RIFIUTI – Il senso degli Abruzzi per l’immondizia

Redazione
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Lo scorso anno ci sbracciammo molto quando i vertici delle Regioni Lazio e Abruzzo stipularono un – per più versi – inafferrabile [nei motivi sottesi a tale accordo / non nella causa giuridica] protocollo per far smaltire, per un mese, una porzione infinitesima dei rifiuti di Roma negli Abruzzi. Ragione di tanto inutile “fomento” era il timore  che quel patto non fosse altro che il prototipo di quell’idea di sviluppo che più d’un potere incuba da tempo, dalle nostre parti ed anche nella Capitale, ovvero, di adibire gli Appennini a distretto energetico-minerario (disegno, in effetti, già piuttosto avviato). Fatto è che tale montagna di protocollo produsse il topolino di ben undici (dicesi: u-n-d-i-c-i) giorni di conferimento presso l’impianto Deco Sp.A. di Casoni (Chieti).

il Martello del Fucino 2013-7

site.it: La drôle de guerre dei rifiuti abruzzesi

Ma che il discorso, in presenza di un’eterna emergenza romana (e di un atteggiamento verso la gestione dei rifiuti da parte degli abitanti della Capitale che rasenta l’inqualificabile / e che non merita dunque alcuna comprensione o aiuto), si dovesse riproporre, era quasi scontato.

Ora, pare di comprendere, la destinazione di alcune centinaia di tonnellate di rifiuti romani ogni settimana – per diversi mesi (sino ad un anno) – dovrebbe essere l’impianto di trattamento meccanico-biologico di Aielli di proprietà di Aciam S.p.A.. Più vicino a Roma di Chieti, e pazienza se in quel di Chieti si poteva anche smaltire quel che nella Marsica dovrà essere di nuovo caricato su dei camion e portato presso una discarica (grazie a Dio) molto lontana da noi. Sebbene la quantità, rispetto al patto dello scorso anno, ed il lasso temporale, siano lievitati, siamo in presenza di una mole complessiva di “roba” che non muterà i destini del mondo né allevierà le difficoltà del Lazio. Neppure tutto questo business, per una società – Aciam S.p.A.: enti locali in maggioranza e privati – che l’ultimo bilancio pure ci ha mostrato, letteralmente, a chi vuol comprendere, con l’acqua alla gola. Forse persino in apnea, se si arriva ad individuare in Roma la salvezza, invece che nell’attuazione delle best practices sull’ambiente e nel dispiegamento di un’oculata gestione (cosa invero quasi impossibile, in ragione di alcuni soci pubblici).

Quel che ci preme sottolineare non è tanto la distorsione delle norme nazionali e delle regole regionali che un simile patto implica, aprendo la porta a tutta una serie di ulteriori deroghe (alla faccia dei principi che venivano sostenuti per patrocinare la realizzazione della discarica di Valle dei fiori, ovvero dell’autosufficienza impiantistica che avremmo dovuto raggiungere [anche a costo di mettere a rischio una falda]: ora non solo l’autosufficienza non c’è – e non c’è perché chi ha localizzato quel progetto di discarica lo fece moooolto male – ma ci prendiamo anche altro rifiuto da trattare). L’aspetto più importante di tutto questo movimento risiede in una qualcosa di più alto, quasi di etereo, e attiene alla rappresentazione che diamo di noi, e soprattutto a quella che aspiriamo a dare, di quel che siamo, vorremmo essere, vorremo diventare. Mai – e non sarebbe lecito attenderselo – un aiuto a questa costruzione mentale potrà venire dalla burocrazia regionale, burocrazia che simili pratiche le tratta alla stregua di tutte le altre, con l’ignavia di tutte le altre, magari su quel terrapieno ultraventennale di disastri ambientali e di norme al quale abbiamo purtroppo fatto l’abitudine, prestandovi un’acquiescenza che nelle più cretine beghe di paese mai ci sogneremmo di mostrare.

Assistere al mesto corteo di una dozzina di compattatori che ogni giorno (festivi compresi) percorrono l’A24-A25 dalla barriera di Roma est sino ad Aielli-Celano potrebbe essere cosa di poco conto, persino in termini di inquinamento (visivo e non; d’altronde ci sono già dei mezzi Aciam S.p.A. che fanno tale percorso). Dobbiamo però deciderci: dobbiamo una volta per tutte risolverci a dare soluzione ad un dilemma, a dare corpo ad una prospettiva. A elaborare criticamente una rappresentazione di noi stessi. Riflettere cioè – e poi tradurre in atto – se, come comunità regionale, sia il caso di scendere a compromessi, ed accettare quei compattatori, e magari a farne e considerarli un affare, un’occasione di sviluppo, di economia (un’ammuina di rifiuti tal quale che sgrossiamo dell’umido e che ricarichiamo per portarla altrove, in un diluvio di tagliandi autostradali), con tutto il corollario che un simile business implica (compostaggi, trattamenti, tritovagliature, ecc.). Scelta legittima, per quanto opinabile, a patto di sgomberare il campo da tutte quelle mene su turismo, accoglienza di ritorno, e compagnia bella. A nostro modesto avviso – per quanto i dati ultimi sul turismo e sulla produzione artigiana dicano tutt’altro – quelle corsie dell’A24-A25 dovremmo auspicare (e fare di tutto per) vederle piene di macchine cariche di persone, di vestiti, di voglia di stare negli Abruzzi, con sul cofano le biciclette, ed i canotti, gli scarponi e gli sci. Di figli, di nipoti alla riscoperta delle proprie origini, degli orti, dei sentieri, dell’odore di liquirizia e di timo (santoreggia). Non di immondizia. Quale interesse potrebbe ro avere i romani a mettersi in coda dietro al loro pattume?

Si dirà che siamo precipitati nella narrazione dell’ovvio, e che la realtà è ben più complessa, sfaccettata e così via. Noi pensiamo invece che farsi un’idea di ciò che si è come di cosa si vuol fare, come comunità, è affare propedeutico a qualsiasi altro affare, anche di quelli di modesta entità. In queste decisioni, solo in ultima istanza dovrebbero avere parola i burocrati (Gerardini) o gli amministratori delegati (Torelli), e a questa parola dovrebbe farsi l’opportuna tara.

Franco Massimo Botticchio

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