Camorra nel Fucino (2) – «Tanta “erba”, ma nella rete pesci piccoli»

Angelo Venti
Angelo Venti
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Quella della clamorosa operazione che ha portato alla scoperta dei legami tra clan camorristici e imprenditori agricoli del Fucino è una storia ricca di colpi di scena, con errori (su entrambi i fronti) e intuizioni investigative. Passiamo a questa  seconda puntata.

La presente indagine – scrivono giustamente i Pm nell’incipit della loro Richiesta di applicazione di misure cautelari del 13 marzo scorso – è il risultato fortunato di una serie di intuizioni investigative seguite al sequestro del 28 settembre 2016 di una vasta piantagione di cannabis nel Fucino (quasi sei tonnellate di marijuana) che hanno consentito di far emergere la trama dei personaggi e degli interessi che ne stava a monte. Personaggi questi che hanno eletto il territorio fucense – ritenuto tranquillo e al riparo da interventi delle forze dell’ordine – quale luogo ideale per la produzione di stupefacenti.

Ma per apprezzare il lungo lavoro d’indagine svolto dalla DDA dell’Aquila questa storia va raccontata tutta, per bene e dall’inizio, con tutte le sue luci ma anche con tutte le sue ombre.

Tutto inizia un giorno di fine settembre 2016, con i carabinieri locali che – su segnalazione da fonte confidenziale – iniziano a sorvegliare un terreno a strada 40 del Fucino, coltivato da Gianfranco Scipioni. Il 27 settembre gli occhiuti militari notano che Gennaro Casillo – figlio di Anna Scotto Casillo convivente di Scipioni – gira con una moto da cross intorno alla piantagione di mais e poi a piedi vi entra dentro:verosimilmentescrivonoper ispezionare la piantagione di marijuana”.

Probabilmente le forze dell’ordine locali pensano di trovarsi di fronte al classico giovane che coltiva in proprio qualche piantina di canapa per uso personale o poco più. Fatto sta che non verificano la consistenza della piantagione per proseguire poi eventualmente con appostamenti e intercettazioni per ricostruire tutti i collegamenti e infine tendere la rete. I carabinieri fanno invece quello che in questi casi non si dovrebbe fare: il giorno successivo, 28 settembre, “previa comunicazione al Pm della Procura di Avezzano” si recano nell’abitazione dei due per un controllo.

I militari identificano i presenti ed effettuano una perquisizione dell’abitazione: Veronica Casillo, figlia della Scotto Casillo, consegna spontaneamente una busta con un chilo e mezzo di marijuana e più tardi, nell’interrogatorio reso all’autorità giudiziaria, la ragazza dichiarerà di averla presa nel terreno di strada 40. A questo punto i carabinieri – agli ordini del capitano Enrico Valeriavendo avuto certezza che presso il terreno fosse coltivata della marijuana, si recavano sul posto, dove subito dopo si recava Scipioni Gianfranco; quindi procedevano alla perquisizione del terreno e dei fabbricati ivi presenti”.

La notizia filtra e sul luogo arriva la stampa, con tanto di reportage video-fotografico.

Questo il bilancio dell’operazione: 1.490 le piante recise direttamente dalla polizia giudiziaria e altre 2.100 appese per l’essiccazione, per un totale di quasi 66 q.li di cannabis e un valore stimato tra i 2 milioni di euro all’ingrosso e gli 8 milioni di euro per la vendita al dettaglio. Per tutto il prodotto sequestrato, successivamente, sarà disposta la distruzione e dato alle fiamme.

Sotto il punto di vista investigativo il bottino è invece molto più magro

Per Gianfranco Scipioni e Veronica Casillo viene disposto l’arresto, mentre il provvedimento di fermo emesso nei confronti di Gennaro Casillo sarà eseguito solo il 31 gennaio 2017 perché nel frattempo si era reso irreperibile. Nella mani delle forze dell’ordine restano così solo i coltivatori diretti e i braccianti della piantagione: tutti gli altri – e cioè i veri organizzatori della produzione e del traffico di stupefacenti, con solidi collegati con i clan campani – sfuggono alla rete, anche perché nessuno aveva pensato a tenderla. Scipioni, nell’interrogatorio sia davanti al Pm che al Gip si avvarrà della facoltà di non rispondere: agli inquirenti non resta altro che affidarsi alle classiche indagini e intercettazioni, sperando in qualche errore che gli consenta di individuare una pista.

2 – continua


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