Pescina, incontro con Maurizio Di Nicola, ovvero un dialogo tra sordi

Redazione
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Dove vai? Porto pesci!

La scorsa settimana abbiamo assistito all’incontro voluto dal consigliere regionale Maurizio Di Nicola, con il quale costui ha inteso fare il punto con la cittadinanza, un bilancio dei primi venti mesi di mandato. L’iniziativa si è tenuta a Pescina, e la circostanza sembrerebbe aver indotto gran parte degli amministratori del circondario – prodighi e inclini a cenare insieme in qualsiasi occasione, e adunarsi per ogni cosa che non lo richieda o addirittura lo sconsigli – a disertare: cosa lecita, certo, ma che ci spinge a chiederci quale altro referente (nell’accezione positiva del termine) possano vantare cotanti reggitori della cosa pubblica locale nelle loro agende (ed anche in questa ipotesi, cosa li esoneri dal conoscere l’opinione degli altri della quale, essendo investiti di responsabilità e doveri istituzionali, dovrebbero essere eruditi in ogni minimo particolare).

A preoccuparci, tuttavia, più che le assenze (doverose, ove si ritenga di rappresentare altro: un’alternativa, una ripulsa, un rifiuto: e speriamo si estrinsechi, tale sentimento, fuori e dentro Pescina, in iniziative e atti, intelligibili e pubblici, in grado di portare un contributo di conoscenza un poco più costruttivo delle elucubrazioni sulle indennità del consigliere regionale Di Nicola [elucubrazioni che non hanno molto senso in ragione del fatto che non sono state mai sviluppate per le circa cinquecento persone che hanno preceduto nella carica il Di Nicola, dal 1970 ad oggi) sono state le presenze ovvero l’attitudine l’attenzione la corporeità con le quali l’uditorio ha interagito alla proiezione di una sintesi per punti, e alla fluviale prospettazione dei capitoli da parte del Di Nicola.

Forse eravamo maldisposti, o può darsi non si sia compreso bene: tuttavia ci è parso che tra la platea – composta in massima parte di amici / cosicché non è nemmeno da sospettarsi ce la si voglia prendere sempre con gli stessi, o si nutrano cattive intenzioni o malanimo nello scrivere – ed il relatore intercorresse una distanza siderale, un insondabile e costituzionale fossato destinato ad impedire un incontro vero tra tutti i soggetti fisici presenti nell’aula convegni del teatro, quando pure ci fossimo soffermati a discorrere in conclave per una settimana. Una fumata nera permanente.

Per una volta, ad impedire lo scoccare della scintilla dell’empatia ci pare di poter dire non sia stato il Di Nicola, che ci è sembrato meno secco nell’esposizione di altre volte, e su molte questioni ha evocato, com’era giusto facesse, la necessità di caricarsi collettivamente del gravoso dubbio di cosa fare, e in quali termini, sino a spingersi a chiedere aiuto e supporto da parte della popolazione con toni e modalità che hanno avuto poco di rituale (almeno a noi così è apparso: qualcuno dirà: Di Nicola è un grande attore, è un’opportunista, ecc.). Quale reazione ha avuto, l’uditorio, a tale vibrante complessiva richiesta di interlocuzione e dialogo del Di Nicola?

Con la speranza di essere profondamente in errore, noi sospettiamo che delle gravi questioni agitate dal consigliere regionale la popolazione – assumendone impropriamente i presenti quale l’avanguardia e la rappresentazione della stessa – non si senta minimamente attinta, quasi che le gravose pratiche illustrate dal Di Nicola non la riguardino, e che un misterioso potere magico consentirà a tutti di proseguire in quel che si è sempre fatto, da soli e nelle conventicole colesteroliche che frequentiamo, con le modalità analogiche dei nostri nonni, e con la stessa concezione del mondo dei nostri avi (ma non purtroppo con la stessa energia), facendo semplicemente finta di niente.

Poca breccia ha fatto, ci pare, la descrizione del sullodato Di Nicola dei meccanismi decisionali della politica regionale, e l’insistere sulla esigenza che un interlocutore emanazione della nostra zona dovrebbe sempre esserci, e che tra starci e non starci intercorre una bella differenza: il discorso sul punto è passato come un mero tentativo di autoincensarsi, se non l’annunzio di una nuova candidatura che verrà.

