è maggioritaria e parla due dialetti; quella araba appartiene alla tribù del Jaber e ai Murabitun, i discendenti del Profeta, che nel VII sec. islamizzarono il Nord Africa e più tardi diedero il via alla conquista della Spagna. Gli haratines, invece, sono i pronipoti degli schiavi africani, mentre i Garamantes (anche essi di pelle nera ma non schiavi) sono originari dell’estremo meridione del Nord Africa.
Come in molte oasi sahariane, anche a Figuig anticamente gli ebrei svolgevano un ruolo economico fondamentale: la presenza nei villaggi di rioni, sinagoghe e cimiteri ebraici, attesta che la loro presenza (che si è protratta fino agli ‘50), è molto antica.
L’architettura dell’oasi porta il segno del periodo islamico: case e moschee secolari costruite in terra cruda si accostano ad un particolarissimo minareto ottagonale in pietra di epoca merinide, una dinastia fondata da una tribù di Berberi Zenata che nel XIII secolo. I Merinidi invasero il Marocco dal Sahara, Fez divenne la loro capitale e nel 1275 invasero la Spagna: la lasciarono definitivamente solo nel 1340, ma mantennero stretti contatti con la corte di Granada.
Non siamo riusciti a capire se siano stati i merinidi ritiratisi dalla Spagna ha portare a Figuig le ingegnose soluzioni tecniche per canalizzare e distribuire l’acqua nell’oasi (copiandole forse dal palazzo Alahambra, costruito dagli arabi a Granada nel XIV secolo), oppure se sia accaduto il contrario, magari ad opera dei Murabitun.
L’architettura e le strutture urbanistiche dei villaggi fortificati di Figuig si caratterizzano per antichità ed originalità: le case tradizionali, raggruppate negli qsour, sono nate nei pressi delle fonti.
Ad eccezione di Zénaga, che si trova nel cuore del palmeto, gli altri villaggi sono stati costruiti a monte delle sorgenti, lasciando i terreni irrigabili alla coltivazione.
L’abbandono degli qsour e l’espansione fuori delle mura è iniziata nel XX secolo, con la colonizzazione francese. Prima del protettorato, le oasi dell’est marocchino avevano sempre goduto di un’indipendenza quasi assoluta persino durante la dominazione turca: lunga e orgogliosa fu la resistenza anche alle truppe francesi.
Nel 1903 i francesi bombardarono il villaggio e la grande moschea di Zenaga e Figuig capitolò. Nel 1912 la Francia istituisce il suo protettorato sul Marocco e Figuig paga anche con la perdita di diversi palmeti, circa duemila ettari, situati in territorio algerino.
In quel periodo iniziano anche le costruzioni di diversi edifici coloniali.
In tempi più recenti, col sorgere delle moderne esigenze abitative, molti degli edifici antichi cominciano ad essere abbandonati, e la popolazione preferisce saturare le aree inedificate, dando luogo ad un disordine urbanistico.
La casa tradizionale ha la pianta tipica delle abitazioni islamiche ed è formata da un insieme di ambienti disposti attorno ad una corte centrale, scandita da arcate colonnate.
I materiali tradizionali utilizzati per le costruzioni sono i mattoni di terra cruda ed il legno di palma: la pietra generalmente è usata solo alla base dei muri, per proteggerli dalle acque, mentre la gran parte delle superfici murarie è realizzata in blocchetti tronco-piramidali forgiati a mano in terra cruda impastata con paglia, letame e limo recuperato dalle canalizzazioni dell’acqua.
Questa tecnica costruttiva è tuttora utilizzata dagli abitanti, anche se si è sviluppata la produzione di blocchi regolari.
La cortina muraria e i tetti delle case di terra cruda richiedono una continua manutenzione e protezione, a cui si aggiunge la cura per il deflusso delle acque, fatte scorrere in apposite zone permeabili inedificate, situate tra uno qsour e l’altro.
Le case hanno abitualmente uno o due piani, sono contigue e sono servite da un dedalo di vicoli coperti, ma aerati e illuminati con pozzi di luce: una tecnica che in questi luoghi costituisce un’ottima protezione dalle elevate temperature.
L’urbanistica degli qsour è pensata anche per la difesa del villaggio: oltre alle mura di cinta, esistono anche altre linee di difesa tra rione e rione, mentre la rete dei vicoli – simile a un labirinto – contribuisce ad ostacolare gli estranei che penetrano all’interno del centro abitato.
I solai delle abitazioni e dei vicoli sono realizzati invece con travi in legno di palma, che sorreggono una tessitura a spina di pesce fatta con scaglie di palma. Tale sistema è un ingegnoso modo di utilizzare l’abbondante materiale che avanza dalla pulitura dei tronchi.
Esistono anche varianti più raffinate di solaio, in cui dei cannucciati in lauro vengono intrecciati sempre a spina di pesce, a formare dei colorati tappeti geometrici.
Negli ultimi anni le tecniche edificatorie si vanno modificando con l’allargamento dei vicoli e l’utilizzo di nuovi materiali (cemento armato e blocchi in cemento), senza tuttavia produrre trasformazioni nell’organizzazione interna delle case: si tratta di un impatto ancora limitato, ma che rischia di crescere a causa della esigenza di modernità manifestata dagli emigrati.
Le case di fango che costituiscono gli qsour, rappresentano un patrimonio architettonico e urbanistico da salvaguardare: diversi organismi internazionali, tra cui la facoltà di architettura di Pescara, hanno iniziato a restaurare diversi edifici.

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