Falsi allarmi e caos: 7 aprile, il day after da sfollati

Redazione
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di Pietro Orsatti
foto di Angelo Venti

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L’ultima vittima è venuta in serata, quando a una nuova, forte e prolungata scossa, di magnitudo 5,3, ha colpito ancora in Abruzzo. È la frazione di Santa Rufina di Roio a piangere il morto. La scossa, che è stata la seconda più forte dopo quella della notte tra domenica e lunedì, è stata avvertita anche a Roma e in tutto il Centro Italia, dalle Marche alla Campania. L’epicentro è stato localizzato nella zona compresa tra San Panfilo d’Ocre, Fossa, Sant’Eusanio e Forcenese.


Il sisma ha provocato ulteriori crolli a L’Aquila come parte della chiesa delle Anime Sante in piazza Duomo e la palazzina dove erano sistemati i serbatoi idrici nei pressi della stazione ferroviaria. Crolli anche in provincia. Una grande nuvola di polvere si è levata da via XX Settembre. Da ieri quasi tutte le vittime del terremoto (l’ultimo bilancio si è fermato a 229) sono allineate nell’hangar della scuola sottufficiali della Guardia di Finanza dove è stato allestito l’obitorio. Quindici morti non sono stati ancora identificati. I funerali potrebbero svolgersi venerdì prossimo.

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La giornata era passata tra il panico innescato da sms anonimi e paesi svuotati anche se non colpiti dal sisma. Se la prima reazione della popolazione era stata pacata, il giorno dopo, invece, è quello del panico e delle psicosi.

Innescate da catene di messaggini, tam tam, telefonate. Centinaia di automobili cariche di valigie dirette a Roma o a Pescara e poi folle di anziani con scarni bagagli che sperano nell’arrivo di un pullman.

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E poi scosse, continue, e crolli. E ancora morti. Alle 14.30 il bilancio è di 207 vittime. E non è ancora definitivo. «Qui la terra trema, qui è andato distrutto tutto – racconta una ragazza rom poco più che bambina e rigorosamente incinta -. Ma a Roma trema la terra anche lì?». Aspetta, lo spavento ancora negli occhi, assieme a una cinquantina di persone in una stazione di servizio. Con calma.

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La prima voce è partita da un paesino a 10 chilometri dall’Aquila, Pizzoli. Una località che non è stata sfiorata dal sisma. Tanta paura, ma nessuno crollo. Poi alle 10.30 è partita la catena dei falsi sms (firmati Protezione civile) che annunciava una scossa più forte della notte fra domenica e lunedì e il paese intero si è messo in fuga. A segnalarlo è una ragazza del paese, di origini siciliane, che appena ricevuto il messaggio ha fatto la valigia. Ora aspetta, accanto alla ragazza rom, un pullman che sembra non arrivare mai. A Pizzoli, intanto, non accade nulla. Ci arriviamo senza difficoltà. Una località turistica, ben curata, a valle del massiccio del Gran Sasso. E deserta. Le poche persone che incontriamo stanno imbarcando i bagagli in macchina. Poi analoghe catene di sms arrivano a Teramo (causando quasi l’evacuazione dell’ospedale), ad Avezzano, dove inizia l’assalto ai supermercati. Addirittura a Rieti.

Incontriamo alcuni uomini del soccorso alpino, hanno trascorso tutta la prima giornata a scavare e operare nei soccorsi più pericolosi. Professionisti dell’emergenza, si riposano al lato della statale mangiando un panino che hanno portati da casa due giorni fa. «Ieri gli interventi funzionavano, oggi c’è troppa gente inesperta nei posti sbagliati – racconta uno di loro – e troppi comandi contraddittori. Troppe teste che danno ordini. Pensa che ci hanno rimandato indietro due volte mentre sul sito operava gente assolutamente non addestrata a questo tipo di lavoro». Come, ad esempio, i celerini bolognesi che da lunedì sera scavano nella zona di S. Francesco. Solo il giorno prima erano impegnati in ordine pubblico a Milano durante la manifestazione di Forza nuova. Paradossi della Protezione civile. Come quello di aree dove si concentrano aiuti e uomini, mentre a soli due chilometri di distanza centinaia di sfollati sono abbandonati a se stessi per un’intera giornata, senz’acqua, senza cibo, senza tende, senza assistenza sanitaria.

