Mitopoiesi del dipendente Cam S.p.A. quale prototipo dello sfaccendato

Franco Massimo Botticchio
Franco Massimo Botticchio
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Sperone Logaritmics

(10/100 – continua)
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Mitopoiesi del dipendente Cam S.p.A. quale prototipo dello sfaccendato

Chiunque abbia respirato, ai tempi della beata prima repubblica, per più di cinque minuti, l’aria non troppo salubre della Marsica, è sicuramente venuto a contatto con la facezia – di norma somministrata sotto forma di barzelletta o apologo esemplare da aperitivo – che dipingeva il dipendente-tipo dell’Ente Fucino quale individuo del tutto refrattario al lavoro, e dedito principalmente ad ingannare il tempo che lo separava dal fatidico giorno ventisette del mese; tutt’al più attendendo, egli, ad Avezzano, per il rispetto e il riconoscimento che mai deve venir meno per i compari, al disbrigo di qualche incombenza di natura politico-elettorale commissionatagli dal santo in paradiso che aveva provveduto all’immissione di cotanto dipendente nel carrozzone senza cure di palazzo Torlonia.

Di questo affresco, che nel tempo si è stratificato sino a ricoprire ogni traccia di quella grande progettualità che per almeno venti anni ha informato l’azione di quell’ente (e che ha lasciato, sul territorio, tracce non dubbie di opere pubbliche, le ultime concepite strategicamente e con impiego di risorse, ovvero con una visione, un’idea [che poteva anche essere non più sincrona ai tempi – si veda la polemica di Bruno Zevi sulle case coloniche costruite intorno all’alveo del Fucino, che il grande architetto pronosticava presto disabitate o comunque prive di funzioni, come in effetti sono tosto divenute] ma era pur sempre figlia di una elaborazione sensata), ci siamo beatamente innamorati, convincendoci che restituisse un’immagine veritiera dell’oggetto rappresentato. Pur senza indulgenza verso i macroscopici fenomeni di subornazione anche istituzionale causate dalla pressione degli interessi partitocratici particolari e familistici da alcuni portati innanzi, questa versione della realtà ha fatto sì che la demagogica abrogazione dell’Ente Fucino (poi Arsa, con una e due “esse”), pochi anni or sono, fosse accolta con gaudio dai più, e con indifferenza dagli altri, e senza che ci si rendesse conto che il colpo assestato ai neghittosi dipendenti era in realtà ben scarso se non nullo (essendo transitati costoro nella direzione regionale competente, peraltro dopo una lunghissima permanenza in una confusa situazione di interregno, sostanzialmente priva di mansioni) mentre si perdeva un’Agenzia con rilevanti compiti nel sistema dell’agricoltura regionale; dei quali compiti, ove bene svolti ed esercitati, il nostro Territorio avrebbe potuto trarre infiniti vantaggi (certo maggiori di quello di ricevere in comodato un palazzo storico nel quale pensare poi di allocare il comando dei vigili urbani: follia che la dice lunga sullo stato della nostra civiltà).

Oggi con il Cam S.p.A. potremmo correre lo stesso esiziale rischio.

Nel senso che è il dipendente del Consorzio acquedottistico, emigrati quelli dell’Arssa verso gli uffici regionali e dunque non più esposti alla nostra diretta osservazione di piazza, ad essere assurto – nell’immaginario collettivo e un poco straccione dei nostri anni – al ruolo di lavoratore di poca applicazione, raccomandato, immancabilmente dedito ai fatti propri. Un idealtipo che rischia di essere, in tale versione di immagine, di grave nocumento per i destini prossimi e futuri dei circa 130 dipendenti attualmente a libro paga del Cam S.p.A., e di un indotto di lavoratori pure di consistenza non modesta, in specie in questi atroci tempi di tribolo. Non è questa la sede per disputare della produttività di detto personale, né di inferire sulla preparazione o moralità dello stesso. La nostra modesta propedeutica idea è che se si dispone di una risorsa, di una forza, e si assume non sia utilizzata al meglio (o, addirittura, non sia idonea alla bisogna, in parte o totalmente), prima di abbracciare altri modelli per il semplice gusto frustrato di passeggiare sulle rovine di un potere iniquo sarebbe bene valutare e considerare se tale forza lavoro potrebbe invece, in un contesto sano e organizzato, agire con efficacia e, a quel punto, essere persino sottostimata rispetto ai compiti che il sistema idrico integrato del futuro, completo ed efficiente, richiederà di espletare. Per non buttare il bambino con l’acqua sporca, salvando quello che c’è da salvare (bambino che è già stato sottoposto ad una discreta cura dimagrante. Forse persino debilitante).

