FUGA DA ALCATRAZ: salvate il soldato Tedeschi

Franco Massimo Botticchio
Franco Massimo Botticchio
17 Minuti di lettura
Gianfranco Tedeschi

Per diversi anni / molti di noi, praticamente sin dalla nascita / siamo stati sottoposti all’esposizione continuata di emissioni di polizieschi prima e gialli poi (cosiddetti legal thriller) di produzione americana; la qual cosa, fatte salve le disputate ricadute sulla psiche individuale e l’immaginario collettivo (che qui non rilevano), ha consentito anche ai più distratti tra i fruitori di Le strade di San Francisco (o, per tenerci in questo secolo, di Law and Order) di apprezzare, in maniera più o meno consapevole, le abissali differenze che separavano – e che tuttora separano, nonostante l’avvicinamento voluto dal legislatore italiano un quarto di secolo or sono, con l’adozione del cosiddetto sistema accusatorio – l’amministrazione della Giustizia per come intesa ed erogata oltre oceano e quella italiana (che evitiamo come la peste, anche da parti lese: e una ragione ci sarà), qui da noi.
Per un bizzarro e (temiamo) patologico riflesso, la stragrande maggioranza di noi, se e quando ha posto attenzione a questo aspetto, si è di norma trovata a ragionare che quel che si vedeva e si osserva fare in America poteva forse andare bene lì ma – fortunatamente – in Italia (la patria del Diritto, mica cazzi) a certe vette non potremmo mai giungere. Per quel che possiamo ricordare, molto prima che uno strano patteggiamento fosse introdotto anche in Italia, risultava indigesta la circostanza che chi – facciamo un esempio – veniva accusato di aver fatto a pezzi quattro o sei cristiani a Boston alla fine accettasse la galera non per quegli omicidi ma per non aver pagato le multe prese quando con la macchina si recava ad uccidere le proprie vittime, e non stava lì a caricare il parchimetro (non esiste il delitto perfetto). La soddisfazione mostrata dai protagonisti, questi procuratori americani, quasi sempre gradevoli e giusti e sempre molto dinamici, dinanzi a questi accordi al ribasso, si pensava fosse un qualcosa di astruso, di ingiusto, di inaccettabile. Stessa accoglienza era riservata all’idea, anch’essa molto americana, di eleggere a suffragio di popolo, periodicamente, con tanto di liste e programmi, chi ha da esercitare l’ufficio della pubblica accusa in un Territorio (The Good Wife). Per tacere della relativa campagna elettorale, nel corso della quale i candidati che vanno disputandosi la sedia di procuratore manifestano ai cittadini elettori quali saranno i reati sui quali essi, se scelti, profonderanno ogni impegno e risorsa della limitata macchina della giustizia umana, e quali di converso perseguiranno più blandamente sino ad ignorarli.
Morale delle favola: questi americani sono pazzi: da noi la Costituzione prevede l’obbligatorietà dell’azione penale, ed i magistrati sono selezionati per concorso e poi destinati agli uffici da un consesso serio, il Consiglio superiore della Magistratura. Eccetera eccetera.
Quel mantra che informa i dialoghi di intere serie televisive di oltre oceano, con i rappresentanti della pubblica accusa che si rammaricano di non avere prove sufficienti per trascinare qualcuno in giudizio o di non trovare conveniente sostenerlo, un dibattimento, e se solo l’accusato accettasse una condanna per un reato minore… ci è tornata alla mente – ci si scuserà della lunghezza chilometrica dell’introduzione – leggendo sulla stampa locale e nazionale della indagine marsicana sui lampioni, qui di seguito magistralmente compendiata in un lancio di agenzia:

APPALTI: MAXI-INCHIESTA LAMPIONI,
7 COMUNI SOTTO LENTE PROCURA =

Avezzano (L’Aquila), 17 mag. (Adnkronos)
Sono sette i Comuni della  Marsica, in provincia dell’Aquila, coinvolti nella maxi inchiesta su presunte illegittimità negli appalti pubblici della procura di  Avezzano, che vede 36 indagati tra amministratori pubblici e tecnici comunali. A scatenare la bufera giudiziaria che ha gettato ombre su  Comuni di grosse dimensioni come Avezzano, Celano, Trasacco, Ortucchio, Villavallelonga, Collelongo, Castellafiume, è stato l’imprenditore Angelo Capogna, titolare di un’impresa di illuminazione pubblica, la Seridue srl, peraltro fallita nel 2014. L’imprenditore aveva detto ai pm Maurizio Maria Cerrato e Roberto Savelli di aver pagato tangenti o dato regalie ad amministratori locali o a loro intermediari al fine di vincere appalti.
Nelle ultime ore nel nutrito elenco delle persone coinvolte è entrata anche Stefania Pezzopane, 57 anni, senatrice aquilana del Pd dal 2013 e con un passato ricco di ruoli istituzionali in Comune, poi Presidente della Provincia, Vice Presidente del Consiglio regionale e attualmente Vice Presidente della Giunta delle elezioni del Senato. La Pezzopane è indagata con l’accusa di finanziamento illecito ai partiti (la legge 195/74) per una vecchia campagna elettorale, assieme a Capogna, che l’ha accusata nel corso di due interrogatori. La Pezzopane è apparsa subito tranquilla. A quanti l’hanno avvicinata ha confidato di non sapere nulla della vicenda, di sentirsi serena e di avere piena fiducia nel lavoro della magistratura.
Fra i 36 indagati compare fin dal primo momento anche Filippo Piccone, ex sindaco di Celano (Aq), parlamentare Ncd.
(Aab/Adnkronos)
ISSN 2465 – 1222
17-MAG-17 14:29

