Sulmona, Monte San Cosimo\4: dalle armi alla Protezione Civile

Redazione
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Nelle puntate precedenti abbiamo ripercorso la storia di Monte San Cosimo, da quando alla fine degli anni Trenta venne costruito il polverificio Montecatini-Nobel, fino ai giorni nostri. Abbiamo visto come il sito militare, uno dei più grandi del centro-sud Italia, sia oggi nel mirino di una lobby che vorrebbe utilizzarlo per costruirvi un impianto per lo smaltimento delle scorie radioattive. Una fitta coltre di mistero, complice un ferreo segreto militare, ha sempre impedito di conoscere quale sia la vera funzione dell’area e quali materiali siano realmente nascosti nelle viscere del monte. Del resto nessuna ispezione al suo interno è stata mai compiuta dai rappresentanti delle Istituzioni elettive. L’unica eccezione è quella del senatore socialista Michele Celidonio che nel 1968 visitò la base militare fornendone una dettagliata descrizione. Egli riferì di aver notato «grossi ordigni» che sarebbero stati attinenti alla «produzione di materiale da guerra nucleare». Che San Cosimo fosse ben di più di un semplice deposito lo si è potuto intuire ogni qualvolta il salire della tensione internazionale ha fatto scattare intorno all’area speciali dispositivi di sicurezza secondo il codice NATO. Come quando, nella primavera del 1986, nel pieno della crisi Italia-Libia, Gheddafi minacciò di colpire quella che venne indicata come la base «sotto i monti della strada di Pescara». La conformazione del deposito militare, con gallerie scavate all’interno della montagna, lo rendono particolarmente idoneo per l’occultamento di materiali pericolosi. È per questo che nel 1990 l’ENEA-Disp lo individuò come uno dei quattro siti italiani aventi idoneità per lo stoccaggio di scorie nucleari. Il Governo dell’epoca e quelli successivi hanno sempre smentito che nel deposito fossero stati allocati anche rifiuti radioattivi. Ma nel 2003, dopo la decisa opposizione di Scanzano Jonico, le autorità governative annunciarono che le scorie sarebbero state portate in aree militari. Quali siano queste aree non è stato mai rivelato.

Monte San Cosimo ha sempre costituito un oggettivo pericolo per la sicurezza e la salute dei cittadini, non solo per il rischio in caso di conflitti (rischio fortunatamente relativo nell’epoca attuale), ma anche per possibili attentati e per eventuali incidenti. Cosa succederebbe nella Valle Peligna se San Cosimo saltasse in aria? Non è un’ipotesi fantasiosa perché esplosioni di depositi di armi si sono verificate non solo in passato ma anche recentemente. Basti ricordare che il 15 marzo 2008 l’esplosione di un deposito di armi e munizioni a Gerdec, in Albania, causò 26 morti e più di 300 feriti; inoltre una vasta area tutt’intorno fu devastata e 2306 edifici furono distrutti o danneggiati. Alcuni mesi dopo, il 3 luglio 2008, un altro deposito di munizioni esplose a Chelopechene, in Bulgaria, provocando danni alle abitazioni in un raggio di 6 km e l’evacuazione di 1700 persone.

È del tutto naturale, perciò, che i cittadini del comprensorio peligno abbiano sempre considerato la ‘polveriera’ come un corpo estraneo; ed è significativo che tutte le iniziative per la riconversione dell’area siano sempre state promosse da comitati o forze sociali. I partiti sono stati sempre a guardare, per poi accodarsi e fare proprie le richieste di smilitarizzazione quando la protesta popolare si faceva più forte. Per le comunità locali, tornare a disporre di un’area di oltre 133 ettari, già infrastrutturata e dotata di servizi, è un obiettivo di non poco conto. La lotta per la smilitarizzazione va avanti ormai da oltre 60 anni, sia pure con fasi alterne e lunghi periodi di stasi. Nel primo dopoguerra fu il sindacato ad imbracciare la bandiera della riconversione. Il 1° luglio 1948 la Camera del Lavoro circondariale di Sulmona proclamò uno sciopero generale in tutti Comuni della Valle Peligna per chiedere che l’ex dinamitificio fosse riconvertito in industria di pace, stante la forte disoccupazione esistente nella zona. Ma la mobilitazione, che proseguì anche con incontri a Roma con i Ministri dell’epoca, non produsse risultati a causa della totale chiusura da parte del Governo. Nel 1967 l’iniziativa venne ripresa dal Gruppo di Azione Pacifista di Sulmona. Il 12 novembre si svolse la «prima marcia della pace e del lavoro», da Sulmona all’ex dinamitificio Montecatini-Nobel, con l’obiettivo di trasformare l’area in sito produttivo. Alla marcia presero parte anche pacifisti provenienti da altre Regioni e tra essi Marco Pannella e molti militanti radicali. Nel 1970 a sposare la causa della riconversione fu il senatore Michele Celidonio. Con una interrogazione datata 4 febbraio egli si rivolgeva al Presidente del Consiglio e a diversi Ministri per mettere in evidenza che la presenza del deposito di munizioni «in una zona particolarmente depressa può costituire davvero grave pericolo per paventate e possibili agitazioni di migliaia e migliaia di disoccupati». Pertanto, al fine di «spezzare la spirale di una sempre più sconvolgente depressione economica» il parlamentare socialista chiedeva che il complesso dell’ex Montecatini-Nobel venisse prescelto dal Governo per un programma di industrializzazione ad opera dell’IRI. In seguito Celidonio continuò ad insistere ma dal Governo non vennero mai risposte positive.

