Patologie fontamaresi di ritorno – Sintomatologia del finto-burino

Franco Massimo Botticchio
Franco Massimo Botticchio
14 Minuti di lettura

Ci sono degli studi incontrovertibili che hanno raggiunto la conclusione che «i tratti della personalità possono essere un precursore del comportamento politico» di un individuo. Un’ovvietà per certi versi, se si riflette che ogni uomo (donna) è animale sociale, e che in piazza al lavoro dal fornaio non si porta un ologramma ma la propria personalità; ma un conto è dire che il giorno segue la notte, altra cosa è dimostrare che quell’alternarsi tra luce e buio proviene dal nostro movimento intorno al sole (incidentalmente: su quest’ultima cosa, l’eppur si muove: il finto-burino glisserà, non essendo la prova tattile in suo possesso o perché non asseverata dal proprio compare di fede). Alla fin fine, la sostanza grezza quella è; ma – senza avventurarci in elucubrazioni sociologiche e nella psicometria – il rapporto tra carattere dell’individuo e azione politica (intesa come in riferimento alle cose della polis, della città) è il nodo e lo snodo della sindrome della quale oggi trattiamo.

Vano, difficilissimo e inane sarebbe lo sforzo di esaminare e definire, qui, su questo misero giornale, la figura-idealtipo del “burino”, senza la quale però sarebbe arduo delineare quella che qui ci interessa, quella del finto-burino. Dunque, in linea di massima, e soltanto ai limitati fini della presente modesta trattazione assumeremo quale burino storico l’essere umano originario dell’agro romano o dei territori limitrofi a Roma (in particolare: Ciociaria e i Tre Abruzzi; ma anche Molise e Tuscia; meno l’osco-umbro e le Marche) che aveva il compito di assicurare la sopravvivenza alimentare alla popolazione cittadina della Capitale affluendo, ai gabbiotti del dazio romano, con le vivande (ortaggi e animali da aia) prodotte nei territori di provenienza. Per estensione, la definizione di burino è rimasta a connotare tutti coloro che, nel tempo (diciamo, approssimativamente, l’ultimo secolo), si sono trasferiti, da quei luoghi, nell’Urbe, in grande parte dediti all’edilizia, e che hanno perseverato, almeno per un paio di generazioni, a trafficare con prodotti agricoli vari e svariati con il rispettivo borgo di origine, oltre che con gli orti fatti la domenica in periferia, nei fossi di quelle borgate che hanno massimamente contribuito a colmare di blocchetti di tufo (tanti) e di cemento (poco), sino all’ultimo condono edilizio.

La figura del burino come storicamente delineatasi è stata oggetto di sconfinata trattazione da parte del cinema nostrano, ed in particolare di quella commedia all’italiana che su tale carattere di costume ha costruito la propria fortuna. Un’autobiografia della nazione burina e della sua evoluzione di oltre mezzo secolo, capace di descrivere l’Italia e i suoi mutamenti come nessun’altra cosa, e che ci permetteremo di compendiare con il richiamo ad una scena relativamente recente, quella presente nella pellicola “Il Divo” di Paolo Sorrentino, nei fotogrammi ove dal suo fedelissimo bacino elettorale (ciociaro) Andreotti si trova a ricevere, in regalo, nelle stanze del potere romano, dei pennuti vivi in gabbia. Impossibile dimenticarla.

Il finto-burino è colui che pur di non dare soddisfazione al proprio contraddittore occasionale preferisce assumere i toni e la condotta del burino classico – per come falsamente tramandatici dall’iconografia cittadina dominante: greve cioè di modi e poco brillante per comprendonio ed elaborazione – atteggiandosi a persona che, sul tema prospettatogli o oggetto di discussione, non sa, cade dal pero. Tale condotta di difesa si traduce in un ostentato e protratto stato afasico, e in una simulazione di condiscendenza mimica di massima alle parole pronunziate da chi in quel momento si trova di fronte, unite ad una plateale esibizione-ammissione, attraverso un particolarissimo linguaggio remissivo e ingravescente del corpo, di impossibilità di poterci compiutamente ragionare, sull’argomento oggetto dello scambio ineguale di idee, compiutamente e con cognizione di causa.