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Emblematico il caso di Onna, dove si concentrava il grosso degli aiuti, anche per l’oggettiva gravità della situazione. Intanto a Civita di Bagno, a un chilometro in linea d’aria, un’intera comunità veniva lasciata tutto il lunedì senza assistenza. E non stiamo parlando di paesini sperduti nelle montagne, ma in pratica di quartieri periferici dell’Aquila. Meno di cinque chilometri dal centro cittadino. Ci sono ancora aree non raggiunte, edifici crollati non scavati. Nonostante il governo affermi che la situazione sia ormai sotto controllo. E quello che colpisce di più, e che neanche un maquillage del miglior truccatore di Mediaset riuscirà a coprire, è che la storia, l’anima, la vita di un’intera città, L’Aquila, sono state cancellate dal sisma. Ci vorranno decenni per ripopolare il centro storico. Migliaia di persone. L’Aquila è una città fantasma.

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E intanto il presidente del Consiglio Berlusconi, con la sua usuale bulimia presenzialista, immobilizza per la seconda volta in 18 ore quasi 500 uomini, mezzi ed energie per fare la sua quotidiana conferenza stampa. Offre il suo corpo al circo mediatico che lo segue ovunque per carpire frammenti di battute, abbandonando di fatto il lavoro di documentazione sul territorio. In giro non sembrano esserci giornalisti. E quei pochi che si muovono fuori dal cerchio mediatico spesso ritrovano sulla popolazione le usuali e italianissime disfunzioni.

Dietro ai soccorsi, il circo del cattivo gusto

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Il circo puntualmente si è radunato. Politica e media in queste occasioni diventano un unico oggetto. I giornalisti e le televisioni sembrano incapaci di muoversi autonomamente e preferiscono il branco. C’è uno che va a Onna? Tutti a Onna. C’è la conferenza stampa di Berlusconi? Tutti da Berlusconi. E così via. C’è il giovane inviato di una nota trasmissione della Rai che, a pochi metri dai parenti di alcuni deceduti, a Onna, urla nel telefonino parlando con la sua redazione: «Abbiamo fatto delle immagini bellissime, la ruspa che buttava giù una casa e il proprietario che piangeva con le macerie dietro. Bellissima». Fortunato, il giovanotto, che tutti fossero talmente sfiniti da non reagire a questo atto di sciacallaggio culturale. E poi, il corrispondente della Rai regionale che, o in preda a sostanze stupefacenti o più probabilmente preso da un attacco di ansia di bucare la diretta, si inventa un arrivo di Berlusconi al centro di crisi. Ma Berlusconi non c’è. Infatti arriverà più di un’ora dopo per la conferenza stampa. «Ecco, vedo il presidente del Consiglio scendere dall’automobile – urla al telefono fissando una vetrata vuota -. Ecco che viene accolto calorosamente dalle autorità locali». Tutto questo davanti a decine di colleghi che lo guardano con un misto di disgusto e comprensione. Ma si sa, il circo deve andare avanti. E a chi importa andare sul territorio a verificare come e quando gli aiuti sono arrivati, a vedere le reali dimensioni della catastrofe? L’importante è essere accreditati per accedere alla sala stampa della Protezione civile. E al resto ci pensano carabinieri e polizia che impediscono l’accesso alle aree colpite e guidano i giornalisti in itinerari autorizzati. Meno male che ci sono i giornalisti stranieri, che li trovi in giro per i paesini a parlare con la gente, o cronisti come Toni Capuozzo che diserta la conferenza stampa del suo datore di lavoro per andare a intervistare gruppetti di persone in fuga. Per il resto delle notizie aspettiamo la puntata di “Porta a porta” di questa sera.

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