17. LA RIFORMA AGRARIA NEL FUCINO – La trebbiatura

Antonino Petrucci
Antonino Petrucci
4 Minuti di lettura

Fino a qualche decennio fa la raccolta del grano durava praticamente tutta l’estate, molto era il lavoro altrettanta la fatica, il raccolto ripagava dei tanti sacrifici. Si cominciava agli inizi di luglio con la mietitura che avveniva con la falce (sarrecchia); per renderla tagliente si ribatteva con il martello la lama, non a caso erano i simboli dei partiti del lavoro: “socialista e comunista”.

Si facevano i “manoppi” legati con i “balzi” ricavati dalla pianta di grano stesso; i manoppi erano composti e incrociati a formare i “cavalletti” che dopo qualche giorno venivano rigirati per favorirne l’asciugatura delle spighe.

Dopo una decina di giorni i manoppi venivano caricati sui carri e traini che avevano ai quattro angoli, pali appuntiti per comporre più grano possibile e trasportati nelle aie, dove c’era una trebbia con una pressa mosse in sequenza da un trattore ( quasi sempre un Landini a testa calda, prima ancora a vapore: il moto era trasmesso da una lunga cinghia incrociata di tessuto resistente).

Si creavano lunghe file, quando era il momento del proprio turno con dei forconi a due punte di legno, ma anche di acciaio, dal carretto si buttavano i manoppi dentro la trebbia che faceva tanto rumore ed era circondata da un gran polverone e dai lavoratori che come formichine facevano la propria parte. Da due bocchette usciva il grano e qui  venivano attaccati dei grossi sacchi di iuta fino al loro completo riempimento, arrivavano a pesare fino a 120 chili.

La paglia era convogliata all’imballatrice che con una gran testa d’ariete veniva compressa fino a formare delle balle legate con fil di ferro. La trebbiatura era una FESTA, era il momento in cui si tagliava il prosciutto e si mangiavano le salsicce sottolio con gran bevute di vino, la gente stava insieme parlava si confrontava, nascevano nuovi amori, si programmavano sposalizi per l’inverno.

Negli anni ’30 del secolo scorso fecero la comparsa le prime falciatrici a trazione animale, trainate quasi sempre da una coppia o più coppie di buoi, nel secondo dopoguerra si diffusero le mietitrici a trazione meccanica. Le mietitrici meccaniche erano le più disparate, a metà degli anni ’60 ne uscì un tipo che andò per la maggiore, aveva tre ruote.

Quindi seguirono le trebbiatrici che avevano una grande “bocca a imbuto” andavano direttamente nei campi, si avvicinavano ai cavalletti di grano e i manoppi venivano gettati in questa bocca, di lato avevano sempre due bocchette dove si attaccavano i sacchi di iuta che una volta colmi erano fatti cadere sul terreno, dietro lasciava la paglia che era pressata sul posto da imballatrici meccaniche. Poi furono le mietitrebbie con bocche grandissime, nel giro di qualche ora avevano finito il lavoro; ora il grano non si semina più, ha lasciato il posto alle produzioni orticole…

Condividi questo articolo
Laureatosi in architettura presso l’Università La Sapienza di Roma, ha esercitato la professione di architetto per circa trent’anni, oggi insegna alla Scuola Secondaria di Primo Grado presso l’Istituto Comprensivo GIOVANNI XXIII-VIVENZA di Avezzano. Appassionato di storia recente e di politica, è autore di uno studio sulla Riforma Agraria del Fucino, che si articola in 167 tra capitoli e sottocapitoli, pubblicata sui gruppi Facebook “Ortucchio in parole e immagini” e “Luco, ieri e oggi”.