Beninteso, la resa che il finto-burino parrebbe offrire a colui con il quale discute è frutto di riserva mentale. Il finto-burino in quanto tale è lungi dall’assomigliare ai mitici assegnatari degli alloggi di edilizia residenziale pubblica che un tempo utilizzavano la vasca da bagno per coltivarvi patate. Il finto-burino, nel mentre allunga il viso e strabuzza gli occhi all’udire che per accertare l’effettiva proprietà di un terreno non basta recarsi al catasto ma occorre verificare cosa ci sia alla conservatoria, è capacissimo di utilizzare, a mente, degli integrali di calcolo per determinare l’esatta estensione di quel terreno del lontano pro-zio del qual si sta discutendo (e, in sottordine, litigando). Terreno del quale egli d’altronde conosce tutto (anche perché il cognato lavora alla conservatoria).

In altre parole, la sorpresa e la ritirata argomentativa del finto-burino non sono il frutto, come pure egli vorrebbe far credere al vero-ingenuo che si trova innanzi, di dissonanza cognitiva (ovvero: le mie convinzioni di burino non reggono all’esame dell’effettuale, sottoposte a serrata radicale critica da parte di chi più ne sa e che mi riporta bruscamente alla realtà: e non so cosa dire). In realtà il finto-burino dà corda al suo contraddittore ma continua ad essere dell’opinione che ha sempre avuto, e che ha opportunamente dissimulato. Perché il finto-burino è di regola una persona preparata, e che in particolare nel proprio campo di attività – l’artigianato, le piccole professioni – è versatissimo. Tutto è meno che un cretino. Solo che ha una posizione, lui, e da quella posizione non prescinde. Non può.

Il finto-burino denota quelle che gente preparata definirebbe «tendenze sociali cognitive autocentrate», che non sfociano però, sia chiaro, in comportamenti apertamente immorali. Il finto-burino non è esattamente un egomane, anzi: più propriamente si può definire come una figura che guarda il mondo esterno attraverso il filtro occludente della propria postazione, stratificatasi nel tempo e sedimentatasi in un’epoca analogica, di empori e di pastrani rovesciati. I convincimenti morali profondi del finto-burino sono infatti radicati nell’Italia rurale degli anni Cinquanta, la sua visione dell’economia è nostalgica di ricette buone forse nei Settanta (spesa pubblica a pioggia dispensata dai preminenti intangibili, inflazione e periodiche svalutazioni della moneta) ma oggi tecnicamente impossibili da perseguire. Il finto-burino non conosce la globalizzazione se non per alcuni aspetti accidentali, e lo potremmo definire dedito piuttosto alla localizzazione, interessato com’è alle sole dinamiche del posto ove vive, a prescindere dalla circostanza che lo stesso luogo entropicamente deperisca giorno per giorno. L’importante è che non deperisca lui. Nel piccolo egli ha il suo ormeggio, ed anche l’emigrazione di figli e nipoti lo lascia indifferente in quanto a suo parere ineluttabile (e attribuibile a istanze le più svariate: Soros / Europa / banche / immigrazione clandestina e legale / ente Regione (quando non espressione del proprio voto) / consiglio comunale – parenti esclusi). Se siamo di meno, posso ben lasciare la mia macchina in mezzo al vicolo.

Il finto-burino non è contrario alle novità, non è misoneista. Al contrario, plaude a tutte le iniziative si intraprendano, in specie quelle di natura economico-produttiva, purché non suscettibili di alterare in alcun modo il suo personale rango ovvero la sua collocazione nella struttura tribale della società fontamarese. Ma anche questa sua vena liberista trova talvolta un argine, che può essere rappresentato dagli accidenti più svariati (un cementificio a cinquecento metri da casa può andare bene a patto però che i camion non transitino dinanzi casa / i rifiuti speciali qualcuno deve pur trattarli, e qualcuno ospitarli, e potrebbero andare bene anche da noi: a condizione che l’affare non implichi che chi si trova ad un rango inferiore ci sorpassi, magari affittando tutta una congerie di terreni improduttivi all’impresario venuto da fuori / ecc.), in presenza dei quali il finto-burino si trasformerà in un ambientalista arrabbiato e fustigatore dell’andazzo conservatore e ottuso del Territorio nonché della protervia di detto impresario. Per brevissimi periodi, questo è chiaro.

