Dario Biocca: “Silone oltre Silone”

Redazione
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f-o-silone-trentennale1.jpgIgnazio Silone si è spento in una clinica svizzera trenta anni fa. Pochi giorni dopo si sono svolti i funerali, che lo scrittore avrebbe voluto in forma privata. Le volontà di Silone sono state almeno in parte rispettate: le ceneri sono sepolte là dove forse, nell’infanzia, giocava con i ragazzi di Pescina, in un luogo di ricordi lontani e intensi.
Dal giorno dei funerali sono però anche cominciati i dibattiti e i “processi”, sono apparsi articoli polemici e dibattiti: Silone colpevole e Silone innocente, accuse e assoluzioni, pubblici ministeri e difensori di ufficio, testimoni e giudici, ritrattazioni e rinnovate accuse. Un circo equestre aperto al pubblico con trapezisti e funamboli, persino, a volte, giullari. Solo alla memoria di Ignazio Silone, nella letteratura italiana del Nove-cento, è stata riservata questa triste sorte.
Spiegare una vita, in particolare la vita di uno scrittore, con gli strumenti di un processo indiziario è infatti sciocco e inutile. Nessuno oggi più ricorda quale fosse la vera imputazione: forse l’aver criticato i comunisti e il loro asservimento all’Unione Sovietica? Forse l’aver scelto per i romanzi un linguaggio troppo “semplice”? Forse l’aver fondato Tempo Presente con denaro proveniente dagli USA? Forse l’essersi sottratto alle richieste dei compaesani che, negli anni in cui Silone era parlamentare e poi scrittore famoso, si rivolgevano a lui per raccomandazioni e favori?
E infatti ogni “processo” e “processo al processo” si è concluso con un’assoluzione. Lo scopo dei dibattimenti, del resto, non era approfondire, comprendere, spiegare, neppure consegnare al futuro l’immagine di uno scrittore depurata da polemiche, incomprensioni, equivoci.
L’obiettivo era invece impadronirsi di un simbolo e piegarlo alle esigenze di partiti, istituzioni, fondazioni e centri studi, premi e cerimonie pubbliche – intitolate sempre a Silone, che pure tutti sapevano essere stato un uomo schivo, riservato, lontano dai riflettori e dal chiasso mediatico.
Il paradossale risultato di questa appropriazione (indebita) di identità è stato duplice. Il primo, ben noto a chi frequenta archivi e biblioteche, è che gli studiosi di Silone non dispongono ancora di un pieno e libero accesso alle corrispondenze private, ai documenti, al materiale biografico che resta disperso in Italia e nel mondo. Questo giornale ha scritto il vero riferendo di una mia offerta di donare al Centro Studi di Pescina i documenti di archivio, le fotografie e i manoscritti originali di Silone rinvenuti in vari Paesi d’Europa al termine di dieci anni di ricerche. Prima di tutto, si è detto, era necessario nominare una “commissione super partes” allo scopo di esaminare l’insolita “richiesta” – la commissione naturalmente non si è mai riunita.
Il secondo risultato è che da dieci anni si discute (con insulti, insinuazioni, sarcasmo e accuse di ogni genere verso chi ha condotto la ricerca) sulla documentazione di archivio che prova come Silone sia stato, per dieci anni, un informatore della Polizia di Mussolini. Affrontata solo, sempre e come se si trattasse di un’accusa infamante, si è provato a risolvere il problema con il consueto metodo del processo e dell’assoluzione, promuovendo convegni dove nessuno si peritava di esaminare le carte e visitare gli archivi. Così hanno voluto i sacerdoti di un culto che di siloniano ha solo il nome. Senza naturalmente ottenere nulla.
E così l’epilogo, cioè la comprensione della vicenda biografica nei risvolti più complessi (personali e politici, letterari e storici) resta lontano dalle istituzioni preposte allo studio della vita e delle opere dello scrittore, quasi come se i nuovi documenti fossero un fastidioso equivoco che con il passare del tempo si sarebbe attenuato fino a sparire. Invece le carte di polizia restano negli archivi e sono riprodotte ormai anche sulle riviste di storia, sui libri e persino sui siti internet di mezzo mondo; si è ormai diffusa nel pubblico dei lettori di Silone, in Italia e all’estero, la percezione (o la convinzione) che la vita dello scrittore sia stata ben più difficile e diversa da come la liturgia del Centro Studi o della Fondazione ogni volta, ancora oggi, la proponga e la racconti. Davvero una pessima lezione per i giovani.
Silone appartiene al mondo, alla cultura e alla storia del Novecento, a generazioni passate e future. Quanti provano a impadronirsi della sua memoria o si dichiarano depositari di verità assolute tradiscono il solo insegnamento di Silone che tutti, a parole, condividono, consegnato dallo stesso Silone alle più celebri e appassionate pagine di Fontamara: cercare, inseguire, amare la verità, anche quella che ci provoca sorpresa e dolore ma ci costringe a riflettere. Con il passare degli anni e l’approfondimento degli studi, è inevitabile che il passato appaia sempre diverso; se così non fosse i libri di storia (ma anche i romanzi e la critica letteraria, le stesse testimonianze di Silone) non avrebbero più significato; sarebbero, appunto, le consuete, inutili liturgie.

 Dario Biocca

(Professore associato di storia del giornalismo
e di storia del sistema politico italiano
Università di Perugia)

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