DIECI ANNI DE “IL MARTELLO DEL FUCINO”

Redazione
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Amara realtà

Speronizzazione

Alla duecentesima uscita di questo misconosciuto e misoneistico foglio, gli sventurati autori-compilatori (principali), oltre che celebrare degnamente, ovvero con un lauto desco, questa immane ed inutile (e per più versi, folle ed autoreferenziale) impresa, hanno il dovere di tentare di articolare un bilancio, di soffermarsi sulle prospettive di un territorio che sembra aver imboccato, collettivamente, una pessima china. Sulle lotte modestamente sostenute in passato da questo foglio e dalla variegata galassia di pochi compagni di strada, dall’ingombrante presenza dei rifiuti romani sino alla profilazione della Marsica a distretto energetico-minerario (PowerCrop e non solo), è quasi inutile intrattenersi, essendosi i fatti incaricati, in questo decennio, di darci ampiamente ragione (e solo l’Ente Supremo sa quanto avremmo preferito avere torto). E’ un destino in qualche modo “storico”, ineluttabile, sotto il quale perirà purtroppo la gran parte degli Abruzzi, in nome di un preteso sviluppo che deve devastare per sopravvivere alla propria missione, facendo mostra di perpetuarla, una simile missione impossibile (ovvero: lo sviluppo indefinito inteso come  consumo di suolo e di risorse indiscriminato). Un modello post-terremoto aquilano [la vera tragedia del decennio: per la distruzione dell’idea di centro-città di L’Aquila ma soprattutto per quel che è venuto dopo, dalle nuove città nel nulla in poi] applicato a comunità e corpi intermedi incapaci di esprimere un’altra visione organica, di anelare ad una diversa idea di vita, di scegliere – se proprio si deve vivere ai margini dei grandi circuiti produttivi (e che noi si sia ai margini è poco ma sicuro) – di decrescere senza spasmi e senza crearsi inutili illusioni.
Lo spettacolo del nostro comprensorio, nell’ultimo decennio, è di parecchio peggiorato: imprenditoria stracciona e con scarsa propensione ai nuovi settori e alla ricerca, operatori del cemento (selvaggio) raggiunti da ogni sorta di provvedimento antimafia (nel silenzio dei più, dai municipi al circolo del bar), politica inadeguata dedita per lo più a clientelismo di modestissimo cabotaggio (i cui margini, ovviamente, si restringono ogni giorno di più).
moscardelli-web.jpgPescina, in tale contesto, ha seguìto il pessimo trend.
In dieci anni si è perso il 7% di residenti (ma il dato effettivo è, evidentemente, anche più alto, con molti giovani che prendendo la via dell’emigrazione extraregionale sono rimasti formalmente nel nucleo familiare pescinese), e la popolazione è invecchiata, nonostante la provvidenziale iniezione di forze extracomunitaria e straniera, in media, di tre anni (che è esattamente la distanza che ci distanzia, oggi, da San Benedetto dei Marsi: 47 anni in media per gli abitanti di Fontamara rispetto ai 44 di Marruvium: dato che ci fa sospettare si stia per prendere l’abbrivio onde raggiungere Cocullo [59 anni] e Ortona dei Marsi [61 anni], più che scendere verso il dato di Luco dei Marsi [41 anni]). Non perché la vecchiaia sia – in sé – una sindrome, o una malattia; certo, tali dati implicherebbero una rideterminazione nel concepire l’erogazione dei servizi sul territorio, un loro ripensamento generale (e non un semplice taglio lineare) ma i tempi sono troppo scuri per nutrire soverchie speranze al riguardo. La questione inerisce poche fondamentali domande: cosa si è, come ci si vede, quali strategie e tattiche adottare per il futuro prossimo e quello un poco più lontano (nel lungo periodo, come giustamente sosteneva Keynes, saremo tutti morti, e dunque non è il caso di preoccuparsene più del dovuto). Peccato che la risposta a tali questioni presupponga un livello e una capacità di elaborazione dei concetti che la classe dirigente locale, tranne rare eccezioni, rifiuta semplicemente di porsi, facendo mostra di essere indaffarata in altro, ignorando, rifiutando – anche inconsapevolmente – di prendere un sentiero che potrebbe condurre a delle conclusioni assai spiacevoli o imporre, quantomeno, una severa analisi di coscienza ed esistenziale.
Con la seconda guerra mondiale, entrò, nel dizionario, un verbo piuttosto bizzarro: coventrizzare. Tale verbo derivava pari pari dal nome della città inglese di Coventry, la quale

subì nel 1940 una serie di bombardamenti a tappeto da parte dell’aeronautica tedesca tale da risultarne praticamente distrutta. Le condizioni di devastazione della città rimasero talmente impresse nell’immaginario collettivo tanto dei tedeschi quanto degli inglesi, che in entrambe le lingue sorse il neologismo coventrizzare (in inglese to coventrate, in tedesco coventrieren/die Coventrisierung), con il significato di “radere al suolo”, “distruggere completamente”.

