L’Aquila 2009: il terremoto nelle istituzioni

Angelo Venti
Angelo Venti
10 Minuti di lettura

anche su MAFIE, blogautore di Repubblica.it a cura di Attilio Bolzoni

I terremoti sono tutti uguali, eppure ognuno ha i suoi caratteri distintivi. Quello dell’Aquila – per gli effetti costituzionali, istituzionali, economici, sociali e di legalità prodotti dal modello di intervento messo in atto dal Dipartimento di Protezione civile – è una tragedia inedita nella storia dell’Italia repubblicana. Una lunga emergenza che, per noi che l’abbiamo vissuta in prima persona, ha rappresentato un osservatorio privilegiato da cui si è visto, in anticipo sul resto d’Italia, le moderne forme di illegalità e anche i pericoli per la democrazia derivanti dalla istituzionalizzazione dello stato di eccezione. Una particolarità, questa, che può essere apprezzata nella sua drammaticità solo se ricordiamo e mettiamo a fuoco alcuni passaggi principali.

Lo sciame e l’attesa

Quella aquilana è la prima vera emergenza che, dal 2001, si trova ad affrontare la Protezione civile targata Bertolaso, modellata per la gestione degli affari legati ai Grandi eventi. Ma è un dramma che inizia diversi mesi prima del 6 aprile 2009: da dicembre l’Abruzzo interno è scosso da uno sciame sismico di potenza crescente, mentre il grosso del Dipartimento di Protezione civile è invece impegnato nella preparazione del G8 alla Maddalena: un affare di dimensioni colossali.

A L’Aquila l’inquietudine aumenta giorno dopo giorno e dalle istituzioni non arriva alla popolazione nessuna indicazione su come comportarsi, dove concentrarsi in caso di sisma. Non solo: l’organico dei Vigili del fuoco rimane quello ordinario (la notte della tragedia sono presenti solo in 11); il Pronto soccorso del San Salvatore, privo di un piano di evacuazione, addirittura è senza le scorte d’acqua per reidratare le centinaia di feriti. Persino la sede della Prefettura – che nei piani di emergenza è indicata come il Centro di coordinamento dei soccorsi – non viene spostata nemmeno in via precauzionale nonostante risulti inserita nell’elenco degli edifici a rischio: la scossa delle 3.32 la raderà al suolo. La macchina della Protezione civile, la cui mission istitutiva è composta solo da quattro punti (Previsione, Prevenzione, Soccorso e Ripristino), fallisce così i primi due clamorosamente.

La scossa

La scossa del 6 aprile colpisce quindi una città disarmata. In 23 secondi uccide 309 persone, ne ferisce 1.600 e provoca oltre 70mila sfollati. Sono 57 i comuni di un cratere che abbraccia le 3 province di L’Aquila, Teramo e Pescara: è la prima volta, dopo Messina nel 1908, che ad essere colpita direttamente è una città Capoluogo di regione. Si contano oltre 34mila edifici privati inagibili e 1.033 pubblici. Distrutti o inagibili anche molti dei centri decisionali, strategici e di servizio: Prefettura, Uffici giudiziari, Tar Corte d’appello, Corte dei conti, Municipi, Regione, Ospedale, Caserme di esercito e forze dell’ordine, scuole e Università.

I soccorsi

Le colonne mobili delle varie regioni arrivano relativamente in fretta e, anche se si nota l’assenza di coordinamento e difficoltà nella dislocazione sul territorio, nel complesso la fase del Soccorso funziona. Alla fine si conteranno 171 tendopoli ufficiali che daranno ospitalità a 32mila sfollati, oltre a decine di accampamenti spontanei.

Stato d’emergenza

La mattina del 6 aprile il Presidente Berlusconi dichiara lo Stato d’emergenza e, nel pomeriggio, il Consiglio dei ministri nomina Commissario per il terremoto Guido Bertolaso e, come nuovo prefetto dell’Aquila, Franco Gabrielli. Segue subito un terzo e importante passaggio: al Commissario si consegnano il Potere di ordinanza (scriversi cioè le leggi da solo, senza passaggi parlamentari), il Potere di deroga (decidere autonomamente a quali leggi ordinarie si intende derogare, anche quelle sugli appalti) e infine il Potere di spesa (si eliminano i controlli sulle spese). Sulle Ordinanze, in pratica, i due organismi di controllo dello Stato – Corte dei conti e Corte costituzionale – non possono intervenire: un sistema di poteri straordinari molto utili in una emergenza ma che, se posti nelle mani sbagliate, possono portare al libero arbitrio e produrre il disastro.