La forza del finto-burino costituisce anche la sua debolezza: essendo egli ontologicamente incapace di una vera elaborazione di obiettivi per/della collettività, in termini politici e amministrativi, si guarderà bene dal (tentare di) caricarsi la croce della rappresentanza, se non per periodi brevi, e scopi limitati, magari in municipio. Nei rari casi ove si manifesterà, detta assunzione di responsabilità, lungi dal connotarsi e potersi rubricare quale manifestazione di spirito di servizio (nessuna cosa provoca più orrore di questa espressione, nell’animo del Nostro tipo-protagonista) è in realtà per costui una noiosa trafila da espletare per poter poi, in futuro, ogni qualvolta si tratterà di temi pubblici:

a) ammiccare ai vari interlocutori ingenui facendo comprendere di essere bene a giorno della difficoltà che si incontra nell’amministrare (per averlo fatto);

b) far intendere, ai malevoli, che egli sa bene quali cose sporche si celino all’ombra dello svolgimento del ruolo di assessore (per averlo fatto).

Spesso, entrambe le cose contemporaneamente (a + b).

D’altronde il finto-burino conosce bene la potenzia di fuoco che la metà della popolazione finto-burina (si veda il numero precedente, sulla partizione a metà della popolazione fontamarese) è suscettibile di scatenare, in termini di chiacchiere, interagendo con la cosiddetta gente di piazza (categoria della quale ci occuperemo prossimamente). Beninteso, il finto-burino disprezza in cuor suo tale ultimo gruppo, che ritiene in massima parte composto da sfaccendati, ma rimane con esso in continuo contatto poiché da esso trae legittimazione sociale, riconoscimento e rassicurazione (rassicurazione sulla circostanza che non stia succedendo nulla di eversivo dell’ordine feudale). Senza confondersi con i capannelli fuori del bar, pure egli si conformerà al prodotto del bolo della piazza, senza farsi troppi problemi se quel che si rumina in pubblico sia digeribile e assimilabile nella prospettiva di un Futuro plausibile.

Al finto-burino piace essere maggioranza silenziosa, e tutta la sua capacità mimetica è calibrata per farlo transitare, di volta in volta, sotto l’egida del pensiero dominante. Non arriva a schierarsi con nessuno ma consente con chi riporta il mainstream, meglio se dozzinale o di scarsa qualità. L’unione dei finto-burini costituisce una sorta di soft power paesano, diffuso ed incorporeo, suscettibile di rendere del tutto vano ogni discorso pubblico, come accaduto, da noi, in occasione della tenuta delle recenti elezioni politiche. Durante le quali è risultato del tutto impossibile far constare la differenza che intercorre tra l’avere un punto di prima assistenza ad un minuto e un pronto soccorso a trenta e quindi argomentare sui mezzi necessari per conservare magari il primo insieme al secondo (chiaro: poiché il finto-burino è ben in grado di comprendere cosa sia la strategia, è da ritenersi che la propria natura lo abbia spinto ad assumere altri obiettivi quali prioritari, nel segreto dell’urna: d’altronde il Nostro non è in grado di concepire discorso che implichi il superamento dello sbarramento dei venti chilometri quadrati del proprio raggio d’azione pertinente). Ma non pensiamo di dover insistere oltre, su quel che è evidente e non bisognoso di interpretazione: il finto-burino segue la sua natura ed è sempre calato nel proprio ruolo.

Anche quando dovrà abbandonare la Sperone che ha grandemente contribuito a creare, il finto-burino sarà orgoglioso di essere tra gli ultimi a farlo, equivocando la recidività dei propri tossici comportamenti pubblici per una sorta di eroica opposizione alle preponderanti forze contrarie. Forze che, in massima parte, sia detto a chiusura del discorso, non lo vedono, e non lo considerano. Perché egli, come noto, oltre a costituire un fattore residuale e regressivo, non porta polli per il brodo.

(Ogni riferimento a persone e cose e puramente causale)


TRATTO DA: Il Martello del Fucino 2018-4 [ SCARICA IL PDF ]

Condividi questo articolo