Conferenza su Pace e diritti umani il 5 settembre ad Avezzano. Intervista al prof. Francesco Barone

Claudio Abruzzo
Claudio Abruzzo
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Prof. Barone ancora un altro importante evento a favore della pace e dei diritti umani. Perché?
Questo evento che si terrà ad Avezzano il 5 settembre prossimo, rappresenta la prosecuzione della marcia sulla pace che si è svolta a Bussi sul Tirino nel mese di luglio 2019. Le vicende legate al covid 19, ovviamente, non ci consentono di realizzare iniziative tali da coinvolgere un numero considerevole di persone. Ma comunque, ritengo necessario mantenere alta l’attenzione in merito a un tema cosi delicato e complesso come quello della pace. L’appuntamento del 5 settembre, vuole essere l’occasione di incontro e di confronto tra le persone.

Secondo lei, quali sono le strade percorribili per la pace?
Nel corso degli anni si è andato via via consolidando il concetto di reciprocità, inteso come forma originaria della relazione interpersonale, ma per attribuire un senso all’idea di intersoggettività è necessario rintracciare anche la natura dei rapporti interpersonali e individuare le concezioni dell’uomo che rimangono sullo sfondo delle teorie etico/morali contemporanee. Ciò induce, quindi, a passare dalla prospettiva monoculare sull’uomo singolo, alla risultante di molteplici prospettive che suppongono l’incrocio degli io e dei tu nel riconoscimento reciproco. La reciprocità, prevede una riconoscibilità che include la possibilità di influire positivamente l’uno sull’altro. Nella reciprocità si suppone l’intenzionalità personale di ciascuno e il riconoscimento della comune umanità, dunque di una uguaglianza di fondo a fronte delle differenze. Ma non è semplice, perché l’uomo contemporaneo rischia di diventare preda di un nuovo tipo di narcisismo che lo induce a ripiegarsi su se stesso e a spendere tutte le energie per il conseguimento del proprio benessere, ma contemporaneamente lo pone di fronte al fatto di dover ammettere che il proprio “Io debole”, è in costante ricerca dell’approvazione altrui. L’ “Io debole”, è caratterizzato da una vocazione autoaffermativa, per mezzo della quale, si affievolisce la tensione etica e collaborativa, riducendo così la disponibilità al patto e all’intesa.

Qual è la sua idea di pace?
La pace è un addestramento importante per il ragionamento, lo si può esercitare seguendo due stili: predicandola e praticandola. La pace costituisce il punto di incontro più nobile tra morale, giustizia, libertà e democrazia, in un reciproco riconoscimento dell’accettazione dell’alterità e nel pieno convincimento che nessuna forma di distruzione o prevaricazione potrà avere senso e giustificazione. La pace è la lotta contro la disumanizzazione, è l’idea secondo la quale non debba mai prevalere il lato oscuro della ragione. La pace rappresenta il bene pubblico globale per eccellenza, richiede l’indivisibilità sociale e, nutrendosi di giustizia, favorisce la convivenza tra tutti gli abitanti dell’intero pianeta. Questo mondo che sta diventando sempre più fragile e provvisorio, ci pone di fronte a una scelta: decidere se restare muti, oppure agire attraverso il dire e il fare a difesa della pace.

Qual è il suo rapporto con Denis Mukwege, premio Nobel per la pace 2018?
Come è noto, nel gennaio del 2019, a Bukavu (Repubblica Democratica del Congo) ho incontrato Denis Mukwege, dal quale ho ricevuto il documento di denuncia in merito alle violenze che riguardano il suo Paese. Da quel momento, ho svolto un’intensa attività di sensibilizzazione attraverso interviste, convegni e incontri nelle scuole. Con lui condivido l’idea di un mondo che rifiuta le violenze e le prevaricazioni, privilegiando l’impegno civile a favore della difesa dei diritti umani, contro lo sfruttamento delle persone, in particolar modo i bambini. Ciò che colpisce è che nonostante la sua costante e nobile attività umanitaria, Mukwege continua a subire intimidazioni e minacce. Le ultime riguardano proprio questi ultimi giorni e non può lasciarci indifferenti.

Quali sono i suoi prossimi impegni umanitari?
Questa pandemia mi ha impedito di tornare in Africa. L’auspicio è che possa tornarci al più presto per continuare ad aiutare concretamente le popolazioni che vivono in condizioni di vulnerabilità, anche grazie alla generosità di tante amiche e amici. Nel contempo, spero che finisca questo drammatico periodo che sta causando la povertà di numerose famiglie italiane. Mi auguro che questa inaspettata situazione diventi l’occasione per meditare ulteriormente sulla sofferenza derivante dalla povertà e dalla miseria. In un mondo che cambia velocemente e che esige un modello di convivenza in grado di rispettare e contenere differenze e specificità, è innegabile che divengono sempre più necessarie le idee di riflessione e di comprensione reciproca.

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