Venerdì 4 marzo 2022, sono (quasi) terminati i lavori per il restyling di piazza del Mercato. Ne scrissi per reazione, al suo tempo; rispondevo, a qualche «contestatore» di allora, che lì non c’era più la piazza, da anni: potevano farci quello che volevano in quell’enorme buco – compresa piazza B. Corbi. […]
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In simili occasioni spunta sempre il cosiddetto documento inoppugnabile. «Le foto d’epoca mostrano la Piazza del Mercato, circondata da alberi, gremita di bancarelle, di gente, luogo di aggregazione, di ricordi, di memorie cittadine», Co.N.Al.Pa., 13 agosto 2019.
Raffigura che cosa una vecchia cartolina virata color seppia immessa nel web ad agosto? È quella piazza prima che io nascessi, il suo perimetro era circondato da alberi; essa era piena di persone all’ora dello scatto. Erano inquadrati degli esseri umani più che l’oggetto architettonico «piazza». (La didascalia recita: «Il Mercato»). Era già diversa per via degli scaffali metallici per le cassette negli anni Sessanta o per i prefabbricati che li hanno sostituiti, fino a quasi un lustro fa, lungo via S. Cataldi e la costruzione sul lato sud. (È più recente l’eliminazione delle piante lungo via B. Croce). Non può documentare né soprattutto spiegare tale immagine, il progressivo abbandono di quel luogo durante gli anni Settanta – banchi dei venditori, negozi di alimentari, cantine, macellerie: gente –, né l’abbattimento del mercato coperto, nei primi anni Ottanta. Quella demolizione, attuata da un’Amministrazione monocolore (Democrazia Cristiana), è stata il fatto più rilevante in quella parte di città dalla costruzione del nuovo centro direzionale fino ai nostri giorni; essa provocò una diminuzione della qualità spaziale di quel luogo: oggi vi sono due posti denominati piazze, tanto per soddisfare un’esigenza di tipo toponomastico. (L’altro è piazza B. Corbi). Si svolse tutto nell’indifferenza degli avezzanesi, lasciando i classici quattro gatti a protestare; tra i millecinquecento firmatari contro quel taglio nei mesi passati, ve n’è più di uno che approvò quel tipo di sventramento. Si ha, da allora, quel «buco» formato da un rettangolo e un triangolo la cui ipotenusa è rappresentata da un frammento della principale arteria che scorre in città (SR 5). Tutto questo, alla distanza di un isolato dalla piazza principale. (Acqua in bocca da parte dei numerosi storici locali, da quasi quarant’anni, com’era prevedibile).
In quello scatto si scorge una piccola parte della pavimentazione ma non l’intero fondo: tornerò sull’argomento.
Fu di ben altro spessore l’ultima mobilitazione che si ricordi contro l’abbattimento di centinaia di alberi ma non solo per ricavare oltre un migliaio di parcheggi «a raso», nel Quadrilatero (1996, Mario Spallone1). Più che indugiare su qualche testata giornalistica o gingillarsi su Facebook, i contestatori ricorsero al Tribunale amministrativo regionale. Essi erano: Agesci, Archeoclub, Cai, Il Circolo, Il Salviano, Inu, Legambiente, Liberalamente, Presenza culturale, Rifondazione comunista, Tribunale per i diritti del malato, Unione degli studenti, Verdi, WWF. Fu tirata in ballo: a) la botanica – non sarebbero stati sostituiti tutti gli alberi e molti furono diversi di quelli piantati in origine – certo più bassi e meno folti dei Prunus ai nostri giorni; b) la storia – diversi chilometri di marciapiedi furono ridotti dopo nemmeno ottant’anni dalla loro costruzione; c) l’urbanistica – una tale misura avrebbe drogato il traffico al centro, producendo ingorghi.
Poco prima di Ferragosto si è capito in città che l’eliminazione delle piante, la nuova piantumazione e la copertura erano due progetti diversi, per quanto collegati; il primo proveniente dal Comune. Giuseppe Angelosante (STI) considerava: «L’errore è stato fatto al momento della messa a dimora, scegliendo l’essenza sbagliata; oppure venti o trenta anni fa, quando sarebbe stato opportuno operare di ringiovanimento, come da manutenzione prevista nelle aree urbane», 13 agosto 2019. Quella frase mi ricorda quando furono eliminate alcune robinie in piazza B. Orlandini e via G. Garibaldi (agosto 2013). Un noto forestale ammonì gli ambientalisti avezzanesi: era bene rimpiazzare quegli alberi ma con altre essenze, autoctone – Robinia pseudoacacia è considerata infestante.
