Disvelamenti 3/3 – Avezzano: il bradipo e il gambero

Giuseppe Pantaleo
Giuseppe Pantaleo
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[…] Si è trattato di una vicenda insolitamente – si fa tanto per dire – lunga: mi ha insegnato che cosa? Oltre a mostrarmi meglio le costumanze locali, il contestato abbattimento, la mancanza di quei sette alberi ha svelato, almeno a me, che quel posto vale poco a livello spaziale, architettonico; c’entrano almeno gli ultimi 50-60 anni di vita amministrativa locale. (Le amministrazioni dovevano – soprattutto tra gli anni 60 e 70 – vigilare sulla qualità architettonica di quel posto anziché lasciare briglia sciolta ai costruttori). […] non entra tanto in ballo la mia perspicacia, la mia capacità analitica quanto una città in cui il dibattito pubblico si muove alla velocità del bradipo – la recente disputa su corso della Libertà (Il Centro, 8, 9, 10, 12, 14 e 15 marzo) ha invece a che vedere con il passo del gambero.

[Disvelamenti in 3 puntate. Per leggere la prima CLICCA QUI ]

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Dopo l’abbattimento degli alberi rimanenti sul lato nord di piazza Risorgimento, più di uno si accorse che quel posto era meno ricco, denso di quanto lo aveva pensato per decenni. Era necessario un tema collettivo (teatro, biblioteca, tribunale, ecc.) o un piano in più per far meglio leggere quella piazza dalle dimensioni poco ortodosse per l’Italia, ma si misero in mezzo – per ciò che concerne le altezze – le leggi del Regno da rispettare in quel periodo: non più di due. Vi fu gente contraria al taglio delle piante, anche in quell’occasione, per respingere in toto il restyling.

Tutto partì da chi temeva sia che i locali commerciali acquistati in quella zona scendessero nel loro valore immobiliare sia una riduzione del loro potere decisionale sul marciapiede e perfino sulla carreggiata davanti al proprio negozio – considerato privato per consuetudine. Il centro-centro è imbalsamato da decenni essenzialmente per questioni legate alla rendita, più che al lavoro, all’imprenditoria. Sono perciò delle pose ideologiche, la paura del nuovo e il provincialismo esibiti, sfoderare il recente ambientalismo da operetta – saggiato, per la prima volta, contro il restyling di piazza A. Torlonia. Era contraria anche Confcommercio che dichiarava «isola pedonale» la parte superiore del progetto. (Nel senso: quella lì basta e avanza). Fu il debutto della fallace equazione Architettura = Botanica o meglio, Giardinaggio. Io ricordo chi, non appena riaperta la prima parte pavimentata di via C. Corradini, prelevava il termometro appeso nel tinello di casa e si fermava, con l’aria pensosa, per qualche minuto su quei lastroni bianchi per «misurare» (sic!) la temperatura esterna. Girava voce, infatti, che si sarebbero registrati rialzi di due, anche 3 °C per via di quel tipo di pietra.

Mi è parso bizzarro che qualche connazionale contemporaneo anziché utilizzare che so, gli affreschi della Cappella Sistina (1508-12 e 1535-41), Le quattro stagioni (1725), I promessi sposi (1827), Lettera 22 (1950), per costruire la propria identità, l’abbia invece ancorata a degli esseri viventi – di là della loro particolare intelligenza.

Può succedere che una scelta, un progetto di un’amministrazione comunale, sia contestato. Nel nostro caso, un sindaco ha proposto di rivitalizzare un pezzo del centro, perché abbandonato da anni: è una buona idea o è pessima? La prima, senza dubbio. Si poteva perciò attaccare De Angelis per il progetto caldeggiato perché esso era poco congruente o addirittura, contraddittorio con l’obiettivo che si poneva. L’esperienza mostra che simili interventi sono da valutare solo dopo la loro realizzazione: i cittadini sanciranno con la loro frequentazione, l’utilità e il successo di un restyling o di una nuova struttura. (Oltre al valore intrinseco del progetto e poi… il mercato a km 0, i concertini, le mangiate, Dialetto e castigo). Com’è d’altra parte andata per le piazze Risorgimento e A. Torlonia, per non parlare del Dino-Park sulla Panoramica. (Si ripeterà la passata tipologia di frequentatori nel nuovo parco delle Rimembranze?). Sono sufficienti una maggiore pulizia e qualche riparazione talvolta. Bisogna aspettare almeno che chiuda il cantiere, poi si vedrà – procedono molto a rilento i lavori.

