Il provincialismo deriva generalmente dal ritrovarsi fuori dalle stanze del potere, da quelle dell’elaborazione culturale. Esso diviene patologico, da parte di chi si ritrova «sotto», quando invece di ‘fare buon viso a cattiva sorte’, si tenta un’improbabile rivincita anche rifiutando in toto il mondo di chi domina.
Si è discusso poco della Fase 2 (Covid-19), per cominciare. Si è raccontata la generosità di alcune associazioni che hanno fornito gratuitamente pacchi di mascherine; qualche testata on-line ha pubblicato scatti riguardanti la città vuota o gli assembramenti di giovani. Il cosiddetto mercatino alimentare. Una tipa ha scoperto perfino l’esistenza dei senza-casa, che attenterebbero al «decoro urbano» – sono gli stessi da molti anni, vabbè. Quali sono state le proposte per tal agglomerato, per i suoi oltre 42mila residenti? Ci si è concentrati generalmente su una parte minima di una zona che non è neanche la più estesa della città (Quadrilatero) – non l’intero capoluogo e le sue frazioni –, con riferimento agli interessi di una categoria. I comitati elettorali – ritengo eccessivo chiamarli partiti – hanno taciuto, nonostante la campagna elettorale avviata; i consigli di quartiere (reali, presunti) hanno perso un’occasione d’oro per riaffermare: «Basta soldi al centro!».
Tale circostanza ha di nuovo mostrato i limiti della città moderna, nel capoluogo marsicano in particolare. Molti hanno notato le file davanti ai supermercati e le quattro farmacie del Quadrilatero fino al 4 maggio; si sono registrati assembramenti davanti alle pasticcerie e alle pizzerie della stessa zona dopo quella data. In città più estese si è preso a chiedersi come attrezzare maggiormente i quartieri in modo da renderli più autonomi sia dal centro sia tra loro: è opportuno limitare gli spostamenti; non esistono quartieri ad Avezzano – è decisiva la scarsa quando non nulla dotazione di servizi –, vi è solo un’informe periferia. È invece stato sovraccaricato di funzioni il centro, soprattutto negli ultimi decenni; congestione e inquinamento atmosferico sono solo i fenomeni più evidenti. Moltissimi avezzanesi, soprattutto nella periferia nord, hanno vissuto l’arrivo della grande distribuzione organizzata come una liberazione – al netto dell’immane spreco del suolo, spero.
Altrove, si è parlato di rendere gli agglomerati anti-fragili più che resistenti o resilienti. Negli anni Dieci, diverse città hanno provato a fronteggiare gli effetti dei mutamenti climatici eliminando il cemento e l’asfalto sovrabbondanti; piantando altri alberi. È resilienza: un flash flood provoca meno danni se l’acqua piovana s’infiltra nel suolo anziché rimanere su una qualsiasi superficie impermeabile; un colpo di calore fa registrare meno morti e ricoveri in ospedale quando c’è abbondante vegetazione a mitigare la temperatura. Tutto torna come prima dopo una catastrofe piccola o media, mentre la città anti-fragile va a nozze con l’instabilità. Vi fu un unico intervento (Crescenzo Presutti, 31 maggio 2017) a contestare quell’asfalto a piazza Martiri di Capistrello durante la scorsa campagna elettorale per le Amministrative, tra i 576 (sic) candidati al Consiglio comunale. Ci vorranno perciò dei lustri prima che gli avezzanesi comprendano la portata di tale concetto; a maggior ragione, essi sono in una botte di ferro anche nei confronti del più recente anti-fragile, considerando una parte del centro mummificata da una quarantina d’anni.
Nel Vecchio continente, nella Penisola stanno elaborando, hanno addirittura preso a lavorare per ricavare in fretta nuovi spazi per ciclisti, pedoni e bambini: è una conseguenza del cosiddetto distanziamento sociale. Serve perciò più spazio per le biciclette mentre il commissario prefettizio interrompe la pista ciclabile (via XXIV Maggio) nella mattina e nel primo pomeriggio di uno dei giorni in cui essa è maggiormente frequentata – rimuove anche i cordoli; egli aveva pensato d’interrompere la stessa a metà (piazza del Risorgimento), sottraendo spazio anche ai pedoni nel luogo più rilevante della città. (Lo stesso aveva ritirato – fine settembre 2019 – la deliberazione 180 del 2009, chiudendo ipotesi d’isola pedonale collegate a piazza Risorgimento, almeno in tempi medio-lunghi). Perché non utilizzare i fondi disponibili per realizzare la pista ciclabile su via Roma verso la zona commerciale? Perché non accelerare l’iter di quella su via XX Settembre che condurrebbe a San Pelino? La questione del distanziamento è cruciale in periferia, soprattutto quella storica, perché le vie sono strette e i marciapiedi mancano o sono inutilizzabili; al centro invece furono ridotti da Mario Spallone quasi un quarto di secolo fa – uno sfregio tra tanti. Adesso, in entrambi i casi?
Gli spazi pubblici per i bambini sono scarsi, soprattutto quelli praticabili. È il caso di liberare, nella pineta nord, le aree dedicate ai piccoli multando quegli irresponsabili che ci portano a spasso i cani (al guinzaglio, sciolti) nonostante il divieto. Importa poco i giochi in buone o cattive condizioni, è invece necessario avere del verde ben tenuto, soprattutto pulito.
Restando in tema di aree verdi, chiedo: perché non aprire il restaurato parco delle Rimembranze? (Gli ingressi principali di Castello Orsini sono chiusi a differenza dell’entrata laterale sulla sinistra di tale area: è stata forzata? Si sarebbe saputo in giro della sua riapertura, in ogni modo).