5.   IL CAMPO DI CONCENTRAMENTO DI AVEZZANO P.G.91: la vita nel campo

Antonino Petrucci
Antonino Petrucci
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I primi prigionieri cominciarono ad affluire ad Avezzano agli inizi del 1917, nel corso dell’anno il campo registrò la presenza in media tra gli ottomila e i dodicimila soldati oltre ad un alto numero di militari addetti alla sorveglianza; negli anni seguenti il numero di prigionieri scese sensibilmente fino ad un massimo di cinquecento unità sul finire del conflitto. La vita nel campo era piuttosto dura dovuta soprattutto al regime di sorveglianza, alle precarie condizioni d’igiene, al vitto che provocarono proteste da parte anche del governo austriaco e della stessa opinione pubblica. Nonostante fossero state rispettate durante la costruzione tutte le misure indispensabili per assicurare le condizioni igieniche necessarie, fin dall’inizio il Comando militare addetto alla sorveglianza del campo, lamentò la scarsa quantità di acqua potabile che arrivava al campo, contrariamente a quanto l’Amministrazione comunale aveva garantito, causando gravi problemi sanitari tra i prigionieri.

La condotta interna all’antico abitato di Avezzano, che preesisteva al 13 gennaio 1915, fu chiusa in quanto riportò gravi danni dal terremoto. Subito dopo il Genio Civile provvide a costruire una nuova condotta da piazza Castello fino all’altezza di via Mazzini all’incrocio con via Monte Velino. Le ferrovie dello Stato per l’approvvigionamento idrico della stazione costruì una nuova condotta a partire da quella principale in via San Francesco, a questa in seguito il Genio militare allacciò una terza condotta per fornire l’acqua al campo. Le diverse diramazioni eseguite da enti differenti senza un coordinamento di gestione programmata dell’utilizzazione della conduttura principale, costituivano la causa vera degli inconvenienti lamentati nella fornitura dell’acqua. Inoltre furono riscontrati numerosi allacci abusivi lungo il tragitto della condotta fino al campo. Per questo si rese necessario anche la realizzazione di tre serbatoi in muratura, alimentati da un pozzo, denominati le Tre Conche nella zona più a nord; ancora oggi l’area ne conserva il toponimo.

La corrispondenza dei prigionieri come già ricordato nel primo Capitolo, era garantita dalla convenzione dell’Aja, la posta giungeva a destinazione tramite la neutrale Svizzera. I prigionieri di truppa potevano scrivere mensilmente quattro cartoline, gli ufficiali otto. Il numero delle righe era limitato e la scrittura doveva essere chiara, in modo da agevolare il lavoro della censura, che controllava anche la posta in arrivo e i pacchi. Era possibile inviare telegrammi solamente per gravi motivi e il denaro veniva inviato tramite vaglia.

Nel campo funzionava anche uno spaccio dove i prigionieri potevano acquistare generi alimentari e altro in buoni, sistema di pagamento che rendeva più difficile le evasioni, in quanto era proibito ai prigionieri possedere denaro in valuta corrente e i valori venivano cambiati appunto in buoni che funzionavano come moneta accettata solo nel campo.

Riferimenti bibliografici:

  • Lodovico Tavernini “Prigionieri austro-ungarici nei campi di concentramento italiani 1915-1920”
  • arch. Clara Antonia Cipriani “Il Campo di concentramento di Avezzano. L’istituzione di un campo di prigionieri di guerra austro-ungarici e la nascita della “Legione Romena d’Italia” ad Avezzano” in Avezzano, la Marsica e il circondario a cento anni dal sisma del 1915 di Simonetta Ciranna e Patrizia Montuori
  • Prigionieri di guerra ad Avezzano – “Il campo di concentramento. Memorie da salvare” di Enzo Maccallini e Lucio Losardo
  • Le fotografie sono tratte dal web
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Laureatosi in architettura presso l’Università La Sapienza di Roma, ha esercitato la professione di architetto per circa trent’anni, oggi insegna alla Scuola Secondaria di Primo Grado presso l’Istituto Comprensivo GIOVANNI XXIII-VIVENZA di Avezzano. Appassionato di storia recente e di politica, è autore di uno studio sulla Riforma Agraria del Fucino, che si articola in 167 tra capitoli e sottocapitoli, pubblicata sui gruppi Facebook “Ortucchio in parole e immagini” e “Luco, ieri e oggi”.