Diversi personaggi ci hanno fatto comprendere quanto poco conoscevamo simili argomenti, negli ultimi anni. Francesco Eligi scriveva: «Gli alberi verranno poi rimpiazzati da 8-9 alberelli del tipo prunus, unica pianta che sembra piacere agli attuali politici avezzanesi», 6 giugno 2019. Angelosante precisava: la manutenzione del verde pubblico «non è solo potatura, ma anche e soprattutto il ringiovanimento, previsto quando un albero, anche se non malato, raggiunge dimensioni incompatibili con il tessuto urbano». Ecco perché un pubblico amministratore preferisce, dentro l’abitato, essenze la cui altezza massima non superi quella degli edifici circostanti. Consiglia lo stesso il sorprendente – per violenza – nubifragio che investì la nostra zona il 14 ottobre 2015, i successivi flash flood – approfittò di quei fenomeni alcuni privati per liberarsi di vecchie, pericolanti piante in giardino o nell’orto. (Di Pangrazio eliminò le citate baracchette lungo via S. Cataldi: lo infastidiva la loro forma, il colore, i materiali o vi erano anche delle ragioni di tipo igienico dietro la loro rimozione?). Inoltre: chi è quello sprovveduto che avrebbe progettato una simile struttura presso piante così avanti con gli anni?
Un sindacalista aveva lamentato la mancanza nel presidio per impedire l’abbattimento degli alberi di qualche associazione ambientalista (14 giugno 2019). Tali associazioni mancavano già dall’anno precedente. Il progetto di restyling era stato presentato al pubblico il 7 marzo 2018. Un eventuale sdegnato loro comunicato sarebbe stato diffuso entro la prima metà di quel mese: sono questi i tempi. Kristin Santucci riferisce le parole di Gabriele De Angelis, riguardanti l’apertura del cantiere: «i primi giorni di maggio» (IlCapoluogo, 18 aprile 2019). Che ne sappia io il primo comunicato contro detto restyling proviene dal Partito Democratico, il 5 giugno 2019. In un reportage sul clima pre-elettorale avezzanese lo stesso giornalista racconta sulla medesima testata aquilana – lo scorso 7 novembre –, di «polemiche mai spente – con il T-red e il taglio degli alberi a Piazza del Mercato a farla da padroni». (È stata abbattuta il 18 agosto la prima pianta, mentre la settima il 4 novembre 2019: è infantilismo).
In quel clima conflittuale, l’ex assessore all’Ambiente (Crescenzo Presutti) metteva in fila le analisi, i censimenti ricavati durante il suo incarico e raccontava al Centro: «Il saldo in negativo, frutto di 30 anni di disattenzione delle amministrazioni, ammonta a oltre mille alberi», 18 agosto 2019. (Era solo un modo per uscire dall’angolo, benaltrismo, una contromossa, una manovra diversiva la sua o anche, invece, la sintesi di un grosso, annoso problema di tipo amministrativo?). Mille alberi, non una fioriera di ortensie.
Passo costantemente intorno a piazza del Mercato nelle mie passeggiate e quel cantiere mi ha fatto capire un paio di cose. (La prima). Ho compreso che il progetto appoggiato da Di Pangrazio – una nuova pavimentazione – avrebbe prodotto la stessa situazione che abbiamo oggi sotto gli occhi se attuato; per realizzarla sarebbe stato, infatti, necessario uno scavo che avrebbe talmente maltrattato le radici dei restanti quattro alberi – sugli otto di allora –, da doverli abbattere. È anche facile chiedersi: chi è quell’impresario disposto a costruire dei tratti di un pavimento secondo pendenze diverse? (La seconda). Piazza del Mercato una volta tirata giù la cortina di fogliame che circondava la zona più interna su due lati, ha lasciato apparire quel luogo per quello che è: uno spazio dalla scarsa qualità architettonica. È repertorio da periferia, non da Quadrilatero. Mancano purtroppo edifici e facciate di un certo pregio e altezza a costituire quello spazio; il lato nord doveva racchiudere maggiormente. Non sono stato io, l’unico a ricevere questa poco gradevole sensazione di povertà o almeno di mediocrità – chissà che fine ha fatto chi ripeteva come un mantra: «La piazza è bella com’è»? (2/3)
(2/3) Continua