Da tempo, all’atto di stampare, con il ciclostile (peraltro recentemente visitato dai ladri), il modesto foglio che avete in mano, il verbo che ci ripetiamo, assaporandone il suono e la consistenza, è: speronizzazione.
Secondo noi, il fenomeno che stiamo vivendo è assimilabile a quello vissuto dalla frazione di Sperone di Gioia dei Marsi, abbandonata infine, sessant’anni or sono, con gli abitanti superstiti uniti, alla stregua di quegli spostamenti di popolazione tipici dell’Unione sovietica, al capoluogo Gioia, con un vero e proprio borgo a loro dedicato, in un luogo dove asseritamente era – come è – più semplice avere il medico ed altri servizi essenziali per la civiltà moderna. Sul fenomeno dello spostamento dei centri e delle popolazioni verso il piano, in specie dal terremoto del 1915 in poi, sta dedicando molte energie l’amico Fabrizio Galadini (INGV), un vero benemerito del territorio; per quel che qui rileva, per «speronizzazione» intendiamo, a grandi linee, quel processo di progressiva (ingravescente, direbbe qualcuno) desertificazione delle fonti sostanziali che alimentano la vita di una comunità in un determinato luogo.
Abbiamo visto, su un numero di quel ciclostile dedicato allo sciagurato Centenario del terremoto, “Territori in Movimento”, come alla fin fine, poco prima di quel sisma del 13 gennaio che tanto danno ci ha arrecato, materialmente e soprattutto spiritualmente, chi osservava dall’esterno Pescina trovasse ragionevole la sua posizione, scelta in un’epoca lontanissima dai nostri avi con una sagacia probabilmente non apprezzata per come si dovrebbe. Scriveva, quell’alto funzionario venuto da Roma a mettere a posto le carte al municipio di Pescina, come la salute

«[…] è generalmente buona. Questo fatto sembra dovuto a due fattori principalmente, all’acqua potabile portata in paese dall’acquedotto di recentissima costruzione e dalla stessa posizione del paese situato in località molto ventilata e dove quindi i germi delle malattie sembrano non trovare terreno propizio ad attec[c]hire e propagarsi. Tali condizioni favorevoli neutralizzano in certa guisa l’effetto contrario dello stato di poca pulizia […]»

facendo giustizia di tante considerazioni poco avvedute sulla forra nella quale il nostro centro sarebbe stato inesplicabilmente calato (individuazione che tanto inesplicabile non poteva essere, altrimenti non si sarebbe stati il riferimento di un vasta area per molti secoli).
Ma le ragioni geopolitiche di una localizzazione, oggi che la società non è più incardinata nel lavoro agricolo ed il rapporto con i luoghi fisici è stato totalmente trasfigurato, sono oggi ancora valide e sufficienti? Per dirla con Jean Giono, «le nostre facoltà d’amore, di odio, di generosità, di egoismo sono state trasformate con il comfort, le minacce scientifiche, le speranze dell’età dell’oro […] I vasti orizzonti danno un animo; le vallate profonde, gli stretti valloni ne danno un altro […] Gli umori del vento, della pioggia, subìti per tutta una vita danno una forma particolare agli umori di quella vita […]». Vale ancora tutto ciò? O la televisione ed i riscaldamenti centralizzati hanno appianato tutte le diversità, livellato le peculiarità?
Dinanzi a Pescina, oggi, e tentando di analizzarne, modestamente, le prospettive, ci sentiamo un poco come quei convenuti al capezzale di Pinocchio, con il Corvo, la Civetta ed il Grillo-parlante:

– A mio credere il burattino è bell’e morto: ma se per disgrazia non fosse morto, allora sarebbe indizio sicuro che è sempre vivo!
– Mi dispiace – disse la Civetta – di dover contraddire il Corvo, mio illustre amico e collega: per me, invece, il burattino è sempre vivo; ma se per disgrazia non fosse vivo, allora sarebbe segno che è morto davvero.
– E lei non dice nulla? – domandò la Fata al Grillo-parlante?
– Io dico che il medico prudente quando non sa quello che dice, la miglior cosa che possa fare è quella di stare zitto [….]