Fatto salvo l’argomento dell’autostrada e del casello pescinese – del quale si tratta in altro pezzo di questo numero -, sono scorse senza troppi empiti le trattazioni sulla vicenda delle «aree interne» (unico strumento attraverso il quale poter recuperare risorse e prima ancora una progettualità di area; e non a caso boicottato da alcuni sindaci per mere beghe di partito e rivalse personali, in particolare da coloro, centri viciniori, che per primi dovrebbero avvalersene); sul punto di prima assistenza «rinforzato» (confessiamo di aver sudato nell’ascoltare la trattazione sul Rinaldi, e non solo per la giacca ed il caldo in sala) e le terribili partite che si aprono per i territori disagiati con gli ulteriori tagli voluti dal governo centrale; sul progetto di captazione della poca acqua del Giovenco per l’irrigazione fucense (il famigerato Amplero) sponsorizzato da un paio di ex sindaci mesozoici (tale Salucci di Collelongo, già entusiasta di Valle dei fiori, ed ora consigliere dei disastrosi fratelli Di Pangrazio) e ammennicoli vari [inciso: sono decenni che sentiamo dire, amichevolmente, che Gigino Scarsella, sindaco dal 1964 al 1970, avrebbe alienato parte dell’acqua del Giovenco per darla a L’Aquila: una vera e propria leggenda paesana, che cela il fatto che in epoca ancora precedente La Ferriera, consorzio aquilano al quale appartenevamo, procedette a fornire di acqua la Valle dell’Aterno, che ne era sprovvista, cosa sacrosanta, dal Giovenco: dopo però la realizzazione dell’acquedotto del Gran Sasso tale derivazione, da molti lustri, non ha più alcuna ragion d’essere, eppure quel tubo della Ferriera – da sopra le nostre teste  – ha continuato a gettare acqua dall’altra parte, anche quando di qua eravamo a secco: si presenta il Di Nicola con una petizione per lanciare questa battaglia, e viene guardato con perplessità, quasi che attenti alla veridicità e alla futura spendibilità di un “furto” che è sempre emozionante evocare…. e che d’altro canto fa molto Fontamara…].

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Il climax dell’incontro si è però raggiunto quando si è passati a discorrere di fusioni tra comuni, e del progetto di legge regionale dal Di Nicola presentato che vorrebbe agevolare la concentrazione dei piccoli municipi che così come sono ridotti hanno ancora poco da dire. Gelo. Quasi che il preconizzare un’unione con San Benedetto dei Marsi (che negli ultimi due millenni ci ha visti insieme per millenovecentotrecenta anni e separati per settanta) e con Ortona e Bisegna e Collarmele costituisca la narrazione di un ammaraggio di marziani al Telespazio o una proposta di legalizzazione della pedofilia. Torniamo a casa sconsolati ed apriamo le agenzie di stampa:

Roma, 29 feb. (askanews) – La Giunta regionale dell’Emilia Romagna ha approvato oggi altri due nuovi progetti di legge per la nascita di altrettanti Comuni unici al posto dei cinque attuali in provincia di Reggio Emilia e di Piacenza. Si tratta della fusione di Campegine, Gattatico e Sant’Ilario d’Enza nel reggiano e di Ponte dell’Olio e Vigolzone nel piacentino. “Con queste due decisioni della Giunta completiamo l’approvazione, come promesso, entro la fine di febbraio, di tutti i 7 progetti di legge per l’istituzione dei nuovi Comuni presentati alla Regione dai sindaci e dai consigli comunali”, sottolinea l’assessore regionale a Bilancio e Riordino istituzionale Emma Petitti. “Il percorso però non è affatto concluso perché già in altri 50 Comuni dell’Emilia-Romagna sono stati avviati dibattiti per dare corso a nuovi processi di fusioni. Sono progetti che la Regione continuerà a sostenere, anche attraverso l’attività dell’Osservatorio regionale sulle fusioni, perché siamo convinti che questa sia la strada giusta per garantire Enti meglio funzionanti, in grado di risparmiare e di offrire più risorse e servizi per i cittadini e le imprese” […].

Negli Abruzzi sinora non se n’è vista una di fusione, e solo si è in fase relativamente avanzata per la Grande Pescara (a giudicare dall’andazzo però non sarà per adesso). In Emilia si sta discutendo in cinquanta (c-i-n-q-u-a-n-t-a) comuni, da noi zero assoluto. E sorge spontanea l’amara analisi delle possibili ipotesi: 1. In Emilia-Romagna (o in Toscana) sono meno intelligenti di noi; 2. Noi siamo più fregni, abbiamo più storia, le nostre individualità e radici collettive sono più forti di quelle del Nord; 3. Siamo così stupidi da essere destinati all’estinzione.

Noi abbiamo scelto. Escluderemmo in ogni caso la prima e la seconda ipotesi.

Il Martello del Fucino, numero 2016-3

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