Sicurezza sismica / 9 – Sarà sempre colpa degli altri?

Franco Massimo Botticchio
Franco Massimo Botticchio
11 Minuti di lettura
Microzonazione sismica di Pescina - Stralcio

Nel suo post di stamane “Matteo, il ponte, le scuole“, Lilli Mandara ha gioco facile sul suo blog nel riprendere quel che Matteo Renzi – non ancora presidente del Consiglio né assurto alla onusta carica di segretario del suo partito – ebbe modo di dire a Sulmona, nel 2012, a proposito di quel ponte sullo Stretto di Messina oggi prepotentemente tornato alla ribalta delle cronache, riprendendo una di lui considerazione

[…] quegli otto miliardi li mettessero sulle scuole, sull’edilizia scolastica non degna di un Paese civile, sulle cose concrete e non sui progetti faraonici che non servono a nulla […]

che, se da un lato sottolinea un (quantomeno) mutato pensiero sul tema del ponte nel frattempo intervenuto nella mente del presidente del Consiglio (la qual circostanza è di per se stessa una contraddizione e, quindi, una notizia), dall’altro permette alla giornalista di brevemente affrontare il tema della questione dell’edilizia scolastica, e cioè di cosa sia accaduto nel frattempo sul versante dell’altro corno della problematica che allora Renzi sollevò, contrapponendola, nella sua urgenza e drammaticità, alla realizzazione della mastodontica opera di collegamento stradale tra Sicilia e Calabria.

Sul tema delle scuole, Renzi pare non essersi distaccato troppo da quel che sosteneva all’epoca: ancora stamani, in limine al dibattito parlamentare sul terremoto del 24 agosto è tornato a dire:

(LZ) TERREMOTO. APPELLO RENZI AI SINDACI: TORNATE A PROGETTARE

(DIRE) Roma, 29 set. – Rispetto al piano ‘Casa Italia’ “è questione di settimane partire, è questione di decenni affrontarlo”, e questo significa “dire ai sindaci tornate a progettare”. Matteo Renzi, presidente del Consiglio, lo dice lasciando il Senato dove ha ascoltato l’intervento dell’architetto e senatore a vita Renzo Piano sul progetto ‘Casa Italia’, un discorso “molto bello”, sottolinea Renzi.

La frase di Piano “io ho un progetto”, dice Renzi, “deve dare un messaggio agli amministratori: ragazzi tornate a progettare, progettare scuole e progettare bene”.

Insomma, ribadisce il presidente del Consiglio, “il mio è un appello ai sindaci a progettare, perché se loro progettano non ci sono i lavori, e purtroppo negli ultimi 5 anni molti sindaci hanno diminuito la progettazione”(Ran/Dire)

e, ad onor del vero, tutte le sue ultime esternazioni sull’auspicato sforamento del patto di stabilità marciano in questa direzione. Certo, potrebbe trattarsi di tattica, di mera politica politicante. Quel che ci preme maggiormente sottolineare è però quanto argomenta Lilli Mandara sulla vicenda:

[…] Oggi è civile l’edilizia scolastica? Oggi, a poco più di un mese dal terremoto di Amatrice, è migliorata l’edilizia scolastica? Oggi non è mille volte più vergognoso quello che viene detto, e anche non detto? Che fine hanno fatto le scuole e l’adeguamento alle norme antisismiche? E i presidenti di Regione, compreso quello dell’Abruzzo, che invitano tutti a presentare la mappa degli edifici pubblici con rispettive verifiche, che fanno? Una farsa, una ammuina, così tanto per far vedere? […]

passaggio per il quale, fatta la debita tara alla legittima avversione della giornalista per l’attuale presidente della Regione Abruzzo e per la sua giunta, ci par di comprendere che sia la situazione complessiva delle scuole a destarle un sentimento di indignazione. Sentimento che – ove avessimo letto giusto – non può che vederci d’accordo…

Maperò, per rimanere in tema con il blog della Mandara: sarà intellettualmente onesto interrogarsi, su un tema così vasto e sul quale l’Italia ha accumulato, nei decenni, un ritardo abissale, avendo a proprio parametro un lasso temporale relativamente breve come quello che ha visto risplendere l’astro dell’attuale presidente del Consiglio? E, soprattutto, la colpa della situazione odierna delle scuole è tutta di quel moloch che indichiamo con il nome di Stato? E della politica? O non anche di tutta la collettività nazionale?