Il 5 marzo 1982 si svolse la seconda marcia della pace da Sulmona a Monte San Cosimo «per lo smantellamento del deposito militare e la sua utilizzazione per fini civili e di pace». La manifestazione venne promossa dalla Consulta per la pace, il disarmo e la protezione civile, dalla Lega degli obiettori di coscienza e dalla Lega dei giovani di Pratola Peligna ed ebbe l’adesione delle confederazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil della provincia dell’Aquila.

Gli anni ‘80 videro una forte ripresa delle iniziative per la smilitarizzazione, soprattutto ad opera del ‘Comitato contro le servitù militari’, costituitosi agli inizi del 1986 in seguito alla decisione del Ministero della Difesa di portare da 100 a 200 metri la fascia di vincolo intorno al deposito. Il che allarmò particolarmente i cittadini, dato che a Comiso, in Sicilia, dove erano stati installati i missili nucleari Cruise, la servitù era di appena 30 metri. A Pratola Peligna si tennero assemblee pubbliche molto partecipate e i Consigli comunali di Pratola e Sulmona approvarono, all’unanimità, risoluzioni a favore della riconversione dell’area per finalità civili. La questione approdò anche in Regione e in Parlamento. Rispondendo al deputato radicale Francesco Rutelli il ministro della Difesa Giovanni Spadolini affermò che l’ampliamento delle servitù si era reso necessario per «le accresciute capacità del deposito». In effetti in quel periodo vennero effettuati dei lavori all’interno della base, con la costruzione di nuove riservette e probabilmente anche di nuovi bunker. Ma a cosa servissero queste nuove opere il Governo non lo ha mai chiarito.

La mobilitazione popolare riprese nella primavera del 1990, all’annuncio che Monte San Cosimo era nell’elenco dei 4 siti nazionali idonei ad ospitare scorie radioattive. Una manifestazione si tenne davanti ai cancelli del deposito militare e le amministrazioni locali protestarono, con specifici ordini del giorno, contro tale ipotesi tornando a chiedere la smilitarizzazione. Poi tutto rifluì. A tener viva l’attenzione su San Cosimo, nei primi anni 2000, fu la Casa per la pace di Sulmona, in occasione della guerra in Iraq e della vicenda di Scanzano Jonico. Ma è alla fine del 2006 che la lotta per la riconversione riprende vigore. A Pratola si costituisce il Comitato ‘Cittadini della Valle Futura’ che in breve tempo raccoglie 5000 adesioni di altrettanti cittadini della Valle Peligna, attraverso cartoline indirizzate al Ministero della Difesa. L’azione del Comitato si rivolge soprattutto alle amministrazioni locali. Apposite assemblee si svolgono in diversi Comuni della Valle. Grazie anche alla convinta adesione della Comunità Montana e del suo presidente Antonio Carrara, sedici Comuni del comprensorio approvano un documento con cui si chiede che il deposito militare venga riconvertito in area attrezzata per la protezione civile, al servizio di un ampio territorio. La proposta viene accolta dalla Provincia dell’Aquila con un voto unanime del Consiglio nell’ottobre 2008. Il devastante terremoto dell’Aquila, del 6 aprile 2009, impone uno stop al progetto ma proprio questo tragico evento dimostra come un territorio così fragile ed esposto al rischio sismico, necessiti di una struttura e di una organizzazione che siano in grado di far fronte a simili calamità. E Monte San Cosimo, per le sue dimensioni, la sua centralità e soprattutto i suoi requisiti logistici (autostrada, ferrovia, bunker, strade e servizi di ogni genere) è un sito ideale per predisporre un’efficace ‘macchina’ al servizio della protezione civile. Sono proprio tali caratteristiche ad aver convinto il Consiglio Regionale d’Abruzzo a recepire, nella seduta del 29 giugno 2011, la richiesta dei sedici Comuni, della Comunità Montana e della Provincia e ad approvare all’unanimità una risoluzione con cui si impegna il Presidente della Regione ad adottare le iniziative necessarie nei confronti del Governo nazionale affinché il deposito venga dismesso e quindi riconvertito in polo logistico della protezione civile. Ma da allora non è successo nulla. Il solenne impegno del Consiglio Regionale è rimasto lettera morta. Nessuna iniziativa è stata presa dal governatore Chiodi nei confronti del Ministero della Difesa.

Trasformare un luogo che custodisce la morte in una struttura al servizio della vita; mutare in risorsa, anche economica, ciò che oggi è solo un peso per il nostro territorio: ecco un importante e qualificante progetto per la Valle Peligna. Le volontà istituzionali si sono espresse. I cittadini hanno fatto la loro parte per giungere a questo risultato. Tocca ora alle amministrazioni locali e alle forze politiche dimostrare serietà e coerenza. Tocca a loro incalzare la Regione affinché si passi dalle parole ai fatti e la riconversione di Monte San Cosimo diventi realtà.

Mario Pizzola

Precedenti articoli:

– Sulmona, monte San Cosimo\3. Piezonucleare: James Bond nei cunicoli?

Sulmona, monte San Cosimo\2: gli affari nucleari di Cardone

Monte San Cosimo: da base militare top-secret ad affari nucleari \ 1

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