e che da qualche tempo va accendendo il disinteresse dei più, e la legittima preoccupazione di alcuni degli interessati (i più ingenui nonché quelli in malafede).
C’è da premettere che non nutriamo soverchia simpatia per la senatrice Pezzopane mentre gli annosi trascorsi con Gianfranco Tedeschi (il quale, leggiamo sul sito di Terremarsicane, sarebbe stato chiamato in causa dal “grande” accusatore Capogna, che «ha parlato della Pezzopane e ha raccontato di averle consegnato personalmente del denaro, in due occasioni diverse, su richiesta di Gianfranco Tedeschi, attuale sindaco di Cerchio. Lo scopo era quello di lavorare su L’Aquila») escludono una qualsiasi colleganza. Ma su questo effluvio di accusati e di ipotetici reati (corruzione turbativa d’asta ecc. ecc.) consumati per rimodernare alcune pubbliche illuminazioni, e che hanno riempito intere pagine dei giornali serii (e attirato l’attenzione di tanti siti che sino a non molto tempo fa avrebbero preferito morire di inedia piuttosto che propalare qualcosa contro Tedeschi), crediamo sia utile dire qualcosa, e non solo in relazione ai fatti di indagine; fatti che volentieri sconosciamo e tranquillamente eviteremo di approfondire, per le motivazioni che diremo.
In passato, prendendo l’esercizio della giurisdizione per una cosa molto seria, e quasi sacra – essendo ad esso affidata la risoluzione delle controversie tra i cittadini, il ripristino del diritto violato e persino la libertà personale dei singoli esseri umani coinvolti – ci siamo sforzati di parlare, se proprio necessario, solo a ragion veduta, dopo aver conosciuto quanto più possibile delle vicende disputate. In tale cocciuto maniacale esercizio ultraventennale, molte volte (la maggior parte delle volte) ci siamo trovati di fronte a documentazione prodotta dalle Autorità inquirenti di scarso pregio; in taluni frangenti – ultimo in ordine di tempo, senza offesa per nessuno degli abominevoli precedenti consumatisi da Balsorano in poi, l’incredibile pasticcio dell’impianto fotovoltaico di Luco dei Marsi – l’impressione provata, nello scorrere le produzioni delle varie aliquote della polizia giudiziaria dell’Abruzzo Ultra Secondo, è stata quella di essere tornati alle scuole medie di periferia che abbiamo frequentato, di calare in un’epifania di svolgimenti di elaborati di lingua italiana sconnessi inappropriati e fuori tema propri dei compagni di classe meno studiosi, quelli che amavano impennare con il motorino e stare in piazzetta piuttosto che in classe, e per i quali i genitori, con il cappello in mano, impetravano al preside il rilascio della licenza media, sia come sia, per avviarli poi al lavoro. In qualche caso, guardando meglio, chi oggi svolge compiti di polizia giudiziaria è proprio uno di quei compagni poco amanti della scuola! Questo è. Punto. [Ovvio: con ciò non si intende in alcun modo offendere chi è dotato della licenza elementare, conseguita magari in altri tempi, nel cui novero abbiamo trovato, da sempre, le persone più intelligenti e ragionevoli e fattive dell’universo: non a caso nessuna di queste è entrata nelle cosiddette forze dell’ordine, probabilmente per quel senso del limite che i nostri fittizi compagni di classe hanno successivamente smarrito, sino ad avventurarsi in discettazioni da Foro Italiano che meriterebbero un approccio psicanalitico]
Sui magistrati non sarebbe lecito (e neppure consigliabile) speculare allo stesso modo, pure, fatti salvi casi particolari, chi approda in queste tutto sommato tranquille sedi a quaranta minuti dal casello autostradale di Roma est (Avezzano, L’Aquila), con tanto di concorso vinto, parrebbe non frequentare luoghi pubblici, non accorgersi di nulla di quanto di sostanziale succede intorno al palazzo di giustizia, non acquistare i giornali né leggere le locandine; il terremoto neppure sembra averli colpiti.
Unica attenuante che ci sentiamo in cuor nostro di riconoscere all’intera funzione giudiziaria operante sul nostro Territorio (e in tutti i Tre Abruzzi, dove la situazione non è migliore, tutt’altro; e non è necessario leggere le intercettazioni di Cialente pubblicate in questi giorni da L’Editoriale di Peppe Vespa per assumerne consapevolezza: basti andare con il pensiero agli ingloriosissimi esiti dei processi pescaresi a Del Turco e a D’Alfonso) è quella ambientale, trovandosi magistratura e polizia giudiziaria ad operare in contesti avvezzi alla scorciatoia, all’aggiustare, ad operare nel senso di subornare, nella sostanza quando non nella forma, procedure e scopi dell’azione pubblica e non solo, anche con il grimaldello della politica sciatta. Ma il risultato è generalmente deprimente.