Il caso abruzzese post-terremoto è, sotto tale profilo, a nostro modesto avviso, illuminante. Gli Abruzzi, in specie la parte montana e a maggior rischio sismico, si sono risvegliati, dopo il 6 aprile 2009, con una gravosa eredità di strutture costruite in un’era geologica trascorsa, tra infinite difficoltà, in altro contesto normativo e di spirito pubblico: un vero e proprio disastro, per la cui liquidazione occorrevano (ed occorrono) danari, programmazione, lungimiranza. Su tale scenario, le Autorità statali, pur con tutti i limiti, hanno fatto il loro, mettendo mano al portafogli e varando quel programma di «Scuole in sicurezza» che, ad oggi, ha visto già impiegati circa centocinquanta milioni di euro in interventi di adeguamento e sostituzione delle strutture in uso. Probabilmente questo Programma è troppo poco per fuoruscire dalla palude, e consentiva – il maggior baco di tutto il disegno – interventi parcellizzati, disgiunti e persino alieni da qualsiasi ottica di razionalizzazione e di buon senso (si sono riattate per centinaia di migliaia di euro scuole che contano venti o trenta studenti). Contemporaneamente l’ente Regione ha “regalato”, ai municipi, gli studi del primo stadio di microzonazione sismica (con il quale incrociare le informazioni dei piani regolatori), e dato un giro di vite sui piani di protezione civile (notoriamente molto trascurati, e non aggiornati). Ancora troppo poco forse, si dirà, e probabilmente è così… ma quanti hanno messo in rete tutte questi dati, calandoli negli strumenti programmatori come nella vita di tutti i giorni?

Ma cosa hanno prodotto le élite locali, i corpi intermedi, l’opinione pubblica? Se escludiamo una fisiologica reazione di una parte dei genitori al sisma del 24 agosto – reazione peraltro in via di totale esaurimento – scarsissima è stata la interlocuzione di questi con i propri eletti e rappresentanti, e quasi mai finalizzata a sceverare gli aspetti fondanti della questione, al punto che praticamente nessuno ha battuto ciglio neppure dinanzi alla candida confessione – ascoltatasi in più di un caso – che nessuna indagine di vulnerabilità sismica era stata effettuata per le strutture che ospitavano (come ospitano) i loro figli! Se a questo aggiungiamo la mediocre tendenza alla rassicurazione innescatasi e vi misceliamo quel residuo di municipalismo spurio che spinge molti a considerare la permanenza delle elementari in piazza l’ultimo baluardo prima della resa mortale del proprio paese… beh, direi che ci siamo! Il panorama risulta desolante (con delle gradazioni che corrono dai centri maggiormente popolati – che hanno dato una prova migliore – a quelli più piccoli, nei quali, come detto sopra, considerazioni ulteriori sulla sopravvivenza dei centri hanno giocato un ruolo nefando).

Quel che soprattutto spaventa ed incupisce è la circostanza che a pochi prema la prospettiva futura nella quale incastonare la visione delle strutture scolastiche: non paiono programmabili ad horas i tempi di intervento richiesti dalla norma per adeguare le scuole, e su alcune di queste, risultate fruibili loro malgrado (e nonostante il buon senso), neppure si prevede di effettuare degli interventi migliorativi. Interventi che, peraltro, risultando formalmente in capo alle scuole di cui trattasi degli standard tecnici irrealisticamente soddisfacenti, non potrebbero neppure farsi. E che se pure pensati e fattibili, andrebbero ad insistere su aule vecchie, su costruzioni che versano in un grave stato di oggettiva obsolescenza e nelle quali, lo scrivemmo in un giornale di parecchio tempo fa, è quasi osceno pensare di proiettare, condannandole a priori, le carriere scolastiche delle future generazioni.

Ecco, quella che è scomparsa dai radar è la didattica, insieme alla capacità di sobriamente interrogarsi su quale formazione si possa mai ragionevolmente “produrre” in certe strutture, del tutto inadatte ad affrontare le sfide della preparazione che il futuro esige. Quali studenti usciranno mai, coltivati in queste strutture dotate di palestre infami, spazi comuni angusti, ecc.? Cosa potremo ritrarre mai, da un simile stato di cose, se non la copia di quella generazione di genitori, gli attuali, i quali, chiudendosi la scuola per problemi di staticità, non trovano altra cosa da fare se non contestare i doppi turni o dolersi del fatto che il loro pargolo non possa andare a scuola calcio?

La Politica, soprattutto quella locale, pare non poter star dietro a questi dibattiti, perseguire certe esigenze ed obiettivi, impelagata com’è in becere questioni e prigioniera di schemi antidiluviani, dei quali paiono imbevuti soprattutto i soggetti più piccoli, più deboli, con minor forza contrattuale. Al punto che non appare così corretto attribuire le colpe del nostro stato allo Stato, al Renzi di turno, senza prima aver fatto un bell’esame di coscienza. Né a Lucianone, o a Chiodi.

Il problema, ci permettiamo di dire, è più profondo: il problema siamo noi.

ilmartellodelfucino@gmail.com

 

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