C’era spazio per una qualche mediazione tra le «parti»? No, per un paio di motivi. 1) Evocare un elettrodomestico a proposito di una copertura trasparente e «deforestazione» per una sostituzione di essenze blocca, di fatto, il dialogo con un qualsiasi ente pubblico – è diverso al bar, tra amici, in piazza, Facebook, allo stadio, in una testata giornalistica trash. 2) La giunta De Angelis voleva recidere sette alberi e piantarne undici; c’è chi, invece, voleva proprio, solo quei sette perché gli ricordavano qualcosa d’importante della propria vita. (Non c’erano due vere parti, perché una di esse era rappresentata da un commissario prefettizio).

La memoria di qualcuno voleva prevalere su quella di molti altri. Io sono nato nei paraggi; quel luogo era una meta delle mie prime camminate e l’ho frequentato fino alle elementari, eppure ho messo da parte nostalgie di sorta, di fronte all’ipotesi di un qualsiasi restyling. Le città cambiano incessantemente; restano al loro posto giusto i tracciati principali, qualche piazza, un giardino storico e alcuni edifici (pubblici, privati) che la collettività ritiene importanti, di volta in volta. («Come la sabbia scorre tra le dita, così fonde lo spazio. Il tempo lo porta via con sé e non me ne lascia che brandelli informi:», Perec 1974). Mi spiego meglio. La nuova Avezzano ha un secolo di vita: che fine ha fatto, tutte le abitazioni costruite negli anni Venti? Tutte quelle fabbricate negli anni Trenta, invece? Quanto tempo è rimasto in piedi il (mio) liceo scientifico (M. Vitruvio Pollione), inaugurato nel 1973? Risposta: poco più di quarant’anni.

Il restyling non interesserà la vecchia canalina di scolo di pietra, prossima all’edificio in muratura; domanda: che ci faceva in quel posto, da sola? (Era di là da venire l’invenzione italiana dell’«incompiuta»). Quante volte è cambiato quel posto in nemmeno mezzo secolo al punto che anche chi ci vive, dimostra di non averne contezza? Vi sono stati degli ammodernamenti, aggiustamenti perché dettati dalle nuove esigenze dei compaesani che si sono avvicendati per due, tre generazioni. Gli stessi smemorati contestatori temono addirittura di non riuscire a orientarsi, ad avere crisi d’identità se casomai dovessero ritrovarsi sotto la tettoia trasparente, circondati da ben undici Prunus.

Questa vicenda di mezza estate è stata per me illuminante perché mi ha fatto comprendere come gli avezzanesi di una volta, a differenza di una buona quota di quelli ai nostri giorni, accettavano i cambiamenti purchessia, probabilmente perché cresciuti in una città nuova di zecca, nel secondo dopoguerra e per aver vissuto il boom economico negli anni Sessanta. (Non nego che dietro ci sia una sorta di damnatio memoriae nei confronti di Gabriele De Angelis: bisognava cancellare ogni realizzazione, traccia del sindaco caduto malamente per uno sgambetto della sua maggioranza). S’intravede, nel nostro caso, anche della nostalgia da parte degli indignati per una recentissima Età dell’oro che non c’è mai stata; è mancato agli stessi un progetto da contrapporre per quella piazza, una mezza idea per il futuro di quell’area. (Nemmeno un abbozzo di urbanismo tattico, giusto per far intendere – agli altri concittadini – che si era veramente in tanti, il «popolo»; che era stato elaborato qualcosa).

Si avvicinano le Amministrative 2020 e da settimane alcuni collettori di voti, liste elettorali e partiti cercano – talvolta camuffati – degli agganci con la periferia. (È risuonato il sempreverde refrain: «Basta parlare solo del centro!»). Non si è registrata finora nessuna lamentela, né proposta e non è difficile immaginare che tale situazione si protrarrà fino al secondo turno delle elezioni; su quelle questioni tornerà poi, al solito, la notte. È purtroppo difficile da accettare che il Quadrilatero è l’unica zona della città in cui si può modificare a piacere, incontrando pochi limiti. Non si può più intervenire su Sperone Vecchio (Gioia dei Marsi) perché è una frazione morta, ad Avezzano invece, si può ancora modificare abbastanza. (Riprendo il tema delle piante, esseri senz’altro più pacifici e collaborativi di Homo sapiens e degli altri animali: che ne è della coesione sociale in città, dopo questa deprimente parentesi?).

(3/3) Fine

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Lavoro come illustratore e grafico; ho scritto finora una quindicina di libri bizzarri riguardanti Avezzano (AQ). Il web è dal 2006, per me, una sorta di magazzino e di laboratorio per le mie pubblicazioni.