Da molto tempo andiamo speculando sulla ipotesi (malevola) che in tempi di crisi e di tribolo, dinanzi all’oggettivo sfascio ambientale economico produttivo e di legalità che ci si para dinanzi, occorra un capro espiatorio che consenta di dirottare le colpe ed esorcizzarle verso un attore debole (o perdente), onde perpetuare il ruolo la funzione i compiti e la dignità degli altri soggetti, superando il momento di crisi e rottura del sistema. Inutile precisare che il capro espiatorio debba rivestire dei caratteri particolari, ovvero incarnarsi con chi, per lo meno in apparenza, può essere assimilato ad un colpevole, sembrarlo se non esserlo: poco cambia.
In tempi non sospetti abbiamo preconizzato, per la Marsica, un’offensiva giudiziaria verso gli amministratori comunali del Territorio, e – dopo i particolari casi rovetani di Civitella e San Vincenzo – sono venuti gli arresti dei sindaci di Magliano dei Marsi e di Tagliacozzo, provvedimenti che grida(va)no vendetta al cielo per l’inconsistenza degli assunti e delle accuse, vicende connotate da tratti francamente insensati quando non ridicoli (ma c’è poco da ridere). Ecco, questa storia dell’illuminazione pubblica potrebbe inserirsi in questo filone. Stiamo parlando – per la violazione del finanziamento pubblico attribuito alla Pezzopane – dell’anno di grazia 2010, quando si votava per la Provincia e Tedeschi era ancora geometra! Tra poco finirà tutto prescritto, e qui siamo ancora alla chiusura delle indagini. Un bel calderone nel quale i “politici” vengono cotti per bene, mediaticamente, con dei riusciti paginoni sui quotidiani con nome cognome e codice fiscale, e poi la cosa finisce. Ma il processo virtuale non è a saldo zero: nel frattempo, si sarà beneficiato della revirgination, e data una lustrata alla icona della Giustizia che persegue i reati, oggi piuttosto offuscata nei suoi grigi protagonisti.
Qui torna utile tutta l’apparente folle introduzione sulla giustizia americana dei telefilm: mandare avanti fascicoli insuscettibili di vedere un processo dovrebbe essere vietato, se non dalla norma, dalla ragionevolezza. E pure dovrebbero privilegiarsi gli incartamenti che trattano di fatti gravi conclamati, e non portare avanti questi alla stessa velocità e con la stessa solerzia di quelli dove un pischello ha imbrattato il muro del liceo o qualche stupido ha stampato un ciclostilato scrivendo cose lapalissiane (quest’ultima cosa dovrebbe essere elevata al rango di reato). Il nostro risentimento, sia chiaro, non nasce dal fatto personale. Sorge dall’amara constatazione dello stato delle cose. L’azione penale andrebbe esercitata privilegiando i fatti maggiormente rilevanti, ed essere tempestiva. E dovrebbe avere connaturato quello spirito economicistico e di valutazione del risultato effettivamente prodotto che oggi difetta del tutto. Quel che produce la macchina della giustizia non interessa, la sua efficienza e puntualità paiono essere fattori indipendenti dalla funzione (apparentemente) svolta.
Il resto ci appare come una ripulitura di faccia, affinché tutti si prosegua a fare quel che si faceva prima, scaricando impresentabili e indesiderabili. Dovrebbero invece parlare le condanne (la qualità delle stesse ancor prima del numero), i processi terminati, non quelli che finiscono sui giornali e poi naufragano miseramente (nuovo municipio di Avezzano), non senza rovinare carriere politiche o impattare sulla vita delle persone (come nel caso, esemplare, di Ezio Stati, con carte transitate da Pescara a L’Aquila ad Avezzano e che nel passaggio hanno mutato completamente di verso, senso e significato).
Non vorremmo che tra poco sorgesse il noto dottor Tedeschi a dire che egli è un perseguitato politico, e dovergli dare anche ragione. Se un “sistema” è esistito – e la nostra opinione non è dubbia al riguardo: basti leggere quel che andiamo scrivendo dal millennio scorso – di questo “sistema” l’apparato complessivo della cosiddetta Giustizia è stato, oggettivamente, ancella, nume tutelare, palo, complice, distratto osservatore e, infine (qualche volta, incidentalmente), avversario. Siamo pronti a dibatterne ovunque e con chiunque (si spera non in un’aula del tribunale ma se del caso anche lì…), carte alla mano, ma non con coloro che oggi rivestono cariche e ruoli inquirenti e giudicanti, che si spera lavorino e producano atti concludenti e non elucubrazioni sociologiche. Giustizia e non sindromi. Atti, quindi, va da sé, migliori di quelli mediamente emanati sino ad oggi.

[ Tratto da: Il Martello del Fucino 2017-4 – SCARICA IL PDF ]

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