Il futuro della Valle del Giovenco: poca “cazzimma”

Franco Massimo Botticchio
Franco Massimo Botticchio
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Lo scorso 28 giugno si è tenuto, a Pescina, su iniziativa di quel municipio, un tavolo tecnico «che si occuperà di fare un’analisi compiuta dei vantaggi derivanti dell’Istituto della Fusione tra i Comuni» (le maiuscole erano nell’invito), dove, con le strutture municipali dei centri circonvicini, sono stati insediati, a governare il processo, l’avvocato Paolo Colasante del Consiglio Nazionale delle Ricerche e il noto professore universitario teramano (di origine gioiese) Enzo Di Salvatore. Due figure, queste ultime, stimate, competenti.

A primo impatto però, ci pare di poter tranquillamente affermare che quest’incontro – che costituiva, per espressa dichiarazione del sindaco pescinese Iulianella, la prosecuzione ideale di quello deludentissimo di Pescina dell’ottobre 2016 (da noi rubricato, modestamente, come quello degli ultimi giapponesi a Fucino, dove i giapponesi erano da intendersi i sindaci della Valle del Giovenco) e di altro, ancor più disastroso se possibile, svoltosi ad Aielli lo scorso anno – non porterà molto lontani. In questo, effettivamente, il terzo incontro si è rivelato esattamente il sequel dei primi due. Potremmo sbagliare ma l’animus dei singoli amministratori dei centri interessati ci pare tutt’altro che disponibile e pronto ad affrontare il tema fusione con la solerzia che esso richiederebbe. Notiamo, una volta di più, tanta chiusura, molta nostalgia di un passato (pessimo peraltro; ed in buona parte contraffatto nel racconto, quando non apertamente inventato per scopi autoconsolatori) che non potrà più avere cittadinanza (ammesso, come detto, ne abbia mai avuta) e soprattutto il desiderio di rinserrarsi nei propri luoghi di origine, sempre meno abitati e serviti, per un’ultima resistenza impossibile con imbracciato il gonfalone del proprio centro a mo’ di esorcismo verso la modernità, il progresso, la ragionevolezza. Altra spiegazione non sapremmo dare, dinanzi alle ennesime fumose chiacchiere sulla unione delle funzioni e dei servizi, sulla legge Realacci sui piccoli borghi (che costituisce una volgare presa in giro: per fondi, funzionamento e obiettivi dichiarati). Non sappiamo più come giustificare gli inqualificabili distinguo su cultura, territorio, ecc. che esisterebbero tra gente che è in realtà la stessa, e insiste sullo stesso lembo insignificante di mondo; differenze che impedirebbero il veloce instaurarsi di un processo che non solo è ineluttabile ma è anche necessario, ove si voglia tentare di salvare il salvabile in termini di peso politico, servizi pubblici essenziali, diritto alla mobilità. Ma forse è persino tardi.

Tanta riserva mentale si è già ampiamente espressa in occasione della Strategia delle aree interne, per la quale, sebbene messi in posizione favorevole e agevolati in ogni modo, i municipi di questa sfortunata parte di Marsica non sono stati capaci di assemblare – anche copiando – uno straccio di progetto, con i danari pronti a Roma (escludiamo pretendessero i soldi prima del progetto: ‘non siamo Banca Etruria’, rispose una volta Luciano D’Alfonso, ad uno dei sindaci del circondario, sulla scuola), su assistenza agli anziani, servizi sociali, trasporto pubblico, ecc.. Dove alberga un poco di lucidità in più, stiamo parlando del Sangro-Aventino (abruzzesi come noi; non altoatesini [i quali ultimi hanno fuse intere vallate: e stanno meglio di prima]), hanno invece compreso la grande occasione rappresentata da questa Strategia, al punto da dichiararsi intenzionati e disponibili a chiudere quarantasei plessi scolastici sparsi per ogni dove in cambio dell’ottenimento di un solo, moderno, campus. A qualcuno forse fischieranno le orecchie. O forse no (perché chi tiene duecento ragazzi in una struttura con indice di vulnerabilità sismica 0,26 probabilmente non è in grado di comprendere: ed è forse per questo che apre detta scuola, in uno dei luoghi più sismici d’Europa, pure l’estate). Detto per inciso, gli stessi proponenti del Sangro-Aventino, dati Invalsi alla mano, hanno già richiesto delle ripetizioni – da effettuarsi nella nuova scuola – di italiano e di matematica, confessando di trovarsi in condizioni di apprendimento inferiori alla media italiana. Questa ammissione certo non può arrivare a farla chi, dall’alto della propria ignoranza, crede di essere parte di una stirpe più intelligente. E dunque non nutriamo soverchie speranze su questo processo avviato dal sindaco Iulianella, che ci appare, partito in tal modo, e oltre le sua volontà, un mesto sgravarsi la coscienza, soprattutto quando si parte dall’argomento “turismo” (che dovrebbe essere, crediamo, l’ultimo della filiera ad essere affrontato, perché il più rilevante, con tutte le armi sul tavolo; e non come primo, con le sole nobilissime intenzioni dei singoli; singoli, in buona fede, che rischiano, così, solo di perdere tempo). Perché c’è da salvare la squadra di calcio a Collarmele, e l’asilo con quattro ragazzi dentro (e quattro operatori). Nel frattempo, per l’atonia delle strutture comunali del circondario, stanno per involarsi i duecentomila euro stanziati dalla Regione per il centro di raccolta rifiuti di Pescina. Una struttura che non avremo e sarebbe servita moltissimo, a noi e, in un’ottica di integrazione, altrettanto a San Benedetto dei Marsi, Ortona, ecc.. Questo è.

Incontrando, tempo fa, il sindaco di uno dei nostri comuni, avemmo a dirgli che la nostra unica speranza per la Valle del Giovenco è quella di un governo nazionale finalmente forte con chi deve esserlo che cancelli i comuni polvere, e provveda ad un’unificazione di tutte le strutture e le (poche) risorse disponibili; quale modello abbiamo indicato quello nazista sulla Polonia, e forse abbiamo esagerato, ma quello dell’imperio romano ci appare l’unica speranza, allo stato attuale, di veder le cose cambiare. Non è possibile che non si prenda in considerazione neppure l’idea di svolgere degli studi di fattibilità del processo di fusione di tutta la Valle, primo passo che crediamo doveroso, rimanendo le eventuali decisioni successive in mano alla cittadinanza (dicesi: referendum).

Dietro la difesa della municipalità stracciona, delle vane ciance sullo stato centrale cattivo, sino alla esaltazione antistorica e cretina dei briganti e dei Borboni, si nasconde, ormai è evidente, il terribile disegno della totale desertificazione del nostro Territorio.


Tratto da: ilmartellodelfucino 2018-6

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