Ciò premesso in ordine alla cosiddetta (sacra) salvaguardia dei livelli occupazionali, è lecito tornare su argomenti già in parte accennati nelle scorse puntate onde meglio realizzare di cosa si stia parlando.

CAM fontanella

Come detto, la consapevolezza che tutte le attività connesse al sistema idrico, per quanto legate ad un bene comune eminentemente pubblico quale l’acqua, potessero sviscerarsi ed esercitarsi in forme e modalità proprie di un’attività “imprenditoriale”, è maturata assai tardi nel nostro Territorio, dove tale servizio, esercitato dai singoli comuni è stato, sino ad anni relativamente recenti, considerato un servizio da fornire al prezzo più basso possibile, alla stregua dell’anagrafe e del servizio veterinario. Il passaggio, al tramonto della prima repubblica (beninteso, dopo quella di repubbliche non ne abbiamo viste altre; è soltanto per fornire un riferimento temporale), ad una gestione comprensoriale non è stato indolore (abbiamo ricordato le poco sensate astensioni dal pagare le bollette alla Ferriera, ad esempio, in pieni anni Novanta dello scorso secolo, a Pescina), ed anche tale gestione è stata per diverso tempo soggetta alla stessa logica, e l’essere chiamati al disbrigo degli adempimenti del Consorzio comprensoriale o a prendere le decisioni quale ente d’ambito, una solenne scocciatura. D’altronde, bisognava addurre l’acqua nei tubi e lì finiva, o no? In ciò abbiamo replicato, in dimensione più modesta e accidentata, tanto per intenderci sulla nostra sincronicità con gli eventi della modernità, quanto Acea e Acqua Marcia avevano elaborato conflittualmente, a Roma, almeno trent’anni prima.

Solo l’adeguamento della forma sociale da consorzio a società per azioni – siamo in questo millennio – ha inciso, in parte, su tale atteggiamento.

Esattamente venti anni or sono, il Consorzio comprensoriale marsicano – non ancora S.p.A., quindi – all’atto di darsi una prima vera struttura organizzativa propria, articolata in una struttura centrale, cinque distretti e una squadra di intervento sugli impianti, arrivò a determinare una pianta organica complessiva di 54 dipendenti, mentre in servizio ne risultavano, all’epoca, 48, in parte ereditati dalla benemerita Casmez. Nella struttura centrale (gli uffici), per dire, erano previsti 14 (diconsi: quattordici) lavoratori complessivi, che dunque non necessitavano delle strutture che di lì in poi si andranno a locare e ad acquistare (sia chiaro: noi non siamo per la folle mania odierna del risparmio: chi gestisce delle funzioni di rilievo pubblico deve farlo in e con strutture degne, perché il ruolo pubblico è anche immagine e decoro).

Cosa è successo poi?

