Africa, povertà e sentimento umano – Intervista a Francesco Barone

Claudio Abruzzo
Claudio Abruzzo
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Continuano i riconoscimenti nei suoi confronti per le sue attività umanitarie. E’ soddisfatto?

Non posso che essere felice per tali riconoscimenti. Sono importanti per diverse ragioni, soprattutto perché attestano quanto è stato realizzato nel corso degli anni attraverso interventi concreti a favore delle popolazioni vulnerabili dell’Africa. Le parole negli attestati denotano non solo l’impegno e la passione, ma rappresentano anche un’ulteriore spinta nei miei confronti per proseguire questo meraviglioso percorso umanitario. Ovviamente, non posso esimermi dal ringraziare tutte le persone che mi hanno sostenuto e continuano a farlo.

Il problema dell’Africa sembra non esaurirsi mai. Quali sono secondo lei le cause di questa immutata situazione?

E’ facile intuire che le radici dei problemi dell’Africa sono da ricercare non solo nel periodo coloniale, ma anche nel modo concreto con cui l’Africa è uscita da quel periodo. L’eredità avvelenata del colonialismo è duplice: da un lato vi è quella propriamente economica, dall’altro, quella politica e sociale. Per quanto riguarda la prima, bisogna ricordare che nei decenni della dominazione europea sono state sistematicamente distrutte le basi per un’economia africana autosufficiente. Le stesse regole del mercato mondiale, oggi, contribuiscono al paradosso secondo il quale, l’Africa esporta ricchezza ma diventa sempre più povera. C’è da dire inoltre, che questi problemi non vengono affrontati in modo adeguato ed efficace. La crescente povertà generale dell’Africa, accentua il divario, interno al continente, tra ricchi e poveri. E poi c’è la questione legata al mancato accesso all’istruzione. Un’alta percentuale di bambini non possono andare a scuola, in quanto, sono privi delle condizioni economiche e sociali che potrebbero favorire il loro ingresso nelle istituzioni scolastiche.

Nel periodo iniziale della pandemia si parlava di una eventuale ecatombe per l’africa. Fortunatamente non è accaduto. Saprebbe spiegare i motivi?

Non sono in grado di dare risposte certe. Provo a fare qualche ipotesi.  Innanzitutto l’Africa non è stata immediatamente colpita dal virus come invece è accaduto con l’Europa. Quindi, hanno avuto più tempo a disposizione per mettere in atto sistemi di contrasto alla diffusione del virus. Comunque, va ricordato che le strutture sanitarie non sono assolutamente paragonabili con quelle occidentali. Inoltre, un altro fattore è legato all’età media. In alcune zone africane solo una bassa percentuale di persone supera l’età di 65 anni. E’ sotto gli occhi di tutti che ovunque è cresciuto il livello di povertà. A un metro l’uno dall’altro viviamo nell’apparente realtà di essere tutti uguali. La realtà, invece, è un’altra. Questo virus, messo in una lente di ingrandimento, ci restituisce anche l’immagine di una società che considera il capitale economico al di sopra dell’essere umano.

Molto frequentemente, parlando di pace, lei pone l’accento sul termine reciprocità. Può precisare questa sua idea?

Il concetto di reciprocità si è andato via via consolidando nel corso degli anni. Da un punto di vista generale, si può ritenere che, attraverso la reciprocità si passa da una prospettiva monoculare sull’ uomo singolo alla risultante di molteplici prospettive, che suppongono l’incrocio degli io e dei tu nel riconoscimento reciproco. Nella reciprocità si suppone l’intenzionalità personale di ciascuno di noi e la disponibilità nell’affermare il valore della comune umanità, dunque di un’uguaglianza di fondo a fronte delle differenze. E’ impossibile parlare di pace senza avere ben chiari i concetti di reciprocità, inclusione e cooperazione.

Questo periodo non le ha consentito di tornare in Africa. Qual è il suo stato d’animo?

Purtroppo, per la prima volta, dopo 22 anni di missioni umanitarie, sono stato impossibilitato a tornare in Africa. Mi manca tutto. Mi mancano gli amici, gli ospiti degli orfanotrofi. Mi manca l’atmosfera di quella straordinaria terra: i canti, le danze, le tradizioni. Le parole e i loro racconti. Ma nonostante questa condizione, sono in contatto costante con loro. Questo ci ha permesso di continuare a garantire loro la consegna dei viveri di prima necessità. Tutto questo grazie a una straordinaria rete di solidarietà che si è andata consolidando nel corso degli anni. Resto in attesa di tempi migliori per partire nuovamente, senza un attimo di esitazione.

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