Mentre i Vigili del fuoco estraggono morti e feriti dalle macerie e i volontari ricoverano migliaia di persone, succede che il Dipartimento nazionale di protezione civile dalla sede di Roma trasferisce nel cratere i suoi uomini più fidati. E per la prima volta nella storia delle catastrofi, a L’Aquila si registra un ulteriore ed inedito passaggio, non di poco conto.

Di.Coma.C

Con una semplice Ordinanza viene creata la Di.Coma.C. acronimo di Direzione di Comando e Controllo. Si tratta di una struttura di cui non vi è traccia nella nostra storia dei disastri, non si ha notizia di un quadro normativo che ne regoli composizione, poteri e competenze ma che eserciterà per quasi un anno il suo potere assoluto nella gestione dell’emergenza sull’intero cratere. Si tratta di una nuova entità con una serie sconfinata di funzioni e competenze – a cui si aggiungono anche infrastrutture e strutture post-emergenziali – che consentirà alla Protezione civile, per la prima volta nella storia delle catastrofi italiane, di occuparsi anche di ricostruzione.

La nuova struttura può contare anche su una task force già collaudata dal Dipartimento nella gestione dei Grandi eventi, in particolare un potente Ufficio giuridico per la stesura delle ordinanze e un efficiente Ufficio stampa che all’Aquila verrà ulteriormente potenziato, a cui si aggiungono due altre strutture che avranno un ruolo di rilievo negli avvenimenti successivi: il centro di ricerca Eucentre e la Reluis.

La Dicomac nel pomeriggio del 6 aprile si insedierà alle porte della città nella Scuola della guardia di finanza. Si tratta di una vera e propria cittadella militare: 45 ettari racchiusi da oltre 2 km di cinta muraria, uffici di comando, piazza d’armi, auditorium, impianti sportivi, alloggi, aule didattiche, mensa, infermeria, autoparco, centrali tecnologiche, eliporto con decollo sia diurno che notturno, 4mila metri di parcheggio.

Il Dipartimento la chiama “Cittadella delle istituzioni”, in realtà durante l’emergenza – e soprattutto dopo il trasferimento a L’Aquila del G8 della Maddalena – è stata percepita dagli aquilani come le cittadelle medievali, con i potenti chiusi dentro mura fortificate per difendersi dai sudditi che anche per raggiungere un ufficio pubblico, erano costretti a subire pesanti controlli ai cancelli e, una volta autorizzato l’ingresso, ad essere accompagnati all’interno. In questa struttura vengono trasferite tutte le sedi istituzionali, amministrative e politiche e qui vengono ospitati, per tutta la fase dell’emergenza, gli inviati delle più grandi Tv e testate giornalistiche.

Militarizzazione, spopolamento, esautoramento, disarticolazione

Di fatto le strutture decisionali e i centri di gestione della spesa sono, anche fisicamente, saldamente sotto il controllo del Dipartimento. Gli enti locali democraticamente eletti vengono progressivamente esautorati dei loro poteri e le forze dell’ordine disarticolate nel loro funzionamento. Contemporaneamente, con la creazione di centinaia di zone rosse e Checkpoint, il Dipartimento completa la militarizzazione del territorio e con lo slogan «Tutti al mare a spese dello Stato», avvia lo spopolamento del cratere: 35mila sfollati sono trasferiti sulla costa e quasi altrettanti chiusi in 171 tendopoli. La Protezione civile viene così meno anche all’ultimo dei suoi compiti istitutivi: il Ripristino della normalità per le comunità e l’economia locale.

In un territorio militarizzato, svuotato dei suoi abitanti e con gli enti locali esautorati dei loro poteri parte, come si trattasse di un Grande evento, anche la gestione mediatica del terremoto: per la prima volta si assiste all’applicazione del Modello Bagdad dell’informazione in Italia, con giornalisti accreditati che si muovono solo al seguito delle truppe, anche se della Protezione civile.

Progetto C.A.S.E.

In questo quadro Berlusconi e Bertolaso iniziano a parlare di New Town, e il Presidente del Consiglio lancia lo slogan “dalle tende alle case”. Appena due settimane dopo il terremoto, il 23 aprile 2009, un decreto del consiglio dei ministri approva ufficialmente il Progetto C.A.S.E., dove l’acronimo sta per Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili. Sarà definito “Il cantiere più grande d’Europa”: 19 localizzazioni per realizzare in appena 6 mesi circa 4.500 alloggi destinati a ospitare quasi 16mila sfollati. Un investimento colossale che va ad aggiungersi a tutti gli altri interventi milionari previsti nel cratere.

(1 – continua)

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