Tracce inequivoche si rinvengono sul sentiero delle (non) buone intenzioni che lastrica il mare di carte in nostro possesso. Riteniamo utile, per il momento, soffermarci su un piccolo ma significativo passaggio vergato da chi, in qualche misura, dante causa del servizio idrico, era chiamato a invigilare e controllare sulla sua corretta “gestione”:

[…] Nel corso del 2008 il personale è incrementato del 40% rispetto all’esercizio 2007. Se si considerano i dipendenti a tempo parziale, tale incremento sale a circa il 58%: su tali incrementi nulla è detto nella nota integrativa né sul rispetto del piano di stabilità […] In ogni caso, non appare sussistere una corrispondenza tra detto incremento e quello del valore della produzione pari al 39%, tanto da far ritenere privo di giustificazione, dal punto di vista di una gestione economica ed efficiente, un così significativo incremento di personale […] (Ente d’Ambito n. 2 marsicano a CAM, 24 aprile 2009, Relazione al bilancio 2008 – Società CAM S.p.A. – Considerazioni).

Inutile dire che quando qualcuno provò ad ironizzare sullo sconvolgimento che alla scienza statistica quelle assunzioni apportavano, ricomprendendo soprattutto persone di determinati paesi, che erano dunque da assumersi luoghi di natura più intelligenti degli altri (ma forse erano solo popolati da più furbi), una cappa di silenzio cadde. Inutile dire che di esempi di analogo tenore potrebbero farsene molti.

Anni dopo uno dei protagonisti della nostra storia, Giacomo Morgante, non esattamente un passante, avendo rivestito le massime cariche in questo sistema dalla sua creazione sino alla metà degli anni Duemila, chioserà così sulla questione trattata, in una drammatica udienza tenutasi presso il Tribunale di Avezzano, il giorno 11 novembre 2014:

[…] Il Cam che fino al 2004 aveva un patrimonio inattivo […] aveva 800.000 euro di patrimonio attivo[…] Dopo il 2005 ha accumulato 75.000.000 di debito. Io mi ero opposto all’assalto alla diligenza. Siccome non c’ero riuscito e mi volevano mandare in galera mi sono dovuto dimettere. Quindi se sono un po’ accaldato, se ogni tanto… avete capito. Comunque, per preparare la campagna elettorale alle regionali si chiede di fare assunzioni, a tutto spiano. Il Cam aveva 90 dipendenti, oggi ne ha 170. Le funzioni che faceva quando io ero direttore generale erano un po’ di più delle funzioni che fanno adesso che sono 60 dipendenti in più, il servizio era migliore, ma va bene, anche questo ci può stare. Però bisognava assumere ancora personale, allora che ci inventiamo? Il recupero delle utenze sommerse. Noi avevamo istituito la RET […] Avevamo pensato di fare una società finanziaria che potesse riscuotere […]

[…] Allora 70 persone le assumiamo al Cam, di cui una ventina li diamo ai comuni che danno fastidio e 50 me li prendo io Gianfranco Tedeschi. 30 li assumiamo alla RET, 5 li diamo a qualche Sindaco amico che fa parte della RET e il resto me lo prendo io. Questa è storia. Se poi queste cose non sono sfociate in processi non è colpa mia. Io li ho denunciati, c’ho messo la firma. E sono stato denunciato per calunnia, però sono stato assolto. Guarda tu? […]

Queste cose, proferite dal popolare Giacomone Morgante (che mai si dolse per l’accrescitivo del nome) in un’aula di tribunale, nell’evidente imbarazzo di quasi tutti i presenti, ivi compreso il rappresentante della locale Procura, e che noi trascriviamo nell’intento di indurre alla riflessione su un sistema, sono (erano) vere? O frutto di mero risentimento?

Nel mentre un silenzio sempre più inquietante avvolge tutta la questione concordato (con tanti saluti all’operazione verità di taluni) quel che ci sentiamo modestamente di asserire è che la nostra azione collettiva deve essere tesa a realizzare un nuovo sistema, dove tutti i virgolettati sopra riportati non solo non abbiano ragione di esistere ma non sia neppure possibile concepirli per eventualmente infangare. Un sistema che dovrà essere e apparire come la moglie di Cesare.

(10/100 – continua)



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