Ebbene, noi, che tante volte siamo stati (erroneamente) considerati dei Grilli-parlanti, per una volta ci sentiamo di adottare la valutazione prudenziale del Grillo originale. Dinanzi a molti dati oggettivi che indurrebbero al più disperante pessimismo sull’esistenza in vita (non vegetale) di questa collettività, ve ne sono altri che, nonostante tutto, attestano la perdurante resistenza di alcune tradizioni, la sopravvivenza di alcuni presìdi basilari di una comunità forgiata dal vento di tramontana più che dal sole che batte ad Alto le Vigne.
A visionare i dati socio-economici, il reddito pro-capite, per Pescina parrebbe non esserci un grande futuro. Eppure, a vedere questo piccolo rissoso universo sub specie musicae si rimane colpiti dalla predisposizione e dalla versatilità che questo popolo ha e dimostra per le sette note, o per il mondo delle api che (ad onta della rivalità tra gli apicoltori; al confronto, le più profonde inimicizie politiche fanno sorridere) ha trovato il modo di unirsi. E per tante cose ancora. Nonostante una decadenza culturale piuttosto evidente.
Le questioni da affrontare sarebbero molte, e forse non padroneggiamo i mezzi necessari a rappresentarle, né punto né poco. Ci sentiamo di dire che una cosa che fortemente difetta a Pescina è lo spirito di corpo, l’orgoglio di essere noi – che mai deve portare ad equivocare i termini delle proporzioni: rimaniamo una realtà marginale – e di proporci con tale veste. Non sappiamo venderci, e non è solo una questione commerciale, di brand.
Quando l’attuale Presidente della Regione (che non è sceso da un pero) ci ha detto che nei nostri luoghi più antichi andrebbe innestato il turismo religioso, la reazione che abbiamo osservata è stata quella tipica… dello scherno fontamarese verso il malcapitato D’Alfonso! Quando due persone di grande spessore culturale – che ci hanno onorato della loro presenza (e del loro affetto) in occasione delle manifestazioni del Centenario – quali Fabrizio Galadini e Luca Gianotti, che sono originarie di tutti altri luoghi e nemmeno si conoscono, si dicono convinti che i resti del nostro vecchio centro andrebbero musealizzati (sul modello di Gessopalena) e fatti fruire in un modo nuovo, a locali e forestieri, invece di porsi delle domande sulla consistenza della intrigante proposta, i pescinesi strabuzzano gli occhi ed alzano le spalle, per tornare subito dopo a dolersi del ruolo perduto, e a cianciare di complotti di Vescovi e Genii civili (quando forse il vero complotto in essere da almeno cento anni è innanzitutto quello dei fontamaresi contro essi stessi). In fondo, così è più comodo.
Qui non si tratta di vendere dei marchi, pure fa impressione che a novecento anni (dicesi n-o-v-e-c-e-n-t-o a-n-n-i: in tutto il resto d’Europa avremmo avuto un battage pubblicitario di mesi) dall’emanazione di una bolla papale (sicut iniusta) che ha definito i confini della Marsica (regione che nasce come un’espressione di potere laico ma soprattutto religioso), invece di avere diecimila persone a Pescina ad onorare i resti del nostro santo protettore, si organizza una messa alla quale di persone ce ne sono forse venti. Non è questione di affluenza o di vendere i panini con la porchetta, è il concetto di cosa siamo a difettare, se non lo si rispetta, se non ci si rispetta. Se ci si dimentica di far suonare le campane il tredici di gennaio. Se ci si chiude nel proprio ristretto ambito, e tutto il resto non interessa (comportamento che assicura un pessimo destino a quell’ambito, una volta passati gli attuali gestori: se non si apre cioè a chi potrà proseguire).
In tutto il globo terracqueo, la parola “Fontamara” (che era ed è un toponimo di Pescina; per quanto Silone, negli anni, abbia precisato che il luogo desolato dove è ambientato il suo primo immortale romanzo non poteva certo identificarsi con Pescina ma con qualche frazione più alta, verosimilmente nella Valle del Giovenco) sarebbe già divenuta un marchio, “brevettata” commercialmente, ed apparirebbe sulle magliette di migliaia (milioni) di persone. Qui no. Qualche settimana fa esce, sul più importante supplemento culturale italiano, un articolo (che recensisce, male, il pessimo libro di Paris del quale abbiamo scritto nei numeri scorsi) che sostiene, in pratica, senza pezze di appoggio, che Silone fosse un pedofilo, e da noi tutti zitti. Ma saremo normali?
Stessa solfa con Mazzarino, e con tutto il resto.
Stiamo notando, in questi ultimi mesi, dei segni collettivi di resipiscenza: a poche settimane dalle elezioni comunali, non si avverte il solito clima rissoso che ha caratterizzato le ultime quindici tornate. Forse stiamo metabolizzando la «speronizzazione», e sarebbe già un segnale buono, quello di realizzare la patologia che ci affligge; e, per chiudere con un cenno di speranza e di fiducia, accantoneremo il sospetto che l’attuale bassa intensità politica che registriamo sia dovuta alle scarse speranze di mandare a casa l’attuale compagine municipale. Compagine, per terminare, alla quale rivolgiamo il nostro sincero plauso perché, da squadra, ha tentato di operare nel miglior modo che il contesto permettesse, fornendo una prova estremamente dignitosa. Come giornale abbiamo memoria – e chi avesse conservato dei vecchi numeri del Martello per posizionarci sopra la conserva può ben verificarlo, ove non lo rammentasse – dei pasticci combinati dalle precedenti (Valle dei fiori, opifici fantasma, squadre di calcio fuori target), per dolerci di chi c’è adesso.

IL MARTELLO DEL FUCINO” numero 2015-1

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